Il mondo in una canzone. God bless America cantano (per modo di dire) Donald & Elon guidati dal tenore Chris Macchio, all’indomani di questo fatidico 5 novembre 2024. Ma al Dio che deve proteggere l’America in questi tempi feroci gli tocca forse di allargare i confini e gli orizzonti. Qualcuno protegga il mondo.
Ma torniamo alla canzone, forse è meglio. Chissà quanti conoscono la storia di questo brano. Molti ritengono che sia l’inno degli Usa. In realtà il successo di questa canzone non è tanto al “cosa”, al contenuto, in fondo le armonie e i versi sono alquanto semplici e apparentemente intrisi di retorica. Quanto al “quando” la si è potuta ascoltare per la prima volta. Un successo immediato per una canzone di speranza mentre la guerra minacciava. D’altronde, come ebbe a dichiarare il compositore Irving Berlin, in un’intervista del 1940, «non è una canzone patriottica ma un’espressione di gratitudine per ciò che questo Paese ha fatto per i suoi cittadini, di cosa significhi veramente casa».
Il fatto curioso è che è stata scritta tra due guerre: infatti, Berlin l’aveva composta verso la fine del primo conflitto mondiale, nel 1918 senza mai poi eseguirla né inciderla su vinile.
Così una canzone scritta vent’anni prima e dimenticata, aspettò in un baule per due decenni. Poi arrivò la cantante Kate Smith, una delle più celebri cantanti statunitensi dell’epoca. Era in cerca di qualcosa di nuovo per il suo programma radiofonico. Era il 1938 e cercava un motivo musicale per celebrare il ventesimo anniversario della fine della Grande Guerra. Irving Berlin si ricordò allora del suo baule e di quel brano dimenticato. Ma a distanza di vent’anni qualcosa era cambiato. In peggio. Il nostro compositore era appena tornato da un viaggio in Europa, dove una nuova catastrofe stava per scoppiare. La Germania nazista, guidata da Adolf Hitler, stava diventando più potente e aggressiva e sembrava prepararsi alla guerra. Ma l’intenzione di Berlin non era comporre una canzone per preparare l’America alla guerra. Voleva creare qualcosa per celebrare l’America come un posto speciale in cui vivere.
Ecco come si leggeva la versione del 1918:
«God Bless America, land that I love / Stand beside her / And guide her / To the right with the light from above / Make her victorious on land and foam / God Bless America, my home sweet home».
«Dio benedica l’America, terra che amo / Stai al suo fianco / E guidala / A destra con la luce dall’alto / Rendila vittoriosa sulla terra e sulla schiuma / Dio benedica l’America, la mia casa dolce casa».
Berlin sapeva che doveva cambiare il verso To the right with the light from above. Infatti, «the Right» in politica indica i gruppi politici conservatori e lui, invece, pensava ad una canzone che unisse gli americani, non che li separasse. Così la strofa divenne «Through the night with the light from above. E poi cambiò anche Make her victorious…» poiché suggeriva una conquista militare, piuttosto che la canzone di pace a cui mirava. Lo sostituì così «From the mountains, To the prairies, To the ocean white with foam», «Dalle montagne, Alle praterie, All’oceano bianco di schiuma Dio benedica l’America, La mia dolce casa».
Bella, no?
Meno di un anno dopo il debutto della canzone, la macchina da guerra tedesca entrò in Polonia, innescando la Seconda guerra mondiale in Europa. Ma mentre God Bless America cresceva in popolarità, la maggior parte degli americani temeva già che fosse solo questione di tempo prima che gli Stati Uniti venissero chiamati a combattere. I giapponesi avevano già invaso la Cina due anni prima, dando inizio alla guerra in Asia. Gli Stati Uniti attesero, prima di entrare ufficialmente in guerra, fino a quando i giapponesi non li attaccarono di sorpresa a Pearl Harbor il 7 dicembre 1941.
Il resto lo sappiamo. O almeno, così sembra.
Altre canzoni di guerra avrebbero ricordato agli americani contro chi stessero combattendo. God Bless America di Berlin ha ricordato loro per cosa stessero combattendo.
Personalmente, a proposito di miti e immaginari, preferisco altre canzoni. E un’altra America: da Aquarius (a proposito, rivedere le primissime scene iniziali del film di Milos Forman oggi fa un certo effetto) a Horse with no named degli America, da This land is your land di Woody Guthrie a Streets of Philadelphia di Bruce Springsteen, per arrivare a Bullet the blue sky degli U2 e Ghost dance nella doppia versione di Patti Smith e Robbie Robertson, tanto per non dimenticare.
Ma restando in tema di memorie condivise, e tornando al motivo originale per cui è stata scritta God bless America, per noi che americani non siamo ci sovviene un senso di profonda riconoscenza ogni volta ci capiti di visitare uno dei tanti cimiteri di guerra sparsi per l’Italia e l’Europa.
Quando, nel rimanere con lo sguardo perduto tra date di nascita e di morte messe lì in croce, siamo colti da una infinita gratitudine nei confronti di tutti quei nomi caduti per difendere la nostra libertà. E, come mirabilmente descritto da Carlo Galli in Democrazia, ultimo atto (Einaudi, 2023), per la nascita delle nostre democrazie.
Chissà se anche Donald & Elon, e tutta quella gente che ha assaltato Capitol Hill in una fredda giornata del 6 gennaio del 2021, conoscono la storia di questa canzone. Chissà se gli possa interessare qualcosa. Probabilmente no. Anzi, sicuramente no, visto che è stato scelto come presidente degli Stati Uniti d’America una persona dichiarata colpevole di 34 reati, compresi frode, aggressione sessuale e falso di bilancio.
E mentre un senso di inquietudine mi pervade al pensiero, per informarsi di più e meglio, basta visitare il sito web The Kennedy center, il Memoriale dedicato a JFK.
Così, per consolarci, o soltanto per non perdere la memoria.
La foto che accompgana l’articolo è The Kenedy center, Washington, DC, Stati Uniti