Fabrizio Barca: conoscenza, lavoro, politiche pubbliche. Una nuova sinistra per l’Italia

Giovanna Casadio

«Alcune cose stanno accadendo a sinistra. Il Pd ha preso consapevolezza della necessità di dotarsi di un collegamento con la società attraverso le Agorà di Letta. Alcune figure di primo piano come Elly Schlein, Rossella Muroni e Beppe Sala si candidano a essere riferimento di un movimento verde sociale, che tiene insieme giustizia sociale e ambientale. E poi ci sono le alleanze delle organizzazioni di cittadini».

Fabrizio Barca, ex ministro della Coesione sociale, economista,  coordinatore del  Forum delle disuguaglianze e diversità, disegna una mappa della sinistra e delle sue priorità.

Professor Barca, dopo una crisi sanitaria ed economica epocale come quella che ancora viviamo e con una coalizione di governo extralarge, come si riorganizza la sinistra italiana?  
Stanno accadendo alcune cose parallele. Nel Pd l’elemento più significativo è la consapevolezza espressa dal nuovo segretario Enrico Letta, non diversa comunque da quella dell’ex leader Nicola Zingaretti: Letta parla di Agorà, Zingaretti parlava di Piazza grande. Un obiettivo del tutto simile a quello che lanciammo con i Luoghi ideali nel 2013-14, ovvero l’iniziativa del partito-palestra, con 17 sperimentazioni e incontri in tutta Italia. Le Agorà di Letta sono interessanti sia dal punto di vista organizzativo che dei contenuti. È il segnale di un Pd che mostra di sapere che deve dotarsi della capacità di collegamento con la società.
Nei frammenti della sinistra non vedo particolari novità.  Ma in quel mondo c’è il buco nero dei Verdi: i Verdi che non ci sono. Tuttavia figure di primo piano come Elly Schlein, Rossella Muroni, Beppe Sala si candidano a essere riferimento di un movimento verde sociale, attenti cioè a tenere insieme giustizia ambientale e sociale. È qualcosa di importante, non sono solo titoli.
L’altra cosa che si muove sono i coaguli, o meglio le alleanze, di organizzazioni di cittadini: penso alla Cnca, alla Rete dei numeri pari ad altri tentativi in atto. Non si candidano a una funzione partitica, ma fanno politica producendo contenuti e collegando livello nazionale e locale.

Ma quali sono le priorità da individuare e da cui ripartire?  
Sui contenuti il riferimento per parte mia è al Forum disuguaglianze e diversità: noi abbiamo fatto una diagnosi. I punti di attacco sono evidentemente gli ostacoli da rimuovere per il pieno sviluppo dell’individuo, che si traducono in pratiche, in politiche.
La priorità che la pandemia ha messo in luce è la necessità di un maggiore accesso alla conoscenza: chi sta fuori ha perso, chi sta dentro ha guadagnato. Non sto parlando solo di scuola e università, ma penso anche all’accesso delle piccole e medie imprese (pmi) alla tecnologia. E inoltre ho in mente l’impegno delle università, la ricaduta sociale del loro ricercare e insegnare. Un risultato in verità lo abbiamo avuto ed è il cambiamento radicale grazie all’Anvur, l’agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, che ha modificato il metodo di valutazione dell’impatto sociale delle università. Un piccolo grande atto.
Secondo. Dare dignità e voce al lavoro: dai salari minimi al rafforzamento degli istituti, l’Inail ad esempio, che hanno la responsabilità di verificare la regolarità delle posizioni di lavoro, fino ai Consigli del lavoro e della cittadinanza proposti dal Forum disuguaglianze e diversità.
Terzo. L’attenzione delle politiche pubbliche per i servizi ai contesti territoriali. Su scuola, salute, cura degli anziani, mobilità ci vogliono sì i principi nazionali ma l’attuazione va fatta tenendo conto e intercettando esigenze e saperi locali. È l’unica strada per ridurre la marginalizzazione di pezzi d’Italia, dalle periferie alle aree interne. Infine una rigenerazione radicale e ben fatta nella Pubblica amministrazione.

 Sulle spalle dei giovani peseranno i debiti contratti in questo periodo. Quali sono quindi le opportunità che la sinistra dovrebbe mettere loro a disposizione?  
Dare loro potere. Tutti parlano dei giovani, dicono «i giovani vogliono…», ma sempre con l’idea di decidere noi cosa devono fare. Dare potere ai più giovani vuol dire innanzitutto che un maggiore numero di bimbi può accedere a nidi e scuole dell’infanzia e che un numero maggiore di giovani si laureano. I dati italiani da questo punto di vista sono scoraggianti, siamo fanalino di coda tra i paesi industrializzati. Ma non basta. Per avere potere devi avere anche i mezzi finanziari. Due donne diciottenni avranno vite diverse se una delle due ha la possibilità di lanciare una start up o di andare all’università migliore anche lontano da casa, e l’altra no. La proposta del Forum diseguaglianze diversità è quella della dote di 15 mila euro per i giovani, per tutti i giovani. Lo slogan è: per una volta tutti uguali. Chi la rigetta è un conservatore che vuole mantenere le disuguaglianze.

Sud. Lei è stato ministro della Coesione sociale, vede oggi in agenda politiche e scelte efficaci per il Mezzogiorno? 
Non ho mai condiviso la strategia dei trasferimenti compensativi: non sono quelli che fanno la differenza. Ho invece visto con piacere da parte dell’attuale ministra per il Sud, Mara Carfagna e di questo governo il riferimento ai livelli essenziali di prestazioni per i servizi fondamentali. In definitiva uno dei grandi problemi del Sud è il mancato rispetto del contratto sociale da parte dello Stato che non dà al Mezzogiorno servizi dignitosi.  Quindi si tratta di garantire i livelli dei servizi. Ricordo che, durante il governo Berlusconi 2000-2005, quando ero capo dipartimento all’Economia nel Mef, ministero allora guidato dal ministro Tremonti, fissammo obiettivi di servizio, monitorati. E stabilimmo un premio complessivo di 4 miliardi alle Regioni del Sud che avessero raggiunto un miglioramento della loro capacità amministrativa, misurato da 15 indicatori. Buoni risultati ebbero Campania e Puglia, pessimi Calabria e Sardegna. E i cittadini nel voto ne tennero conto. Si possono insomma creare meccanismi virtuosi.

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