Nessuna nostalgia di Neymar

Darwin Pastorin

Dodicimila spettatori, sotto la pioggia e in lacrime, allo stadio Vila Belmiro (che fu il tempo delle magie di Pelé) per il ritorno del figliol prodigo, Neymar, a 32 anni e dopo due stagioni senza gloria, anche a causa di alcuni infortuni, nell’Al-Hilal, il malinconico e miliardario Barnum arabo del pallone.

Piange pure il giocatore, tra musica e saudade. Ma non parliamo di Itaca, per favore. O di un pallone tornato a regalare poesia ed emozioni.

Pelé non ha mai lasciato il Santos, malgrado le offerte assurde di Juventus e Inter: salvo andare negli USA a dare spettacolo, nei Cosmos di New York, per lanciare il soccer, ormai al termine di una favolosa carriera, culminata con la conquista di tre coppe del mondo. Santos e il Santos erano la sua gente, erano la sua casa, erano il suo focolare.

O Ney ha aspettato dodici stagioni, dopo i fasti altalenanti nel Barcellona e nel PSG, per consumare le ultime briciole di successo e applausi nel club che lo aveva lanciato, giovane dal talento abbagliante. In Europa, ha illuso di poter diventare il migliore di tutti: ma la sua classe si è vista a tratti, tra giocate superbe e momenti di buio assoluto. Ha ragione Oscar Buonamano: «Nessun confronto, per carità, con Maradona: Diego resta meglio ‘e Pelé e, figuriamoci, di Neymar!». Pienamente d’accordo. E anche Ronaldo il Fenomeno e Ronaldinho restano di un altro pianeta, per non parlare di Vinicius Jr, stella variegata del Real Madrid.

Neymar, negli ultimi tempi, si è distinto, piuttosto, come fan di Jair Bolsonaro, un presidente di destra estrema: per fortuna battuto, nelle ultime elezioni, dal figlio del popolo Lula.

O Ney, nato povero, si è consumato, da fedelissimo testimonial, per riportare il Brasile indietro nel tempo, nel labirinto del periodo nero della dittatura. All’attaccante consigliamo di andare a vedere il film di Walter Salles: Ainda estou aqui, che parla di quell’epoca, durata dal 1964 al 1985, dei militari al potere, delle violenze e delle discriminazioni, e della scomparsa, senza più ritorno di Rubens Pavia, ex deputato di sinistra del PTB.

Ai lettori italiani invito caldamente, oltre ad andare al cinema, di leggere il libro del figlio di Rubens: Marcelo Rubens Pavia, Sono ancora qui, traduzione di Marta Silvetti (La Nuova Frontiera). Resterete colpiti e commossi dalla forza e dall’orgoglio di Eunice, la moglie di Rubens e madre del narratore (nel film, esemplare l’interpretazione di Fernanda Torres, candidata all’Oscar).

Neymar rappresenta le gozzaniane «cose che potevano essere e non sono state».

Io continuo a dichiararmi innamorato di Mané Garrincha, l’angelo dalle storte, eroe lucente e tragico, l’idolo, ancora oggi, degli emarginati delle favelas. Ha vissuto una vita sospesa tra il tutto e il niente, ma in campo, con lui, c’è sempre stata bellezza. Così cantava Vinicius de Moraes: «La rivoluzione sociale in marcia si ferma meravigliata a vedere il signor Mané palleggiare e poi prosegue il cammino».

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