Ormai siamo travolti ogni giorno da un’esternazione proveniente dall’altra parte dell’Atlantico. E ogni giorno la realtà aumentata di Trump, dopo averla sorpassata, allunga sempre più la distanza dall’immaginazione. Dopo l’annuncio dei dazi commerciali, dell’Unione Europa che «was formed to screw United States» (letteralmente: è stata creata per fottere gli Stati Uniti), tra dichiarazioni di annessione di Groenlandia e Panama, la creazione di un resort extra-lusso a Gaza invece dell’esportazione chissà dove del popolo palestinese, dopo l’umiliazione dell’eroico popolo ucraino, è la volta dell’Università e della ricerca, per ora americane.
Niente più proteste, ha tuonato Trump sul suo social di riferimento, negli spazi di college e scuole: pena l’arresto, l’incarcerazione, l’espulsione dalla scuola e – se si tratta di giovani stranieri – anche dal Paese. E, per gli istituti che ospitano le manifestazioni, un taglio completo dei fondi federali. Purtroppo, questo succede quando l’obiettivo, quello vero, non è una supposta migliore efficienza o la riduzione degli sprechi. L’obiettivo è politico e il vicepresidente J.D. Vance, che sembra interpretare il ruolo del mastino portavoce, lo ha dichiarato apertamente: «Le università e i professori sono il nemico».
Noi (europei, occidentali, italiani, esseri umani) pensiamo il contrario.
Noi non possiamo (dobbiamo) arrenderci alle complessità del mondo come accidente della storia, ma in quanto esseri pensanti, viverle e farle diventare opportunità, piuttosto che farci soffocare.
L’orizzonte dell’umanità è il nostro traguardare ed è anche il succo della sfida di questo tempo. Nell’era ipertecnologica delle intelligenze artificiali e generative, l’uomo rimane padrone del proprio destino. A guidarlo nelle sue scelte: conoscenza, istruzione, cultura. Ma, non solo. É l’uomo «animale sociale», colui che continuamente si rigenera nel rapporto con l’altro da sé. In un mondo fatto di conoscenza e relazioni, il passaggio è rilevante. Quasi un punto di discrimine.
E non sono forse conoscenza e relazioni a fare della Scuola e l’Università un posto speciale? Non è forse proprio in questi luoghi di formazione del sapere e di trasmissione della conoscenza che si alimenta il dibattito e che si esercita la democrazia? È pensabile una vita della scuola senza un dialogo fecondo tra chi tutti i giorni la anima? D’altronde, non c’è università senza comunità. E senza non ci può essere nemmeno democrazia, quel posto dove il dissenso, le minoranze, le diversità, le disabilità possono trovare riparo e ospitalità. Nel nome del rispetto reciproco e del concetto che la Terra è di tutti e di nessuno nello stesso tempo.
Le prime Università sono nate in Europa, nel Medioevo, ben prima che Cristoforo Colombo salpasse alla volta dell’America per inventare l’Occidente. Nei secoli si sono trasformate, si sono sempre più aperte alla comunità ma hanno sempre conservato nel tempo la funzione di centro di trasmissione del sapere, di ricerca e di produzione di nuove conoscenze, di formazione della classe dirigente.
E proprio nella nostra Europa, quella emersa dalle macerie della Seconda guerra mondiale, che è nata la generazione Erasmus e la possibilità di alimentare la società della conoscenza, superando le frontiere tra gli Stati, favorendo la mobilità delle idee e delle persone, lo scambio scientifico, culturale e formativo. Creando, comunque la si pensi e ovviamente al netto di tutto, benessere e pace.
Una ragione in più per difenderla, l’Europa, questa Europa pur con i suoi tanti difetti e imperfezioni. Oggi, domani. Tutti i giorni.