Don’t look up e la decrescita

Il recente film distopico di Adam McKay, Don’t Look Up è una satira feroce del modo con cui le emergenze globali – in questo caso la distruzione dalla pianeta dopo un impatto con un meteorite – supportate da solide evidenze scientifiche possano essere strumentalizzate, stravolte, ridicolizzate e perfino negate dai meccanismi sociali, mediatici e politici, possano condurre alla fine del mondo.

Oltre alla realistica presentazione di una tale catastrofe, come lo dimostra Luciano Anselmo, ricercatore del CNR-ISTI, sembra che la cecità e il comportamento da struzzo dei media e dei politici presentate nel film sia inferiore alla realtà per quanto riguarda un problema reale e che dovrebbe essere trattato seriamente già da decenni – dal Rapporto Meadows del 1972, I limiti dello sviluppo – cioè il riscaldamento climatico globale. Lo scrive Valérie Masson-Delmotte, Ricercatrice in scienza del Clima dell’Università Paris-Saclay e vicepresidente del gruppo di lavoro I dell’IPPC (Intergovernmental Panel on Climate Change) delle Nazione Unite. Mi permetto di riprendere alcuni elementi del suo articolo. Scrive a proposito del film:

«Questa satira oscura gioca sulle molle classiche (trasposizione, esagerazione) per denunciare una mascherata sociale segnata da negazione, vanità, avidità e perdita dell’interesse generale… Il film mostra il divario, che ho spesso sentito, tra la ricerca scientifica, i media e il potere politico […], il divario tra il modo di operare degli scienziati e i rari e brevi momenti di scambio con i decisori politici – che si basano più sull’opinione individuale che su una solida base di conoscenza. Per esempio, una volta ho avuto tre minuti per presentare un rapporto dell’IPCC a un capo di stato. Purtroppo, come ho scoperto, la stragrande maggioranza dei decisori non legge i “riassunti per i decisori” dell’IPCC. Spero che alcuni dei loro consiglieri lo facciano, ma mi chiedo: che tipo di documento ricevono? […] Il film illustra anche bene i difetti della società dello spettacolo e dell’iper-consumo, il modo in cui operano certi media, la disinformazione che si diffonde più velocemente della conoscenza solidamente stabilita. Anch’io ho sofferto di questa dissonanza: come affrontare le questioni serie del cambiamento climatico in una sfera mediatica popolata da personalità spesso ombrose, che favoriscono la distrazione, la polemica e il semplicismo, tra due pubblicità che spingono la gente a consumare ed emettere sempre di più. Per esempio, l’ultimo rapporto dell’IPCC è stato pubblicato lo stesso giorno dell’annuncio del trasferimento di Lionel Messi al PSG. Tra il destino di un giocatore di calcio e il destino del pianeta, che cosa pensate abbia fatto scalpore? […] Colpisce molto osservare i piani d’azione delle industrie ad alta emissione di gas a effetto serra, come i combustibili fossili e il trasporto aereo (si potrebbe aggiungere il trasporto marittimo, aggiungerei), che si affidano pesantemente a tecnologie che dovrebbero eliminare la CO2 dall’atmosfera invece di de-carbonizzare rapidamente le loro attività, e il loro rifiuto di accettare i vincoli necessari per ridurre la domanda […] La realtà, ahimè, a volte è peggiore della finzione: il film mostra solo parzialmente il cinismo di coloro che traggono profitto dallo status quo, o il ruolo dei mercanti del dubbio che hanno costruito la disinformazione e il greenwashing per seminare confusione e salvaguardare i loro profitti».

 Aldilà della critica dei meccanismi di decisione politici, del circo mediatico sempre più basato sul divertimento – sull’edutainment – che sull’informazione e l’educazione del pubblico, si pone anche il problema del comportamento del pubblico. Chi è pronto ad abbandonare la sua macchina – se non è costretto a farlo – per utilizzare i trasporti pubblici? A rinunciare all’aereo – anche per fare poche centinaia di chilometri – per andare in vacanze o per lavoro? A consumare meno carne, a rinunciare ai prodotti usa-getta? A rinunciare agli spettacoli sportivi internazionali?

In questo articolo, Valérie Masson-Delmotte prende due esempi tipici dell’incoscienza. Quello dei responsabili politici ed economici e quello dei consumatori: il trasporto aereo e lo sport professionale. Entrambi – molto collegati tra loro – sono tra i più grandi segmenti inquinatori.

Nei prosismi giorni, il professore francese Jean-Jacques Gouguet, uno degli esperti mondiali nel campo dell’impatto economico e degli studi di utilità sociale dei grandi eventi sportivi, approfondirà per pagina 21 questo tema.

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