Alain Delon, la costruzione del mito

Sono centinaia le immagini di Alain Delon che riempiono stamattina le pagine facebook, pubblicate dai suoi ammiratori, soprattutto ammiratrici. Quasi tutte prevedibili (e insignificanti) con una segnalazione di ulteriore, particolare, prevedibilità per quelle che giocano sul titolo di un film di cui Delon fu protagonista, La prima notte di quiete, che sarebbe appunto quella della  morte. Un film di Valerio Zurlini, a mio parere assai sopravvalutato.

Ma torniamo alle immagini, perché ce n’è una che invece  merita di essere  vista.

Circolava su facebook già in precedenza con commenti ironici del tipo «quando presenti la tua ragazza a un altro…». La foto ritrae un trio. Al centro Marianne Faithfull rigorosamente in minigonna anni 60 che mette in rilievo le sue lunghe gambe. Guarda alla sua destra sorridendo, divertita e affascinata da Alain Delon compiaciuto ed elegante. Alla sinistra,  messo in angolo, piccolo di statura, triste, impacciato, mal vestito, con i calzini spaiati c’è un altro giovane. Non è difficile identificarlo: si tratta dell’allora fidanzato di Marianne, un certo Mike Jagger, non proprio un tipo insignificante.

Di qui il meme con tutta la sua ironia.

Insomma, la morale è che puoi anche essere Mike Jagger ma di fronte a Delon, scompari. Ecco in questa immagine e in questa sua lettura c’è molto del destino di Alain Delon, quel mito del bel tenebroso, dell’irresistibile misterioso e  perverso, distruttivo e autodistruttivo, in cui si mescolano le vicende della sua vita e quelle dei suoi personaggi.

Quella mescolanza che è la componete essenziale del divismo come ci ha spiegato Edgar Morin. Sono tantissimi i personaggi costruiti su questa linea, tanto da contenere al proprio interno un rischio: quello di rappresentare una maschera, un cliché. Se questo non è avvenuto, se Delon è andato al di là della sua travolgente, pericolosa bellezza, lo si deve oltre che al suo naturale talento di attore, anche ai registi che lo hanno diretto i cui nomi oggi si dovrebbero ricordare.

Visconti certo, ma anche Réné Clément a cui deve il primo grande successo, e poi Antonioni, Melville, Malle, Losey, Schlondorff, fino a un certo Godard, perché se Delon è diventato Delon un po’ è merito di quel cinema di ricerca artistica, di valorizzazione dell’autorialità (politique des auteurs proclamavano i francesi), di grandi ideali progressisti, a cui lui cinico, maschilista, reazionario era del tutto estraneo ma che è imprescindibile nella costruzione della sua sua dimensione divistica.

Related posts

Il Berlinguer di Andrea Segre senza retorica e santificazioni. Umano, serio e popolare

La Russia di Limonov: monotona e violenta

La Rai sempre meno centrale nel sistema televisivo nazionale