«La via della pace non è una via per persone che cercano tranquillità. La via della pace è lotta e opposizione all’ingiustizia, ma con i mezzi che hanno reso grande l’avventura del continente europeo: il rafforzamento delle istituzioni, la democrazia, il rispetto dei diritti di ognuno». Graziano Delrio, ex capogruppo ed ex ministro del Pd, dossettiano di formazione, pone un diverso punto di vista su pace e realismo politico.
Tra Papa Francesco e Gino Strada, Delrio dice che la strada c’è, combattiva e faticosa, per la riconciliazione e il pacifismo dei fatti. E che gli Stati Uniti d’Europa non possono attendere.
Delrio, è inevitabile l’aumento delle spese militari?
Le politiche di difesa sono uno strumento della politica estera di uno Stato, dei suoi obiettivi geopolitici, come il rafforzamento della presenza nel Mediterraneo, la relazione con l’Est. L’Europa spende già ora quattro volte tanto la spesa militare della Russia e spende pro capite molto più della Cina: il problema non appare quindi quello contabile.
L’aumento delle spese militari di ogni Paese è inoltre un obiettivo totalmente improduttivo, non risponde affatto alle logiche di difesa dei territori o di sostegno ai resistenti ucraini. Non ho votato per il 2% del Pil destinato alle spese militari. L’ho fatto perché responsabilità della politica è costruire coerenza tra strumenti e fini. Oggi il fine primario per noi è costruire gli Stati Uniti d’Europa, e quindi mettere in campo anche un esercito comunitario.
La sua posizione sulla guerra sembra essere a metà tra Papa Francesco e Gino Strada?
Io la penso esattamente come Papa Francesco, cioè che l’aumento delle spese militari, la corsa agli armamenti sia una follia. E penso, esattamente come Gino Strada, che la guerra sia orrore e che non sia il mezzo per risolvere i problemi. Da una guerra nessuno esce vincitore ma tutti, specialmente i più deboli, escono sconfitti. La via della pace non è però una via per persone che cercano tranquillità. La via della pace è lotta e opposizione all’ingiustizia, ma con i mezzi che hanno reso grande l’avventura del continente europeo: il rafforzamento dell’istituzioni la democrazia il rispetto dei diritti di ognuno.
Tuttavia, l’invio delle armi a Kiev è stato ed è un aiuto fondamentale per la resistenza ucraina?
Non si può invocare per un popolo il diritto alla resa e non possiamo chiedere a coloro che vedono il loro territorio, le loro città invase senza motivo, di alzare le mani. La resistenza è legittima specialmente se l’aggressione è totalmente ingiustificata e ingiustificabile. Ma comunque alla resistenza va fatta seguire la ricostruzione e la riconciliazione col nemico.
Manca una offensiva diplomatica?
Non manca un’iniziativa diplomatica ma è sicuramente debole, perché è debole l’Europa. Questa guerra è una guerra europea perché Kiev e Mosca sono città europee, ma mancano gli Stati Uniti d’Europa. Non si vede forte la cultura della pace del dialogo e della diplomazia che l’Europa ha incarnato negli ultimi settant’anni: questa assenza pesa.
Lei è un dossettiano, la lezione di Dossetti è dimenticata?
Mi pare che il dibattito politico sia stato molto concentrato non sulle correnti profonde della storia, ma piuttosto sulla superficie del mare. La lezione dei costituenti come Dossetti è la lezione di una generazione che ha conosciuto la guerra, orrore e sangue, dolore e distruzione: la guerra è questo. Bisognerebbe ripartire tutti i giorni dalla memoria orribile di cosa rappresenti da sempre la guerra per l’umanità.
Come si può parlare oggi di pace ai più giovani?
Non si può, si deve. Si deve dire che ogni giorno dobbiamo lottare per la pace, per non arrenderci alla logica bellica che sarebbe la vera vittoria di Putin. Si deve ricordare ai giovani che solamente nell’incontro, nel dialogo e nella cooperazione tra persone, tra città, tra Stati vi può essere la soluzione ai problemi grandi che dovranno affrontare e che stanno affrontando. Si può e si deve dire che le vie di mezzo, il non abbracciare completamente un’ottica di costruzione faticosa della pace, porterà indietro l’umanità verso il disastro.
Il Pd, il suo partito, è in una posizione scomoda, tra realpolitik e pacifismo?
Il mio partito ha una posizione molto netta. Aiutare un popolo oppresso e lavorare per la pace costruendo gli Stati Uniti d’Europa e un esercito comune al servizio di una politica estera comune. Siamo i soli ad avere detto queste cose da sempre.
La pace vale bene la comodità del gas consumato dai condizionatori: è la provocazione del premier Draghi.
La pace vale ben più delle comodità senza dubbio. La scelta di fronte a sacrifici inevitabili è lavorare più intensamente per la pace.