Aldo Agroppi, uno spirito libero dal cuore granata

Darwin Pastorin

Aldo Agroppi era un toscanaccio di quelli veri, per sempre fedele alla sua Piombino, con quella sua maniera, concreta e non filosofica, di parlare di calcio senza maschere, reticenze o banalità: amava andare in direzione ostinata e contraria, senza guardare in faccia niente e nessuno, polemista vero, amato e odiato.

Era così anche da calciatore, simbolo del Torino e un riconosciuto «Cuore Toro», un lottatore elegante, beniamino della curva Maratona granata. Da ragazzino impazziva per Omar Sivori, il rebelde della Juventus: «Era un campione e un anticonformista, poi sono entrato per la prima volta al vecchio e caro Filadelfia, il campo dei campioni caduti a Superga, il prato verde di capitan Valentino e degli altri eroi. Da quel momento, il Toro mi è entrato nelle vene e nel cuore, come un uragano di bellezza e di identità». Per Cesare Pavese «un paese ci vuole», per lui poteva esserci soltanto quella maglia, indossata, ogni volta, come una seconda pelle.

Ha allenato, ha portato la sua idea del pallone nelle stagioni in cui arrivavano i nuovi profeti visionari della zona. Per lui era tutto molto più semplice. Sudore, grinta, determinazione «e se hai uno come Roberto Baggio, gli altri possono restare a guardare». Proverbiali i suoi finti litigi fraterni con un altro toscanaccio, Nedo Sonetti, sempre di Piombino. «Nedo vince quando a fare la formazione è la sua mamma!».

Dopo un battibecco a distanza, su Radio Kiss Kiss Napoli, nella trasmissione magistralmente condotta da Valter De Maggio, poi chiarito, non solo siamo diventati amici, ma l’ho voluto come opinionista, a La7 Sport, per «Il gol sopra Berlino», un mese di diretta per quell’indimenticabile mondiale azzurro, trasmissione ribattezzata, per via dei commenti al rasoio di Aldo, dal professor Giorgio Simonelli «Il gol sopra Piombino», e per «Le partite non finiscono mai», al fianco mio e della bravissima Cristina Fantoni; l’altro ospite fisso era Boniek (poi per «Le partite» addirittura Gigi Buffon, in collegamento da Torino).

Aldo era ingestibile, funambolico, uno spirito libero. Ma possedeva anche una generosità senza fine e una profonda, a volte lacerante tenerezza: raccontò in diretta la sua depressione, quel buio che arriva all’improvviso e come improvvisante, se hai fortuna, ritorna la luce, suscitando nello studio e nei telespettatori un’autentica commozione.

Aveva la battuta pronta, non risparmiava frecciate soprattutto alla Juventus e a quei tecnici che gli sembravano artefici di una finzione estetica, di un calcio senza più sentimento. Lui e Gian Paolo Ormezzano si ritroveranno, ora, tra le nuvole, a raccontarsi, tra risate e pacche sulle spalle, quel loro amore struggente e universale per il Toro.

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