Countryside, The Future è il titolo della mostra, curata da Rem Koolhaas e Samir Bantal, inaugurata il 20 febbraio 2020 al Guggenheim Museum di New York. Koolhaas anticipa l’evento in una intervista rilasciata nel 2017 al New York Times, il cui titolo iniziale era Countryside: the future of the world. A distanza di 40 anni da Delirious New York, il grande teorico della metropoli, sposta il centro del suo interesse dalla città alla campagna ponendo l’attenzione sulla vitalità delle aree rurali, sulle loro recenti trasformazioni che procedono ad un ritmo più veloce di quello che si registra nelle aree urbane.
«La mostra non ha nulla a che fare con l’arte, non ha nulla a che fare con l’architettura», dichiara Koolhaas, «è uno spettacolo su socialità, antropologia e politica»¹.
Percorrendo la rampa elicoidale progettata da Frank Lloyd Wright, si succedono fotografie, collage, fotomontaggi, oggetti, slogan e schermi su cui scorrono dati e materiali eterogenei che occupano l’intero spazio museale articolato su sei livelli. La mostra espone gli esiti delle indagini condotte da AMO, Koolhaas con gli studenti della Harvard Graduate School of Design, dalla Central Accademy of Fine Arts di Pechino, dalla Università di Wageningen nei Paesi Bassi e dall’Università di Narirobi. Attraverso una panoramica a livello mondiale di alcune aree rurali e della loro importanza storica, descrive lo stato attuale e prospetta quello futuro. Una grande mappa elaborata su un supporto planetario visualizza i siti presi in esame restituiti mediante punti, linee e superfici da cui si desumono posizionamenti geografici e relazioni intercontinentali tra i fenomeni analizzati.
«Il museo è uno strumento meraviglioso per qualsiasi autore per presentare una narrazione», scrive Koolhaas. In questo caso la narrazione conduce alla riscoperta delle aree rurali andando oltre la sfera del progetto architettonico o dell’esposizione di una collezione. L’attenzione è rivolta alle questioni ambientali, politiche e socioeconomiche che riguardano il 98% della superficie terrestre non occupata dalle città che sempre più condizionano il senso dello stare sulla terra e dunque dell’abitare.
I primi ragionamenti di Koolhaas sui territori rurali risalgono al 2012, anno in cui OMA Office Work Search pubblica il MANIFESTO on the Countryside. Tali riflessioni maturano in un momento in cui il mondo era caduto in una profonda crisi economica, la «grande recessione», innescata nel 2007 dallo scoppio di una bolla immobiliare che produsse, a catena, una grave crisi finanziaria nell’economia dei singoli paesi. Nel 2008 la «grande recessione» ha travolto anche l’Italia e gli effetti più evidenti si sono registrati nelle aree di recente formazione, nei territori della diffusione insediativa espressione di una violenta urbanizzazione della campagna: da una economia agricola si è passati bruscamente ad una economia industriale. Inseguendo lo scatenato liberismo degli anni ’90, piccole e medie imprese hanno occupato capannoni realizzati in tempi brevi in un paesaggio ancora segnato dalla cultura mezzadrile. Oltre alle strutture destinate ad attività produttive, case isolate, palazzine, ma anche attrezzature per il commercio e per il tempo libero hanno invaso il territorio, riducendo la campagna ad un sistema disarticolato di campi incolti, di aree in attesa di un cambio di destinazione d’uso per una possibile edificazione.
La crisi economica ha dapprima rallentato e poi interrotto il ritmo accelerato dello sviluppo urbano: la città ha smesso di crescere, i capannoni sono stati abbandonati, le case di nuova costruzione sono rimaste vuote. Vaste aree del territorio sono divenute improduttive e le opere realizzate dall’uomo, in progressiva decadenza, si sono trasformate in rovine².
Ragionando sulle aree investite dalla diffusione edilizia, la ricerca tende ad elaborare nuove visioni del territorio antropizzato prospettando azioni di de-urbanizzazione della campagna, ossia di ri-ruralizzazione delle aree sottratte all’uso agricolo. Questa inversione di tendenza rimette in discussione il rapporto tra urbano e rurale. La tesi sulla «campagna urbana», sviluppata da Pierre Donadieu verso la fine degli anni ’90, quando la città nella sua manifestazione diffusa invade il territorio, sembra essere superata.
Donadieu parte dalla presa d’atto che «la città trionfa; si estende quasi ovunque, insidiosa e spesso indiscreta, fin nel profondo di quella che viene chiamata campagna» e che «la città produce il cittadino, ma il suo ambiente di vita non si limita allo spazio urbano». Tali affermazioni conducono ad una visione dell’agricoltura come «infrastruttura verde» capace di recepire due tendenze espresse dalla società: da un lato il «bisogno di campagna» come alternativa agli ambienti urbani; dall’altro la diversificazione delle economie agricole per rispondere a una domanda urbana che non è più esclusivamente alimentare. Donadieu giunge ad affermare che «il modo migliore per conservare una campagna agricola viva e dinamica è di farne dei paesaggi ad uso dei cittadini». La «campagna urbana» è dunque lo spazio del loisir, è il polmone verde che consente agli agricoltori di vivere a contatto con la cultura urbana: «non è la fine dei contadini ma l’avvento dei contadini delle città»3.
A distanza di vent’anni dalla pubblicazione di Campagnes urbains di Pierre Donadieu e a seguito dei mutamenti economici e sociali che hanno prodotto effetti devastanti sul territorio, la ricerca si indirizza verso l’esplorazione di nuovi temi. A partire da un ribaltamento dello sguardo si giunge a rinnovare il rapporto tra città e campagna: non è più la visione urbana ad indirizzare i processi di trasformazione, ma quella rurale ad offrire spunti per una rigenerazione del territorio antropico. Entro questa ottica la campagna potrebbe riaffermare la sua essenza originaria, quella di terra coltivata, risorsa economica e produttiva, piuttosto che spazio del tempo libero, paesaggio ad uso dei cittadini. Il tema centrale è dunque la riconfigurazione dello spazio del lavoro e non quella dello spazio pubblico come emanazione della città. La valenza produttiva non esclude la possibilità di approfondimenti in termini estetici che potrebbero condurre alla costruzione di un nuovo paesaggio agrario capace di accogliere al suo interno tradizione e innovazione associati alle nuove pratiche colturali.
La trasformazione dovrà agire sui territori improduttivi quelli investiti dalla recente industrializzazione che ha alterato gli equilibri originari associati ad una economia prevalentemente agricola del territorio. Gli effetti più disastrosi di questo cambiamento sono quelli generati dalla crisi della produzione industriale che ha portato all’abbandono di un consistente numero di manufatti di recente realizzazione. Le opere edilizie dismesse sono prevalentemente i «capannoni proliferanti del capitalismo molecolare»4, così li definisce Aldo Bonomi, ad essi si aggiungono gli spazi aperti in disuso, quelli per lo stoccaggio e la movimentazione delle merci, i piazzali destinati a parcheggio e in generale tutte le aree pertinenziali che si stagliano sullo sfondo del paesaggio agrario.
Le placche industriali si sono sovrapposte alla trama dei campi agricoli e i loro manti impermeabili hanno reso invisibile la terra. La rete infrastrutturale ad esse connessa ha messo in crisi l’originario sistema di relazioni interpoderali ed ha dato vita a nuove centralità, spesso avulse dal contesto, in corrispondenza dei principali nodi di scambio. Osservando con attenzione la geometria di queste placche si riconosce il loro principio costitutivo espresso dalla fusione di particelle contigue e dalla semplificazione del disegno del suolo, determinata dalla cancellazione di tracciati preesistenti. Le placche, isolate o aggregate, sono individuate dai loro confini, sanciti da recinzioni metalliche erette per delimitare spazi aperti, aree di pertinenza dei singoli capannoni. Oltrepassando questi limiti ricompare la trama agricola originaria: campi stretti e allungati sottolineati da fossi e filari alberati sono la testimonianza di una insistente azione di bonifica perpetrata nel tempo.
La rigenerazione di questi suoli divenuti improduttivi presuppone una riorganizzazione generale del territorio investito dalla urbanizzazione diffusa. La tessitura dei suoli agricoli, figura persistente e ancora riconoscibile nell’assetto dei territori periurbani, può costituire la matrice strutturale su cui mettere in atto un programma di rivitalizzazione delle aree divenute improduttive. Agendo sulle aree industriali dismesse è opportuno innanzitutto smantellare tutto ciò che ha contribuito ad estraniare queste placche dal contesto di appartenenza, a partire dalla rimozione dei confini che agiscono come marcatori dei lotti industriali. Lo sconfinamento, ossia il superamento dei limiti fisici fissati dai recinti, si afferma dunque come azione preliminare indirizzata a cicatrizzare il lacerato tessuto connettivo fatto di canali e strade vicinali e a ripristinare quella trama agraria, radice etimologica degli insediamenti rurali. Tale azione produce inevitabilmente effetti sui manufatti che insistono sui lotti, su quei capannoni che per via della dismissione si sottopongono ad una progressiva smaterializzazione: dalla demolizione parziale che porta ad un consistente ridimensionamento volumetrico e al possibile riutilizzo degli spazi associato a nuovi programmi funzionali, alla demolizione totale che attiva un processo di rinaturalizzazione delle aree industriali. Ma lo sconfinamento non è sufficiente alla riconversione di queste aree improduttive. È necessario intraprendere una nuova azione di bonifica dei suoli: il dissodamento del terreno richiede la rimozione e il successivo smaltimento del manto di superficie che lo ha occultato. Nuove opere di drenaggio e irrigazione si rendono indispensabili per assicurare ai terreni di natura argillosa e sabbiosa un buon rendimento agricolo5.
La campagna tende ad assumere un ruolo centrale nella riorganizzazione del territorio antropizzato e l’agricoltura ritorna ad essere attività primaria, asse portante, tra l’altro, delle più recenti politiche europee6. Tra tradizione e innovazione, la produzione agricola potrebbe innescare il cambiamento e le aree rurali, non più marginali e sottomesse alle dinamiche urbane, si affermano come nuove centralità in un territorio mutante.
La produzione agricola si indirizza verso la policoltura contadina, alternativa alla monocoltura industriale propagandata nel ventennio fascista ed esperita fino agli anni più recenti. L’agricoltura policolturale privilegia i campi di piccola dimensione e si manifesta attraverso la biodiversità, per cui la riscoperta e la valorizzazione della originaria trama agricola costituisce il presupposto di una azione rigenerativa che produce effetti sulla struttura formale del territorio ma anche su quella sociale attraverso il ripristino delle relazioni interpoderali su cui si è fondata la cultura mezzadrile. La dizione «agricoltura contadina» esprime il senso profondo di questo mutamento economico e sociale che sta investendo il settore agricolo. «L’agricoltura contadina, accessibile a tutti, è animata da uno spirito di equa ripartizione delle risorse e di ridistribuzione dei frutti materiali e simbolici; avendo una visione di lungo periodo, è solidale con la natura nella prossimità territoriale e nella vastità del pianeta: crea alleanze nella cittadinanza rurale e urbana»7.
L’agricoltura contadina «cura le ferite inferte alla terra». Essa non è detrattiva ma ricostitutiva della fertilità dei suoli, assume una valenza biologica, ecologica, sostenibile, naturale, biodinamica, sinergica, permanente. Espressioni differenti che hanno in comune un rinnovato modo di osservare, di lavorare, di vivere la terra, che si fondano sulla riscoperta del profondo legame con la natura e che auspicano un riequilibrio ambientale. Tutto ciò si inscrive in una nuova filosofia del suolo che si nutre delle ricerche condotte da Ivan Illich incentrate sul ruolo antropogenetico dell’abitare e del coltivare la terra, sul paesaggio come prodotto dell’«arte di vivere»8.
Il ritorno alla terra è praticato prevalentemente da giovani, molto spesso neolaureati in cerca di occupazione, che decidono di tornare nei territori di origine e di dedicarsi all’agricoltura. I sociologi stanno studiando il fenomeno, quello appunto dei «ritornanti», associandolo alle aree interne investite dal forte spopolamento ma anche a quelle divenute improduttive per effetto della recente crisi industriale 9.
I nuovi contadini si occupano del settore primario, praticano un’agricoltura innovativa e digitale ma con uno sguardo al passato, ai valori della ruralità. Se da un lato essi sono intenti a sperimentare nuove tecniche nella produzione di cibi sani, dall’altro non rinunciano ad apprezzare il valore della tradizione e della cultura degli alimenti nel rapporto con i contesti locali.
La riscoperta e la valorizzazione dei caratteri rurali e l’introduzione di tecnologie innovative nella conduzione agricola del suolo potrebbero costituire un’opportunità per elaborare nuovi modelli produttivi e distributivi dei prodotti sul territorio. Al fine di valorizzare la qualità della nostra agricoltura, si afferma sempre più la «filiera corta» che punta a limitare e circoscrivere il numero di passaggi produttivi e di intermediazioni commerciali nella finalità di controllare la qualità e la provenienza dei beni alimentari. Chilometro zero, consumo consapevole, economia solidale conducono ad un rinnovamento dello stile di vita e più in generale del modo di abitare la città e il territorio. Prende corpo l’ipotesi progettuale di un «paesaggio commestibile», in cui la città riscopre il vitale rapporto agroalimentare con la propria campagna.
1_Koolhaas, R., Countryside: the future of the world, in: The New York Times, 29 novembre 2017.
2_Una recente ricerca condotta sul territorio medio-adriatico ha rilevato la presenza di un consistente numero di capannoni improduttivi. Solo nella vallata del Tonto, su una superficie coperta di circa 3,5 milioni, poco più di 1/3 è utilizzata, la restante parte è costituita da capannoni inutilizzati o sottoutilizzati. Coccia, L., Gabbianelli, A. (a cura di), Riciclasi capannoni, Aracne, Roma 2015.
3_(15) Donadieu, P., Campagne urbane. Una nuova proposta di paesaggio della città, edizione a cura di Mininni, M., Donzelli Editore, Roma 2006. Titolo originale: Campagnes urbains, Actes Sud, Arles 1998.
4_Bonomi, A., Il capitalismo molecolare, Einaudi, Torino, 1997.
5_Coccia, L., Terre basse, in Coccia, L., Di Campli, A. (a cura di) Indagini sul territorio rurale tra Italia ed Ecuador, Quodlibet, Macerata, 2018.
6_Si fa riferimento ai Programmi di Sviluppo Rurale 2014-2020 redatti dagli stati membri e dalle regioni dell Unione Europea. L’attuazione delle azioni previste nel PSR è cofinanziata dal FEASR, Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale, e da contributi nazionali e regionali.
7_Agostini, I., Il diritto alla campagna. Rinascita rurale e rifondazione urbana, Ediesse, Roma 2015.
8_Agostini, I., ibid., p.104.
9_Bonomi A., Masiero, R., Dalla smart city alla smart land, Marsilio, Venezia 2014.