Caro Pizzul, è stato tutto davvero molto bello

Bruno Pizzul se n’è andato a 86 anni, in un ospedale di Gorizia, lasciando noi cronisti di un tempo senza un maestro, una bussola, un compagno di stadio ideale, una persona che, nel lavoro e nella vita, non è mai andato sopra le righe, mantenendo sempre quel tono pacato, confidenziale, quel parlare forbito, senza retorica, senza bisogno di affidarsi a citazioni, più o meno colte, per spiegare, illustrare, dimostrare.

Con noi giovani era sempre disponibile: con i suoi consigli, la sua esperienza, maturata anche sul prato verde da professionista: a Catania, difensore stoico e robusto, si trovò ad affrontare quel genio ribelle di Omar Sivori, il Dieguito ante litteram; e poi, per anni e anni, davanti a un microfono, il telecronista che ereditò la narrazione della nostra nazionale da un altro gigante del giornalismo: Nando Martellini («Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo», a sancire il trionfo degli azzurri al Mundial ’82, il Mundial della nostra gloria e della nostra nostalgia).

Bruno era preparato, sapeva emozionare senza bisogno di urlare, di inventare assurdi neologismi, grotteschi termini inglesi. Resteranno indelebili i suoi: «Partiti!», «Tutto molto bello», quel suo saper far parlare, al momento giusto, le immagini senza necessità di vuote frasi.

Il suo momento più duro, la telecronaca di Juventus-Liverpool, finale di Coppa dei Campioni del 29 maggio 1985, allo stadio Heysel: l’assalto alla curva Z, zona di pacifici sostenitori bianconeri, da parte delle belve inglesi, i morti, la confusione, il delirio, una partita da giocare «per questioni di ordine pubblico», una notte che Bruno non dimenticherà mai: «Un racconto che non avrei mai voluto fare: perché ho dovuto narrare delle cose inaccettabili sotto il profilo umano».

Poi i mondiali del 1994, la finale persa dall’Italia di Arrigo Sacchi ai rigori contro il Brasile, al Rose Bowl di Pasadena in California, con Roberto Baggio a dare spettacolo per tutta la manifestazione per poi diventare il nostro Achille per via di quel tiro dagli undici metri calciato alto. Pizzul usò la carezza e il conforto per il nostro fuoriclasse ferito, smarrito, in lacrime. Perché conosceva, come educazione sentimentale, la gentilezza, il rispetto, l’empatia.

La sua voce resterà nel tempo, nel riverbero di quelle stagioni del nostro calcio e della nostra vita. Una eterna primavera di bellezza. Orgoglioso di essergli stato amico e di aver ricevuto la sua stima.

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