La Rai sempre meno centrale nel sistema televisivo nazionale

Giorgio Simonelli

La presentazione dei palinsesti, prima di Mediaset poi di Rai, nel giro di pochi giorni ha lasciato la prevedibile scia di polemiche, insinuazioni, rimpianti avvolti in una patina di retorica come quella che ha circondato l’annuncio della soppressione dell’appuntamento domenicale con 90° Minuto.

In realtà il programma che ha emozionato per vari decenni i tifosi era morto e sepolto da anni, quello che andava in onda da qualche anno sul far della sera di domenica era una copia inutile e molto sbiadita dell’originale. Ma questo atteggiamento, questo concentrarsi sui singoli programmi e sui loro conduttori è il segno di un limite, di un certo anacronismo, di una visione del panorama televisivo quale era in un recente passato ma che ora ha subito significative variazioni.

È del tutto ovvio e naturale chiedersi se Stefano De Martino sarà in grado di ripagare il servizio pubblico di tutta la fiducia che gli è stata concessa come erede di Amadeus; se il ritorno di Massimo Giletti sarà davvero un arricchimento dell’offerta informativa (personalmente il suo speciale su Ustica andato in onda  mese scorso mi è parso un buon inizio); cosa ci proporrà di nuovo Mara Venier il sabato pomeriggio sulla delicata questione della ricerca dell’anima gemella; quali proposte ha rifiutato Serena Bortone preferendo dedicarsi alla radio, eccetera eccetera. Ma tutto ciò, che non manca di interesse (come non può mancare di suscitare curiosità Mario Sechi nel ruolo di storico dell’industria) rischia di diventare un diversivo rispetto al punto centrale, che è quello della tv generalista, del suo spazio e del suo futuro.

Data, infatti per spacciata, obsoleta e ridotta a una banale abitudine della terza età in un mondo che viaggia rapidamente verso l’on demand, la tv generalista ha avuto in Italia un’improvvisa e imprevista rinascita. Da un lato si è affermata una rete come  LA 7 capace di conquistare audience e riconoscimenti grazie alla varietà dei suoi formati, vecchi e nuovi, nel campo dell’informazione e dell’approfondimento culturale. Dall’altro un colosso come Discovery ha portato sul suo canale 9 pezzi pregiati della produzione Rai: nella scorsa stagione Fabio Fazio con risultati superiori a ogni più ottimistica previsione, ora Amadeus con il suo format più  popolare e la possibilità di ideare proposte innovative e Flavio Insinna che, con la sua duttilità di conduttore/attore/enterteiner e con il suo stile pop-colto, rappresenta l’emblema dell’idea di generalismo televisivo. Se poi alla lista si dovesse aggiungere Fiorello…

 Insomma, il quadro in cui la nuova Rai deve svolgere il suo ruolo di servizio pubblico è assai complesso. Oltre alla cura dei canali tematici e all’innovazione nel settore on demand, resta fondamentale la sua presenza nel comparto generalista dove la tradizionale competizione con Mediaset non può essere più il suo unico punto di riferimento. «Distintività» è stata la parola d’ordine proposta da un vecchio consiglio di amministrazione e che ho sempre considerato una definizione saggia, per nulla generica, come qualcuno la considerava, e  percorribile. Ma  in quell’intenzione di distinguersi c’era il confronto con un solo competitor preciso, definito, l’altro polo della tv generalista, quella commerciale, per farla breve Mediaset.

Ora per interpretare a dovere il ruolo di servizio pubblico occorre sapersi distinguere anche da altri soggetti che a sorpresa proprio sul versante generalista dimostrano di avere notevoli interessi, solide basi economiche, una certa abilità. Questo è il compito a cui donne, uomini, programmi e progetti proposti dalla Rai sono chiamati e sulla capacità di realizzare questo obiettivo vanno giudicati.

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