Nel suo decimo discorso di fine anno il presidente Mattarella ha toccato un tema su cui conviene riflettere: l’idea di patria. Un’idea rilanciata soprattutto dalla destra al governo per darne una propria, interessata, interpretazione. Mattarella invece ha proposto una lettura lontana da quella della Meloni, che però non esclude la destra politica, e che potrebbe consentirle di aderire a questa visione.
Mattarella si è fatto carico dell’onere di essere, dopo il breve bis di Napolitano, il primo presidente della Repubblica chiamato a svolgere due mandati. Una eccezione storica. E sembra voler porre al centro un percorso di conciliazione nazionale, che non annulli la dialettica politica, ma che contribuisca ad unificare l’opinione pubblica.
Il discorso sulla patria è un passo in questa direzione. «Vi è bisogno di riorientare la convivenza, il nostro modo di vivere insieme» ha osservato Mattarella. «In questo periodo sembra che il mondo sia sottoposto a una allarmante forza centrifuga, capace di dividere, di allontanare, di radicalizzare le contrapposizioni. Sono lacerate le pubbliche opinioni. Faglie profonde attraversano le nostre società. La realtà che viviamo ci presenta contraddizioni che generano smarrimento, sgomento, talvolta senso di impotenza». È uno scenario incerto, in cui la frammentazione sociale, ideale, morale della società e l’ordine politico che non viene legittimato dai fondamenti tradizionali come un tempo, hanno necessità di rappresentarsi in modo nuovo per esistere. Il ritorno della patria è un antidoto alle spinte centrifughe. Offre un terreno d’incontro alle diverse componenti della società, restituisce al Paese un’idea di cui gli italiani sono rimasti in qualche modo orfani.
La dimensione discendente di patria e nazione
Di quale patria parla il presidente? Mattarella è sembrato invitare gli italiani a riscoprire il senso della patria come casa comune. Si tratta, cioè di una idea inclusiva, solidale, persino gentile. Questo impegno lo ricollega a una tradizione che ha visto al Quirinale alcuni esempi in Sandro Pertini, Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano. Mattarella, professore di diritto costituzionale, sa bene che il fascismo ha in qualche modo confiscato e deturpato l’idea di patria e ora ne riconfigura il significato.
L’eredità del passato pesa, ma non impedisce di restituire alla patria un significato nuovo e di riscoprirne le nobili origini. Nel Risorgimento l’idea di patria ha unito gli italiani che condividevano lingua, tradizioni, origini, ma erano sudditi di stati diversi, spesso governati da stranieri. Durante la Resistenza i partigiani erano definiti patrioti dalle forze politiche che li sostenevano. I Gruppi di Azione Patriottica erano formazioni partigiane vicine al Pci, che avevano deciso di chiamarsi patrioti proprio per ricollegarsi al Risorgimento ed evocare una rinnovata unità nazionale.
La destra politica in genere si riferisce alla patria come a un’idea che richiama l’origine etnica della nazione, basata sul sangue, la lingua, il territorio, i costumi, che segna le differenze e può comportare l’affermazione di un primato sugli altri. In questo significato aggressivo, patria e nazione tendono a sovrapporsi: la nazione può essere legata a una visione di potenza, di superiorità, ad un diritto all’espansione. La nazione può evocare un egoismo nazionale in cui prevale la dimensione discendente: all’alto del potere verso gli abitanti, come accadde con il fascismo.
Tuttavia, l’idea di patria ha subito un tentativo di appropriazione sia da parte di chi ha combattuto generosamente il fascismo, sia di chi faceva parte dei vinti. Questa operazione fu compiuta, dopo la guerra, dai partiti. Secondo lo storico Galli della Loggia, nel libro Morte della patria, ha ostacolato la nascita di una visione unitaria, di fatto perpetuando le divisioni nel paese. Il crollo del regime del regime fascista nel 1943 aveva lasciato gli italiani privi delle istituzioni nel mezzo della Seconda guerra mondiale. La Resistenza aveva dato al concetto di patria un diverso significato, che è alla base della Costituzione, di nuove istituzioni, di nuovi diritti, che ha reso la vita dei cittadini migliore. Ma nonostante questo, l’epopea della Resistenza non è riuscita a diventare una storia condivisa da tutta la popolazione.
Del resto, proprio il governo Meloni, con le sue ambiguità e reticenze sul passato, ha dimostrato che la destra postfascista ha vissuto la conquista elettorale del governo come una rivincita storica. I partiti della Repubblica nata dal referendum istituzionale del 1946 hanno contribuito a non superare le divisioni. Lo stesso CNL, il Comitato di Liberazione Nazionale, unito dall’antifascismo era diviso da visioni del mondo diverse. A causa di questa frattura storica, a momenti alterni, è affiorata l’idea di una pacificazione.
Mattarella e la dimensione ascendente della patria
Sullo sfondo di questo scenario, l’intervento di Mattarella acquista particolare rilevanza. Il presidente è consapevole del declino dell’idea di patria, ma propone una prospettiva nuova nella quale gli italiani possono riconoscersi. Si ricollega alla storia civile del paese, a come gli italiani vivono la patria nell’universo quotidiano. Nella sua narrazione indica a modello la vita di persone che incontriamo ogni giorno, che fanno esperienza dell’idea di patria: sono i lavoratori nei luoghi di lavoro, gli insegnanti nelle aule, i medici al pronto soccorso o nelle corsie di ospedali, le forze dell’ordine, gli anziani che aiutano le famiglie, gli immigrati che si integrano e contribuiscono al progresso sociale, tutti coloro che ogni giorno compiono il proprio lavoro per sé stessi e per la comunità. Sono loro i patrioti. La patria ha il loro volto e la loro voce.
«Siamo noi, dice Mattarella, la speranza». La patria diventa un fattore di coesione sociale, che aiuta a superare particolarismi, egoismi, che richiama il bene comune. Quel noi è il cuore della patria. L’amore per il paese compare quando l’interesse degli individui si armonizza con l’interesse della collettività e sostiene gli svantaggiati. Se la patria è un tema condiviso, sembra dire il presidente, non può finire ostaggio di una forza politica e non potrà essere utilizzata per legittimare interessi di parte. Mattarella vuole far emergere un’idea che appartiene di diritto a tutti, perché vissuta ogni giorno da milioni di cittadini. La patria fornisce un ancoraggio identitario senza cancellare la competizione politica, ma ripara dai conflitti un bene comune che non deve essere dilapidato.
Non a caso il presidente parla di patria dopo avere ricordato l’anniversario della Liberazione del Paese dal fascismo, quasi ne fosse la fonte di legittimazione. Mattarella promuove così la dimensione ascendente dell’idea di patria, che parte dai cittadini per salire verso le istituzioni. Essa rivaluta la partecipazione affettiva dei cittadini: evoca un sentimento di appartenenza, di gratitudine per la storia, i luoghi, i paesaggi, i valori, le lotte, di cui siamo gli eredi. La patria, sembra dirci Mattarella, nasce quando si stabilisce un legame emotivo tra i cittadini, che invece di sentirsi divisi si rispettano, si percepiscono solidali. Patria è sentirsi parte di qualcosa di più grande, di un interesse più generale. Per Mattarella c’è bisogno di patria autentica, quando si scontrano idee identitarie settarie, rivendicazioni esclusive, in cui la sua idea viene usata contro altri. Quando la patria serve per dividere non per unire, o per consentire a una parte di appropriarsi del tutto.
Il patriottismo costituzionale: la democrazia come valore
Nell’immagine della patria come quella dei cittadini che la vivono nel loro lavoro per la comunità, Mattarella richiama due principi fondamentali: il dovere e la responsabilità. Assieme ai diritti, il dovere deve essere inteso come una scelta che ha gli altri come fine. Il senso del dovere implica servire la comunità ognuno nel modo in cui può farlo: nelle aule, nelle corsie, nelle imprese, negli uffici, nei luoghi del mondo in cui le nostre forze armate agiscono da operatori di pace. Mattarella sembra ricordare lo storico Ernest Renan, che descrisse la nazione come «un plebiscito quotidiano».
Inoltre, sentirsi responsabili, assumere come propria la responsabilità della società, soprattutto della parte più vulnerabile, è anch’essa legata al nostro modo di vivere civile senza ritenerlo superiore a un altro differente. Il presidente qui valorizza il significato politico di patria e sembra connettersi alla tradizione del pensiero che la interpreta come buon governo delle leggi, fondato sulla virtù civica, finalizzato alla realizzazione del vivere libero e del bene comune. In questo impegno il punto di riferimento è la Costituzione, considerata non solo carta dei valori, dei diritti e doveri che guida il Paese, ma quasi una sua legge morale.
Emerge così con forza un’idea non statica della democrazia, immersa nell’esperienza quotidiana, viva nella coscienza delle persone. La patria e la sua Costituzione sono la sintesi dei valori che un popolo riunisce in sé. Mattarella ci avverte anche che amare il proprio Paese non vuol dire non denunciarne le ingiustizie, gli errori e le corruzioni, o i comportamenti antidemocratici. Mattarella per primo ne fornisce un esempio con un richiamo alla realtà indirizzato al governo Meloni: il suo discorso è stato una pacata ricognizione delle cose che non funzionano e della necessità di porvi rimedio. Occorre realizzare le promesse della Costituzione, avverte il presidente, nel suo amaro elenco di carenze e ritardi, parlando di «luci e ombre» di «potenzialità e punti di debolezza».
La democrazia non si può separare dalla garanzia di libertà e di giustizia: essa sorge là dove c’è un bisogno, sembra dire il presidente, che domanda soddisfazione. Non è un discorso pessimista, ma un invito ad agire: i cittadini utilizzino gli strumenti messi a loro disposizione dalla Costituzione, innanzitutto quello del voto. L’Italia ha necessità della partecipazione degli italiani. La democrazia vive se è interiorizzata come un valore, se i cittadini, pure nelle loro differenze, si riconoscono come una comunità di volontà. Difendere la patria significa riscoprire le sue radici nella fiducia che gli italiani possono o non possono nutrire. Il popolo può far tornare la patria dall’esilio. I cittadini possono stare certi che al Quirinale abita il custode e testimone di questa fiducia.