Costruire un soggetto politico collettivo, radicato sui territori e con un profondo sentire comune

Gianfranco Viesti

Le difficoltà delle forze di sinistra e di centro-sinistra non sono certamente un fenomeno solo italiano. Nel nostro Paese, tuttavia, assumono connotati più gravi. Manca, in particolare, una forza politica con un’agenda coerente di obiettivi; che provi a coagulare un diffuso consenso per la sua realizzazione, a costruire una coalizione per il progresso della società.

Il Partito Democratico, sia detto con grande rispetto per i tanti che si sono impegnati e si impegnano ancora, appare un partito irrisolto. Al suo interno ci sono differenze significative anche su questioni fondamentali. Sulla pace e sulla guerra, con alcuni esponenti che cercano di spingere verso un’iniziativa europea per la trattativa e altri schiacciati sulle posizioni americane. Così come sull’assetto dello Stato e sulla fruizione dei grandi diritti di cittadinanza, come si vede dalle opposte posizioni sull’autonomia regionale differenziata. Un partito che non ha voce, che non prende parte su queste grandi scelte come su altre, può poco.

Il Movimento 5 Stelle viene da una storia assai particolare; alcune sue posizioni in passato, come quelle sull’immigrazione o sullo sciagurato taglio dei parlamentari, certamente non sono classificabili nell’ambito della sinistra. E tuttavia è stata l’unica forza politica coerentemente in favore delle fasce più deboli della società: fa pensare che il reddito di cittadinanza (positivo, fondamentale, pur con tutti i suoi difetti) sia stato introdotto da uno dei pochi governi senza il PD. Giuseppe Conte sembra aver impresso una direzione più chiara, che tenderebbe a collocarlo più stabilmente a sinistra, ma la cautela è d’obbligo.

Infine, gli altri gruppi e movimenti esistenti nello spazio politico più verso l’estrema si sono recentemente rinserrati in una lista elettorale di assai modesta attrattiva (Unione Popolare) o sembrano essersi principalmente trasformati in comitati elettorali per i propri esponenti di punta.

Così, alle elezioni del 25 settembre la destra ha vinto nettamente, pur con un aumento risibile dei consensi: dagli 11,7 del 2018 ai 12 milioni del 2022. Da un lato, per la scellerata decisione del PD di escludere anche apparentamenti tecnici con i 5Stelle nei collegi uninominali: non vi è alcuna certezza, ma colpisce che se si fossero sommati i voti di PD e 5Stelle nell’uninominale, la destra non avrebbe ottenuto la maggioranza dei seggi nelle due Camere. Dall’altro, per il pessimo esito elettorale di entrambi: non sono solo i Pentastellati ad aver perso oltre metà dei voti del 2018, passando da 10,7 a 4,3 milioni (pur con una sensibile rimonta rispetto ai sondaggi preelettorali), ma anche il PD (e alleati) ad essere scesi dai 6,2 milioni del 2018 ai 5,4 di settembre. In un quadro in cui, a causa della mancanza di un’offerta politica adeguata, ben 16,7 milioni di Italiani (il 36% degli aventi diritto) non si sono recati ai seggi e 1,3 hanno votato bianca o nulla. Tendenze, quelle astensionismo e al calo dei voti per PD e alleati, accentuate nel Mezzogiorno, come si è provato a mettere in luce in Leggere il voto degli Italiani al Sud (senza paraocchi), Rivista Il Mulino 24.10.2022 link

E ora?

Nessuno può avere la presunzione di voler indicare percorsi e soluzioni. Solo due riflessioni.

La prima: colpisce come nel PD si sia avviata una fase pre-congressuale caratterizzata esclusivamente dall’emergere di candidature, senza una riflessione adeguata tanto sulle cause profonde dell’insuccesso quanto sui possibili temi di una strategia di rilancio. Ripartire dai nomi e biografie individuali, e non dalle questioni collettive che interessano la vita dei cittadini pare indice del permanere, anzi dell’aggravarsi, dei problemi.

La seconda è che non si può ripartire solo da una critica serrata (per quanto indispensabile) delle decisioni del governo Meloni, dicendo ciò che non va. Per riconquistare consenso è indispensabile esporre con chiarezza le proprie alternative. Ma non si può essere convincenti con un bricolage quotidiano, caso per caso. È indispensabile partire, come si sarebbe detto un tempo, da «un’ampia analisi politica». Dal come la società italiana ed europea siano arrivate alla situazione dell’oggi. E dal domani possibile, auspicabile: dai valori e dagli obiettivi collettivi che si vogliono promuovere, da una visione «del mondo come lo si vorrebbe»; dalle concrete strade, dalle scelte nodali che vanno compiute per avvicinarsi a questo mondo. L’Italia richiede, in molti casi, soluzioni radicali nei fini e pragmatiche nei mezzi; chiarezza negli obiettivi e creatività negli strumenti.

Che non può nascere dal pensiero di un leader, né un testo appaltato ad esperti. Ma che richiede modalità di elaborazione condivise, partecipate: la paziente, lunga costruzione di un soggetto collettivo, radicato sui territori ma con un profondo sentire comune. Un programma di lavoro assai vasto, lungo, impervio; ma rispetto al quale non ci sono facili scorciatoie.


Sono interventi su questo stesso tema:
Oscar Buonamano, Costruire il campo dei progressisti, unire i riformisti, o che?

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