«In alcune zone di Napoli e della sua area metropolitana, purtroppo, la cultura della violenza è un aspetto socialmente accettato o addirittura glorificato. Ci sono quartieri in cui le armi e l’aggressività sono simboli di forza e rispetto. Troppi giovani vedono nel crimine l’unica strada per ottenere visibilità e potere». Luigi Vicinanza ha fatto una scelta coraggiosa: dopo decenni di giornalismo in prima fila, dopo la direzione dell’Espresso, è passato alla politica. Ma a quella vicina alla gente. È il neosindaco di Castellammare di Stabia. Una missione su cui c’è molto da dire e tanto da imparare.
Luigi Vicinanza, sei passato dall’altra parte della barricata: giornalista, direttore dell’Espresso per anni e ora sindaco. Cosa ti ha convinto a questo salto?
Abbiamo sempre raccontato i lati oscuri, i retroscena, le tensioni. A un certo punto ho pensato: vediamo se si può fare politica in maniera diversa, proviamoci.
E si può? Quanto è difficile amministrate una città in un territorio a rischio?
Amministrare una città è sempre difficile, ma anche una sfida tremendamente affascinante. Perché ogni giorno devi fare i conti con i problemi reali dei tuoi concittadini che si attendono risposte immediate e realizzabili e, dall’altra, lavorare per concretizzare i progetti e la visione di futuro che hai per la città.
Castellammare di Stabia è andata al voto dopo lo scioglimento per camorra: come sei stato accolto?
Per la mia attività professionale partii da Castellammare più di tre decenni fa, ma non sono mai andato via. Le radici non si recidono. Ho vissuto, seppur da lontano, il lento ma inesorabile abbandono che ha caratterizzato la città. Un’amministrazione di centrodestra che con i suoi interessi e le sue scelte ha condannato la città allo scioglimento; poi i due anni di commissariamento con un allontanamento progressivo tra istituzioni e cittadini. Eppure, Castellammare ha dimostrato in tutti questi anni di saper guardare avanti, non disperdendo le proprie energie. Mi riferisco, soprattutto, a quella che ho definito anarchia creativa che ha caratterizzato la crescita della nostra città negli ultimi periodi, nonostante l’assenza della politica. Abbiamo compreso che c’è bisogno di rendere stabili quei processi, governarli; far sì che quella creatività si incanali in un processo di rigenerazione urbana, in grado di ridistribuire sul territorio lavoro, sviluppo ed economia.
Ma cosa davvero ti ha spinto a questa sfida? La molla profonda?
L’amore per questa città, ma anche la consapevolezza che ad un certo punto della mia vita professionale dovessi ridare qualcosa alla mia Castellammare. Tutto questo è racchiuso nell’idea che abbiamo condiviso con i cittadini di Grande Stabia. Una visione che stiamo trasformando in atti concreti, a partire dalla quotidianità. Pensa che il primo atto che ho firmato da sindaco è stata l’autorizzazione per una campagna di derattizzazione in città. Non penso ci fosse bisogno di un sindaco di centrosinistra o di centrodestra, ma solo di un po’ di buon senso nelle istituzioni locali. Ma anche quello era scomparso da Castellammare. E poi la Grande Stabia si realizza puntando sui numerosi asset della città: quello principale è il mare, un patrimonio straordinario insieme alla spiaggia, insieme alla montagna, il monte Faito, grande polmone verde; le terme, purtroppo tristemente chiuse da decenni, per restituire le acque ai cittadini; il nostro patrimonio archeologico con le Ville di Varano e il Museo della Reggia di Quisisana. E, non per ultimo, il Cantiere Navale e l’apparato produttivo legato ai due porti. La tradizione si difende solo se saremo capaci di rinnovare innovando.
Hai detto: voglio essere il sindaco di tutti tranne della camorra. Hai paura?
Diffido sempre da chi dice di non avere paura, perché spesso mente, forse per mostrarsi invulnerabile o superiore. E poi magari si volta dall’altra parte e non fa nulla per la comunità. Riconoscere la paura e accettarla, invece, richiede forza e consapevolezza, quella stessa forza e consapevolezza che serve quotidianamente a tutti noi. La camorra, il malaffare si combatte tutti insieme, ognuno facendo la propria parte: istituzioni, forze dell’ordine, magistratura, scuola, cittadini, politici. Una straordinaria trasformazione culturale.
Napoli è la città con più armi. Dove stanno morendo giovanissimi uno dietro l’altro: Angelo Correra, Santo Romano, Emanuele Tufano e prima Giorgio: cosa succede a Napoli?
In alcune zone di Napoli e della sua area metropolitana, purtroppo, la cultura della violenza è un aspetto socialmente accettato o addirittura glorificato. Ci sono quartieri in cui le armi e l’aggressività sono simboli di forza e rispetto. Troppi giovani vedono nel crimine l’unica strada per ottenere visibilità e potere. C’è carenza di strutture sociali, educative e culturali che possano offrire alternative concrete alla vita criminale. La dispersione scolastica è un problema critico, e molti ragazzi non riescono a trovare nel sistema educativo una strada che risponda alle loro esigenze e alle difficoltà che vivono.
Saviano dice che il modello Caivano voluto da Meloni, ha fallito, è così?
Se i modelli si fermano ad affrontare le emergenze sono destinati sempre a fallire. A mio avviso è necessario un intervento strutturale che vada oltre le singole operazioni di polizia, comunque indispensabili. Da un lato, servono più presidi di legalità e un rafforzamento della presenza dello Stato nei quartieri più a rischio, non solo in termini di repressione, ma di prevenzione e supporto sociale. Dall’altro, bisogna investire in progetti educativi e di inclusione sociale che possano dare ai giovani alternative reali e tangibili. Programmi di supporto psicologico, sportivo e artistico, così come la creazione di centri giovanili, possono fare molto per sottrarre i giovani all’influenza delle bande. Piccolo esempio: qualche giorno fa abbiamo ristrutturato un campetto di calcio per i ragazzini in un quartiere popolare di Castellammare. Come? Grazie alla generosità di tre giovani campioni del calcio, i fratelli Esposito (uno gioca nell’Empoli in serie A, gli altri due nello Spezia in B). Una bella collaborazione tra privati e il Comune.
Da dove oggi si può ripartire?
Dalle tante eccellenze di Napoli e della sua provincia, dalle risorse che rappresentano un patrimonio culturale, economico e sociale inestimabile. Spesso, infatti, si parla soltanto dei problemi legati alla criminalità e al degrado sociale, ma Napoli ha moltissimi punti di forza, tra cui l’arte, la cultura, l’enogastronomia e l’innovazione tecnologica. È una grande capitale europea. E Castellammare è dentro questa prospettiva.