Nel primo dei sei atti che compongono quest’anno il festival Lector in fabula di Conversano spiccava l’appuntamento con Javier Cercas. L’attesa non è certo andata delusa: Oscar Buonamano e Bruno Arpaia (scrittore e traduttore di molti libri dello scrittore spagnolo) sul palco di Santa Chiara e Cercas, collegato in diretta dalla sua casa di campagna, hanno costruito una bella chiacchierata, intensa, cordiale (e mai interrotta da incidenti tecnici) che ha toccato moltissimi temi.
Si è parlato, ovviamente, dell’ultimo romanzo Terra alta un poliziesco, anzi un vero giallo con una soluzione finale molto politica legata alla incancellabile memoria della guerra civile e si è scoperto che ci sarà un seguito, un Terra alta 2 e forse anche 3. Si è discusso dei temi cari allo scrittore, del racconto poliziesco e della sua ispirazione politica, del lettore che è anche autore di ogni romanzo come dimostra proprio uno dei personaggi più affascinanti di Terra alta, di Don Chisciotte nella tradizione letteraria e dei nuovi autori spagnoli, soprattutto autrici, non ancora tradotti in Italia.
Ma quando si parla di Cercas (o con Cercas) c’è un tema che, personalmente, trovo molto interessante e che invece resta sempre estraneo ai discorsi. Per la verità, Cercas ha dedicato a questo tema poco più di due pagine. Sono le prime due pagine del prologo di Anatomia di un istante, il romanzo fiume che lo scrittore ha dedicato al tentato golpe del 23 febbraio1981, quello ordito dal colonnello Tejero tanto spettacolare quanto (per fortuna) fallimentare. Due pagine che contengono una riflessione sulla televisione, sul valore e il senso delle immagini televisive, molto più originale e profonda di quelle proposte da tanti testi specialistici sui media.
Il tentativo di golpe – racconta Cercas – si consumò all’interno del Congresso con il militare fanfarone che intimò ai parlamentari di arrendersi alle sue minacce armate. Le riprese televisive a circuito chiuso furono viste solo dagli addetti ai lavori della Radiotelevisione spagnola. I cittadini comuni videro le immagini selezionate e montate solo nei telegiornali del giorno seguente, quando tutto era finito. La diretta andò in onda solo in radio. Eppure quando Cercas si accinge a scrivere il suo romanzo si rende conto di una singolare confusione.
Quell’episodio è ben vivo nella memoria di tutti gli spagnoli che all’epoca erano usciti dall’infanzia, tutti ricordano perfettamente dove si trovassero e cosa stessero facendo quando si sparse la notizia dell’accaduto, ma tutti sono pronti a giurare su quanto hanno di più caro di aver visto in diretta televisiva l’assalto al Congresso di Tejero e dei suoi scherani.
È la prova sul campo di quanto hanno sostenuto molti studiosi del fenomeno neotelevisivo e dei suoi processi invasivi di egemonia culturale diffusi nelle società industriali dagli ultimi decenni del Novecento. Le cose accadono veramente solo se la televisione le può mostrare e si presentano nella nostra conoscenza e nella nostra memoria sempre in forme e modi televisivi, anche quando la tv resta estranea ai fatti. Ma Cercas va al di là di queste tesi molto diffuse negli studi sui media. A differenza delle teorie che hanno attribuito alla tv il ruolo di certificazione e addirittura di sostituzione della realtà, Cercas individua anche il ruolo di finzionalizzazione dell’immagine televisiva che «contamina di irrealtà qualunque cosa riprenda». Per cui «anche un evento storico viene in qualche modo alterato una volta trasmesso sullo schermo, perché la televisione distorce il modo in cui lo percepiamo o addirittura lo volgarizza e lo degrada».
La ripresa televisiva di un evento anche storico è, dunque, al contempo la garanzia della sua realtà e della sua irrealtà. Si tratta di una tesi molto più sfumata e complessa, nella sua ambiguità, rispetto a quelle più diffuse e apprezzate, care agli studiosi francesi come Paul Virilio e Jean Baudrillard, una tesi molto suggestiva rimasta racchiusa nel prologo di un romanzo e che invece meriterebbe un approfondimento anche in ambito teorico.