Argentina 1985, o del valor civile della memoria storica

Quando, un paio di anni fa, ho iniziato questa rubrica mi ero ripromesso di non parlare di film che uscissero direttamente sulle piattaforme televisive saltando il passaggio nella sale cinematografiche. Salvo casi eccezionali: eccezionali per particolari vicende distributive, come accadde al film di Verdone, o per il valore del prodotto, come nel caso di cui intendo parlare questa volta.

Il caso è quello del film di Santiago Mitre, Argentina 1985, presentato in concorso nell’ultima Mostra del Cinema di Venezia, uscito nelle sale alla fine di settembre solo nel paese d’origine e da qualche giorno disponibile su Prime Video, nel resto del mondo. Il notevole valore del film, di cui parleremo, non ha lasciato segno né presso la giuria veneziana nel corso del festival, né ora sulla stampa d’opinione, dove invece appaiono profonde riflessioni di prestigiosi intellettuali sul film cannnibalesco di Guadagnino. Al quale mi permetto di riservare solo una citazione fantozziana: «per me è una boiata pazzesca».

Ma torniamo al film di Santiago Mitre, che ha un merito fin dalla sua scelta di fondo. Non si occupa della feroce dittatura di Videla, su cui esiste peraltro un’ampia e valida produzione cinematografica, ma di quella zona grigia, piena di ambiguità e sotterfugi che è il periodo successivo alla caduta della dittatura, il momento in cui si giunge alla resa dei conti, all’accertamento delle responsabilità e ai furbeschi e codardi tentativi di sfuggirvi. Nel caso specifico, del processo dei militari che responsabili di orrendi crimini, processo che qualcuno vorrebbe celebrare nell’abito del tribunale militare insabbiando il tutto e che invece viene affidato alla giustizia civile.

Qui comincia la nostra storia, quella del giudice Strassera a cui viene affidata l’istruttoria, concedendogli poco tempo, pochi mezzi e nessun aiuto se non quello di un giovane, inesperto avvocato, oltretutto rampollo di una nobile famiglia assai vicine al regime. Insomma, le premesse non sono per nulla confortanti, tanto che lo stesso giudice Stazzera, interpretato magnificamente da Ricardi Darin, non manifesta grande entusiasmo e nessun ottimismo per l’impresa a cui è stato chiamato.

Se dunque alla fine sarà diventato un eroe, sarà un eroe per caso, non privo di qualche contraddizione e parecchie sfumature. D’altronde le sfumature sono la grande ricchezza e l’originalità dell’opera: si manifestano nella vita famigliare del giudice con spunti ironici, nella vicenda di amicizia e conflitto con il giovane aiutante che si dipana tra scene drammatiche e battute divertenti, nella dimensione legal che si prende buona parte del film tra interrogatori, obiezioni, testimonianze, arringhe, colpi di scena non del tutto inattesi ma sempre pieni di pathos.

Proprio pochi giorni fa è arrivata la notizia della presenza di Argentina 1985 nella short list dei 15 film ancora in concorso per l’Oscar al miglior film straniero. Personalmente, sulla delusione diffusa per l’assenza nella lista del film di Mario Martone ha prevalso la soddisfazione per l’inclusione del film di Mitre, che in caso di un positivo risultato nella competizione potrebbe ottenere quella visibilità che finora gli è stata ingiustamente negata.

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