Buongiornissimo? No grazie. Il costo ecologico dell’abuso digitale

La mia amica e collega Lea, sempre attenta e sensibile al nostro quotidiano, qualche tempo fa mi sollecitava: «hai il dovere morale di scrivere un pezzo sul costo in termini energetici, e quindi ecologici e ambientali, dell’invio di milioni di immagini beneauguranti su WhatsApp per Natale. Io ne ho ricevute migliaia, sui gruppi, singolarmente, dappertutto! E sono sempre le stesse che girano. Come si può fare per arginare questa omologazione e spersonalizzazione comunicativa indotta dalla facilità del mezzo, ma soprattutto per indurre un uso meno consumistico, ancorché virtuale?».

Con questa analisi, così mirata e precisa, e con le parole efficaci che, come sempre, Lea riesce a usare, potrei già chiudere il pezzo. Non mi va, però, di scontentarla, soprattutto per il fatto che mi gratifica che abbia pensato a me per sbrogliare questa matassa.

In tutto il mondo, l’uso delle App di messaggistica mobile e social (WhatsApp, Telegram, Facebook, Messenger, solo per citarne alcune) sta crescendo a un ritmo più elevato rispetto a qualsiasi altra App. A oggi, Whatsapp è il servizio di messaggistica più popolare al mondo: si stima che i suoi 1,6 miliardi di utenti attivi del 2021 arriveranno a 1,9 miliardi nel 2025.

Ognuna delle attività di base di queste applicazioni ha un piccolo costo: alcuni grammi di anidride carbonica vengono emessi a causa dell’energia necessaria per far funzionare i dispositivi e alimentare le reti wireless a cui si accede. I data center e i server necessari per supportare Internet e archiviare i contenuti a cui accediamo hanno invece un impatto più pesante. Secondo un recente studio della Royal Society, le tecnologie digitali contribuirebbero alla produzione delle emissioni mondiali di anidride carbonica (CO2) per una quota compresa tra l’1,4% e il 5,9% del totale. Sono cifre impressionanti, se si pensa che il solo traffico aereo ne è responsabile per il 2%.

Ma andiamo con ordine. È importante capire che l’invio di un’e-mail, di un SMS o di un messaggio istantaneo (WhatsApp, Telegram o Messenger) ha un impatto ambientale dovuto all’energia necessaria per gestire, trasportare e archiviare questi dati; ogni servizio di messaggistica ha dunque un peso differente dovuto alle diverse tecnologie utilizzate. Mentre per gli Short Message Service (SMS) si utilizzano le frequenze della telefonia convenzionale, i messaggi istantanei e le e-mail sono flussi di dati della rete Internet: si tratta di modi diversi di elaborare i dati che consumano dunque quantità diverse di energia.

Le alte percentuali a cui si faceva riferimento prima, sono determinate da un lato dai consumi generati dalla manifattura dei dispositivi quali smartphone, computer e sistemi di servizio (server, router, storage, firewall), dall’altro per l’energia necessaria al loro funzionamento. Principale colpevole è proprio il filone della messaggistica istantanea, salita in auge da quando la popolarità degli SMS è calata. I limiti degli Short Message Service, che si fanno risalire alla lunghezza predefinita del testo e al loro costo, ne hanno decretato definitivamente la fine: chi di noi non si è confrontato con contratti nei quali si garantiva un elevato numero di SMS gratuiti o con l’uso delle abbreviazioni (incomprensibili per me!) che tanto facevano storcere il naso ai puristi dell’italiano (k, x, nnt, xk)?

Poi è arrivato WhatsApp e tutto è sembrato più facile e conveniente: con le sue numerose funzionalità, tra cui la possibilità di inviare foto, video, documenti, quella di creare gruppi di destinatari, sottogruppi in cui escludere l’amico antipatico, gruppi di lavoro, di familiari e (aiuto!) gruppi scolastici con i genitori dei compagni dei nostri figli, le note vocali, la condivisione della posizione e, cosa forse più importante, la lunghezza del testo senza limite, è diventato il nostro principale sistema di comunicazione.

Per la sua semplicità d’uso, praticità e convenienza, WhatsApp è parte integrante della nostra vita e non solo di quella digitale. Secondo uno studio condotto dalla BBC, l’invio di un messaggio tramite un sistema di messaggistica istantanea implica un consumo che è analogo a quello dell’invio di una e-mail. E se poi il testo è accompagnato da emoticons, gif, note vocali o contenuti video o foto, il calcolo delle emissioni aumenta proporzionalmente. L’impronta di anidride carbonica di una e-mail è di circa 4 grammi di CO2. Tuttavia, se contiene allegati molto pesanti, si può arrivare anche a 50 grammi per messaggio: in un anno, un utilizzatore medio potrà arrivare a emettere anche 135 kg di CO2. Pertanto, se ogni adulto inviasse un’e-mail di ringraziamento in meno, si potrebbero risparmiare circa 16.400 tonnellate di carbonio all’anno che equivale, più o meno, a togliere dalla circolazione stradale 3.300 auto diesel. Anche il fastidioso spam è estremamente inquinante poiché si stima che un utente medio riceva circa 2.800 e-mail indesiderate ogni anno, responsabili di 28 kg di CO2.

Come ridurre allora le emissioni dei nostri dispositivi? L’Institution of Engeneering and Technology suggerisce piccoli gesti quotidiani come cancellare e-mail non più utili, eliminare foto o screenshot datati. Ma, principalmente, bisognerebbe limitare la tanto usata funzione «rispondi a tutti» per la posta elettronica ricevuta (cosa sulla quale mi batto e mi ostino con i miei colleghi universitari da anni), cancellare i dati inutilizzati sui cloud e nelle applicazioni di instant messaging, non utilizzare più di un dispositivo in contemporanea. Quanti di noi seguono un film o guardano la TV utilizzando contemporaneamente il cellulare?

Lo streaming di audio e video, che è il principale responsabile della crescita dell’utilizzo di Internet e del conseguente aumento di emissioni, rappresenta il 63% del traffico globale. Non sarebbe male lasciare la videocamera spenta durante una call su Zoom o Teams o Google Meet e attivarla solo quando si prende la parola.

Ma ritorniamo ai nostri WhatsApp e alla provocazione di Lea.

Chi tra noi non ha nei propri contatti qualcuno che ogni giorno condivide il buongiornissimo della mattina, il malumore del lunedì, la stanchezza del venerdì, il languorino prima di pranzo, la scaramanzia, i detti popolari, i doppi sensi, uno che interviene nelle nostre chat a ritmi regolari e scanditi nel tempo a colpi di gif? Si tratta di foto sgranate con estetiche raccapriccianti, su cui di solito campeggiano cuori, macchinette moka e tazzine fumanti per un energico risveglio, accompagnate da slogan scritti utilizzando come font caratteri iper-romantici o carnevaleschi. Solitamente, non ci viene concesso neanche il piacere di leggere una frase che vada a personalizzare il messaggio: spesso la foto viene riproposta così com’è, con lo slogan veicolato al suo interno.

Impossibile criticare i nostri amici divulgatori. In fondo, inviano saluti carichi di valori positivi, simpatici, spiritosi, sagaci, educati… poco male che celino ovvietà e luoghi comuni. È la positività che conta, non il font orripilante collocato su un’immagine sgranata. Quando poi i buongiornissimo si fanno articolati, entrano in gioco icone di cartoni animati, infanti, animaletti vari, soprattutto cagnolini e gattini, senza contare tutte le immagini che ci proteggono dalla iella con santini, cornetti, ferri di cavallo e corna utili a debellare i nostri demoni.

Il fenomeno ha visto la luce alle soglie del 2000. Nato come semplice scambio di immagini tra le nuove generazioni, a seguito di elaborazioni che ne implicavano una loro stilizzazione e un’astrazione, furono gradualmente ridotte ai noti meme, utilizzati per simboleggiare immagini culturali rivisitate in chiave satirica e di denuncia. Poi è entrata in gioco la generazione dei cinquantenni che ne ha modificato il metodo di rielaborazione per creare collage zuccherosi e ammiccanti ottenuti dalla fusione di grafica di pessima qualità e testi brevi.

Così, accanto alla prassi del buongiorno è seguita quella dei compleanni, degli onomastici, degli auguri di Natale e di Pasqua, quelli della Festa del papà e della mamma, dei nonni, gli anniversari di matrimonio e delle celebrazioni di tutto quello che la nostra società, guidata dalle leggi del marketing, ci impone.

Che valore può avere un augurio condiviso con tutti i numerosi contatti della rubrica? Quale contenuto empatico può manifestare? Per me sono solo messaggi sbrigativi e poco originali, privi di personalità, piatti, banali, anonimi. Frasi fatte e immagini riproposte in serie che trascinano con sé l’obbligatorietà di dover necessariamente rispondere all’augurio inviato.

Perdonatemi se non rispondo, perdonatemi se non inquino.


Why your internet habits are not as clean as you think
Institution of Engeneering and Technology
World Economic Forum, Global CO2 emissions have been flat for a decade, new data reveals

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