Il silenzio assordante degli uomini

Giulia Cecchettin, l’ultima vittima. Non si può continuare a tacere

Maria Pia Vigilante

È mortificante giungere a ridosso del 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne, con l’ennesimo femminicidio, quello di Giulia Cecchettin.

Dal momento in cui la notizia si è diffusa, tutte le organizzazioni femminili e le donne in generale si sono levate in un corale grido di dolore con l’hashtag, #losapevamogià.

Giulia è morta, uccisa come Saman Abbas da chi diceva di amarla.

Fra qualche giorno saremo inondati di numeri sui femminicidi ed in generale sulle violenze maschili agite ai danni delle donne ed ognuno si prodigherà a dirci se sono aumentati o diminuiti rispetto gli anni precedenti. Il punto non è se i numeri siano o meno diminuiti, la questione vera e reale attiene alla percezione del pericolo, della paura e, di conseguenza, della stanchezza che questi eventi ormai producono sulle donne e sulle ragazze. Già le ragazze, giovanissime, annientate dai giovani fidanzati, incapaci di elaborare il lutto, il senso della sconfitta e dell’abbandono. E quindi leggiamo dal popolo del web anatemi contro i genitori e contro la comunità educante come se non ne facessimo parte tutti.

In base al report settimanale del Servizio analisi criminale della direzione centrale della polizia, tra il 1° gennaio e il 12 novembre 2023, in Italia sono stati commessi 285 omicidi, con 102 vittime donne, di cui 82 uccise in ambito familiare/affettivo; di queste, 53 hanno trovato la morte per mano dei propri compagni e/ o mariti. A questi numeri dobbiamo aggiungere Giulia e, quindi, 83 femminicidi.

Le forme di violenza contro le donne sono tante, anche se si preferisce parlare della punta dell’iceberg con il rischio di dimenticare la violenza sessuale, psicologica, economica, tratta a fine di sfruttamento sessuale, mutilazioni genitali femminili, e, infine, ma non perché meno importanti, molestie sessuali sul luogo di lavoro, mobbing familiare

Il fenomeno è sconcertante. I dati nazionali ci dicono che la violenza ai danni delle donne è la prima causa di morte fra le mura domestiche; in 10 anni i reati riguardanti la violenza di genere è aumentata del 105% per i maltrattamenti contro familiari e conviventi.

Eppure, non siamo all’anno zero: i centri antiviolenza moltiplicano giornalmente le proprie attività di sensibilizzazione per contrastare la mentalità patriarcale e le discriminazioni, e non solo il 25 novembre.

Desolante in questo quadro è invece il silenzio assordante degli uomini.

Non si leva alcuna voce di rabbia, di dissociazione da questi agiti violenti come se ci fosse l’intima paura che qualche forma di patriarcato possa emergere in ognuno di loro e quindi sembra consigliabile mantenere un profilo basso.

Ma non si può continuare a tacere.

C’è bisogno di costruire una vera rivoluzione culturale che permetta a tutte le donne di non aver più paura ad iniziare un percorso di fuoriuscita dalla violenza. Un solo giorno non può bastare per cancellare tutti gli stereotipi che i giornali, televisioni, continuano a diffondere quotidianamente sull’universo femminile, nonostante la sottoscrizione del Manifesto di Venezia.

Rispetto a questo quadro, l’unico appello che si può lanciare è che del fenomeno ne comincino a parlare anche gli uomini che anche loro esigano un vero contrasto contro la disparità, terreno in cui fiorisce la discriminazione e la violenza contro le donne.

La civiltà di un Paese si misura dalla capacità non solo della tutela delle fasce ritenute deboli, ma dalla rivalutazione della libertà, autonomia ed autodeterminazione delle donne.

Di fronte all’ennesima giovane morte per mano questa volta di un ragazzino tutti dovrebbero ribellarsi e contribuire al cambiamento perché il problema della violenza ai danni delle donne è degli uomini!

 D’altra parte, anche il Governo in presenza di atti efferati quali i femminicidi e/o stupri conosce solo una risposta di natura repressiva.

È di qualche giorno fa l’approvazione alla Camera dei Deputati del Disegno di legge recante disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica, in una logica ancora una volta repressiva poiché è previsto il rafforzamento delle misure di ammonimento previsto dal Questore nell’art 3 della L.119/2013, ampliando il novero dei reati spia, inserendo altresì lesioni, percosse, danneggiamento, violenza privata, minaccia grave, stalking, diffusione illecita di immagini e/o video sessualmente espliciti, violazione di domicilio; in questi casi anche senza denuncia il Questore interviene con una istruttoria sommaria ed ammonisce il soggetto senza necessità di una richiesta ad hoc da parte della vittima.

Bene si potrebbe dire! Invece non è così perché nel nostro ordinamento abbiamo già norme che offrono le condizioni di avere risposte in termini di giustizia.

Inoltre, le aspettative si ridimensionano subito leggendo la clausola di chiusura di invarianza finanziaria.  Dall’attuazione dei provvedimenti, quindi, non devono maturare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Agli adempimenti connessi alle attività previste dai provvedimenti si dovrà procedere con le scarse risorse umane, strumentali e finanziarie già attualmente disponibili.

Le associazioni, le donne dei centri antiviolenza, invece, sono anni che chiedono un serio intervento sulla prevenzione e protezione, come peraltro previsto dalla Convenzione di Istanbul e sui quali argomenti si fa ancora molto poco.

Mettere in sicurezza le donne a seguito di una valutazione del rischio elevata significa avere la possibilità di collocarla in una casa rifugio da sola e/o con i bambini e questo comporta la necessità di avere posti letto che ormai sono insufficienti.

Un legislatore attento avrebbe dovuto invece condividere un percorso con le associazioni ed i movimenti delle donne per comprendere i bisogni da soddisfare in relazione alle emergenze e priorità dei singoli territori.

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