Dallo sceneggiato al biopic, evoluzione della narrazione televisiva

Giorgio Simonelli

Le polemiche suscitate dalla realizzazione di una biografia televisiva di Leonardo da Vinci messa in onda da Rai 1 e – diciamolo subito a scanso di equivoci – di pessima qualità (poi spiegheremo perché), ci offre l’occasione per fare una riflessione sul genere e sulla sua ormai lunga storia.

Prima di tutto è necessario sottolineare l’importanza del genere biografico, sul piano culturale e civile. Dedicare una fiction a un personaggio non è una scelta neutra, significa sottolinearne o ribadirne l’importanza, indicare un modello, un esempio. Come accade quando si fa un monumento o si intitola una via. Si tratta di una pratica antica, che risale al mondo antico, alla classicità al De viris illustribus di Cornelio Nepote, alle Vite parallele di Plutarco.

Quando la Rai si mise su questa strada piena di insidie, lo fece con gande prudenza e con notevole creatività. Era la metà degli anni Sessanta e da una costola dello sceneggiato, giunto all’apice della sua popolarità, prese forma il biopic. Il primo fu dedicato alla Vita di Michelangelo (1964); Leonardo sarebbe arrivato nel 1970, in mezzo ci fu una biografia di Dante nel settimo centenario della nascita.

In tutti questi casi l’operazione fu realizzata seguendo la linea drammaturgica diderot-brechtiana, svelando dunque apertamente la finzione, marcando la separazione tra gli attori (Volontè, Albertazzi, Leroy) e i loro personaggi, mescolando recitazione e documentazione. Certo quella era una tv pedagogica, che aveva come primo obiettivo quello di insegnare al suo pubblico chi fossero Michelangelo, Leonardo e Dante, prima ancora di proporre uno spettacolo. Ma a ben guardare la qualità dello spettacolo non mancava e il pericolo che gli italiani «si rompessero le palle» evocato di recente da Matilda De Angelis fu evitato grazie alla bravura di registi e attori, non attraverso cervellotiche invenzioni narrative.

Questa dimensione di distanza dall’oggetto trattato, una forma di rispetto ma anche una fonte di originalità, proseguì nel decennio successivo, al punto che i biopic divennero un ampio progetto affidato nientemeno che a Roberto Rossellini, il grande regista padre del neorealismo da tempo interessato alle potenzialità della comunicazione televisiva, Nacquero così i capolavori ispirati alle vite di Pascal, Cartesio, Agostino.

In tempi più recenti, nel periodo del Giubileo, dell’affermazione di una religiosità sbilanciata sul versante devozionale e di una Chiesa, quella di Papa Wojtila, prodiga di santificazioni, si delineò una forte tendenza alla realizzazione di biografie di uomini di fede, santificati recenti e meno o in odor di santità. Si succedettero, in particolare su Rai 1, le storie di San Francesco, Rita da Cascia, Padre Pio, Giuseppe Moscati, Agostino di Ippona, don Milani, don Bosco, don Pappagallo, don Gnocchi, papa Giovanni XXIII, papa Luciani, Paolo VI, papa Wojtila. Racconti che, salvo poche eccezioni, non brillarono per originalità, appiattiti su un modello uniforme, destinato a produrre un’agiografia che, pretendendo di essere popolare, in realtà finiva in una deriva di banalizzazione.

Poi si fece strada una nuova esigenza, spinta dall’affermarsi di una cultura liberista: quella di dare spazio, tra gli uomini illustri da celebrare nel progetto di costruzione dell’identità nazionale proprio di un servizio pubblico, ai capitani d’industria che hanno dato impulso al progresso del paese. Un paese non solo di santi, eroi (ed eventuali navigatori) ma anche di imprenditori. Così fu la volta di Olivetti, Mattei, Borghi, Piaggio, Luisa Spagnoli, le sorelle Fontana.

Nelle ultime stagioni abbiamo assistito a un ulteriore cambiamento nelle scelte dell’ambito in cui trovare le figure degne di un biopic, una svolta pop, piuttosto interessante. Non più santi ed eroi, ma personaggi del mondo dello spettacolo, in particolare la musica e lo sport. Dapprima Fabrizio de André e Mia Martini, poi, recentissimamente, un lodevole guizzo di originalità ha portato in tv le vite di Nada e di Renato Carosone. Una deviazione assai significativa nella linea delle scelte delle figure da illustrare: non più personaggi popolari e amatissimi, ma figure rimaste un po’ in ombra o dimenticate, tuttavia molto interessanti e rappresentative di un’epoca della storia della loro arte, vere occasioni di divulgazione.

Anche la scelta degli sportivi ha vissuto un forte cambiamento: se nel passato i vari Coppi, Bartali, visto più come figura civile che sportiva, Meroni, visto come un testimone e artefice del cambiamento di costume, erano eroi scomparsi da tempo e ormai mitizzati, l’ultima stagione ha proposto, grazie a Sky, ben due ritratti di un personaggio attuale e presente agli occhi dei telespettatori, Francesco Totti. Senza entrare nel merito del valore dei due prodotti (meglio il film della serie, a mio parere), sembra interessante questa tendenza a scelte biografiche di spiccata contemporaneità, più spendibili anche presso il nuovo pubblico ma anche più rischiose.

In un simile contesto, per tornare al punto di partenza, l’ipotesi di coinvolgere anche la vita di Leonardo da Vinci in un’ipotesi di attualizzazione è impresa di grande respiro, che richiede grandi talenti registici e attoriali e che non si può risolvere con il semplice inserimento di vicende e personaggi improbabili, incoerenti e inutili ai fini della illustrazione del personaggio.

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