Contro l’Astrazione

Gianluca Peluffo

Quello che davvero mi ha colpito in questi 25 anni di furibonda globalizzazione, è stato il trionfo dell’astrazione.
L’astrazione è il vero nemico del mondo: è il deposito secco del nichilismo.
O la sua ultima traduzione criminale.

Prendete il capitalismo finanziario: l’astrazione e la distanza dall’uomo e dal prodotto, dal fare, dal saper fare, sono le sue più profonde essenze e forze.
L’astrazione ti rende potente e inattaccabile.

Come ricordava Paul Virilio, nel mondo dell’oggi, in questo cattivo e osceno presente, fatto di velocità e virtualità, il disastro è l’unico evento capace di rimetterci in contatto con la realtà.
In generale i disastri sono locali, specifici, per estesi e drammatici che siano. Sono legati ad un luogo, ad un tempo, ad un territorio: il terremoto, lo tsunami, l’inondazione, il deragliamento di un treno, l’incendio di un grattacielo, il crollo di un ponte. Sono accadimenti eccezionali, localizzati.

Il disastro dell’11 Settembre 2001, agito direttamente da uomini, è stato l’unico tipo di disastro di peso globale avvenuto dentro questo nostro presente astratto, soprattutto dal punto di vista dello choc mondiale e delle sue conseguenze. E ha prodotto un nemico, più nemici, il male, e guerre che ancora sono attive, dopo 19 anni, come virus, spostandosi da un territorio all’altro.

La pandemia del Covid-19 è globale. Totalizzante. Diversa. É una forma mondiale di potenziale ri-contatto con il reale (il corpo, la malattia, la morte, la violenza nei confronti della natura, la debolezza delle Istituzioni).
Le fosse comuni a New York, i camion militari per trasportare i feretri a Bergamo, le mascherine in tutto il mondo, i centri commerciali, le fiere, le palestre trasformate in ospedali, le immagini delle radiografie dei polmoni: sono tutti terribili e violenti shock percettivi di un reale, naturale o meno, che ci sradicano via dall’astrazione e dall’anestesia percettiva.
Ci tirano per i piedi, ci mettono le mani nel fegato, ci rovesciano lo stomaco, ci spezzano il cuore.

Merleau Ponty afferma che «l’uomo e il mondo sono fatti della stessa carne», ovvero che esiste una continuità corporea, originaria e strutturale, che ci collega al mondo.
Quello che ci interessa in modo totalizzante di questo pensare la stessa materia che compone noi e la realtà fisica, è che linguaggio e malattia, piacere e percezione, ci uniscono in un sentire collettivo con le cose del mondo.

Allora se parliamo di individuo e di città, di città e paesaggio, di istituzioni e territorio fisico, ci rendiamo conto che il tema centrale oggi si trova proprio nella necessità di un linguaggio comune di queste essenze del mondo, che fra loro permetta il dialogo.

E allora torniamo a un nodo centrale ormai da decenni, il rapporto conflittuale e contraddittorio fra globale e locale.

Se sembra trasparire una verità, ovvero quella per cui le realtà istituzionali, culturali e sociali che hanno mantenuto un rapporto di contatto, conoscenza, dialogo con i propri territori, sono meglio riusciti a gestire la tragedia sanitaria ed economica del Covid-19, allora questo corto circuito fra pandemia mondiale e reazione specifica territoriale, può essere una chiave di lettura e ripartenza, un’occasione di rompere, fare crollare la vetrata cartesiana, astratta e grigia che getta la sua ombra oscena, priva di colore, sulle nostre vite.

Certo, dire oggi che dopo venti anni di contrapposizione culturale e politica fra locale (la verità o l’arretratezza) e globale (il progresso o la sopraffazione) abbia vinto il locale, forse è azzardato: sappiamo del resto da tempo che si tratta di una contrapposizione forzata e di per sé priva di senso, per cui nessuno può immaginare di fare a meno di una visione globale di economia e cultura, così come è fondamentale che energie e conoscenze locali restino forti e diffuse come contatto con la realtà del quotidiano.

Ma ad esempio proprio l’architetto e con lui tutte le professionalità, tecniche e culturali, dai i medici di base ai giornalisti, hanno la potenzialità e il dovere di essere figure di connessione e pacificazione di questo conflitto. Sicuramente da anni da parte di istituzioni, cultura e comunicazione si evidenzia una lontananza proprio dal reale del territorio, così come, appunto, il capitalismo finanziario si è allontanato con arroganza dal lavoro come valore fondamentale.
Oggi sembra evidenziarsi che se le istituzioni nazionali e regionali decisero nel recente passato che i medici di base fossero inutili e che il concetto astratto di eccellenza fosse conflittuale con la presenza di presidi territoriali, proprio dentro quella decisione ci sarebbe uno dei motivi di molte delle tragedie di oggi.

Di certo se così fosse, avremmo in mano una chiave di lettura interessante e utile per il futuro.

Anche pensando all’architettura e al suo ruolo culturale, sociale e professionale rispetto al territorio.
É proprio l’architettura una delle attività centrali nel fare crescere una realtà territoriale, attraverso il coraggio della contemporaneità e dell’internazionalità, e a difenderne le migliori qualità e l’umanità del fare specifico nel territorio. E qui è il cuore del ruolo politico dell’architettura: costruire gli spazi dove formare il cittadino nel doppio incontro tra singolo e collettività e fra realtà locale, appartenenza, e mondo. Il nostro è un mestiere politico e, in quanto tale, etico e di interesse collettivo proprio per questa capacità di connessione e creazione specifica ma contemporanea, di appartenenza ma anche di progresso.

Per questo la nostra professione deve tornare ad essere centrale e a servizio delle persone, non di se stessa.

La professione dell’architetto, che è diffusa e seria, è stata spesso umiliata, facendo credere che non essere visibili a livello nazionale o internazionale, equivalga a non esistere: il sogno, l’apertura verso il mondo, e l’amore per i territori conosciuti e sconosciuti è trasversalmente proprio del nostro lavoro, e prescinde in modo assoluto dalla notorietà e visibilità del singolo.
É il nostro lavoro, l’architettura, non i singoli architetti, a meritare importanza e notorietà per questo ruolo di snodo fra cultura globale e locale.

L’architettura è la creazione del cittadino, attraverso la costruzione di spazio e linguaggio specifici, che ri-connettano singolo e collettività, collettività e città, città e paesaggio.
Dentro questa azione politica troveremo motivi ed energie, etiche ed estetiche, per ripartire dentro la realtà fisica del mondo.

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