Si potrebbe dire che è la fine di Yalta e del sistema di regolazione dei rapporti internazionali che vi si disegnò. Nel lungo periodo della guerra fredda e della più aspra contrapposizione fra i due blocchi esisteva comunque un limite costituito dalla deterrenza nucleare. Con il crollo dell’Urss e del suo sistema si teorizzò la fine della storia ovvero l’affermazione completa della egemonia mondiale della logica del mercato senza «lacci e lacciuoli».
Dire la fine di Yalta vuol dire che la deterrenza è in crisi, tanto che ha portato la guerra in Europa fino a rendere scenario possibile l’escalation nucleare russa. E che oggi esistono Cina, India, i Brics e la Russia di Putin con cui Trump fa i conti. Paradossalmente Trump interpreta un nuovo ordine.
«L’ordine del caos» lo definisce Lucio Caracciolo, per evidenziarne i rischi, ma senza confutare che siamo ad una svolta storica. Un ordine che sostituisce la funzione di regolazione di organismi sovranazionali (peraltro invecchiati e deboli) con il criterio esclusivo della forza; della forza che deriva dal consenso, anche se minoritario data l’altissima astensione dal voto, che taglia ogni forma di intermediazione degli istituti del diritto della tradizione liberaldemocratica occidentale.
Maria Rosaria Ferrarese così scrive sul Mulino, «La nuova presenza del social “padronale” di Musk gli consente di disporre di un potente mezzo di influenza, sia attraverso la sua persona, sia attraverso i suoi algoritmi. La “disintermediazione” tanto esaltata nel passato, si rivela in realtà sempre più come uno spazio occupato da soggetti che fanno intermediazione senza dirlo, e che innervano con il loro potere il corpo sociale, in una crescente indistinzione tra pubblico e privato. Con la nuova alleanza tecno-populista inaugurata da Trump, quello spazio diventa occupabile non solo dal capitalismo, come avveniva finora, ma dai capitalisti in prima persona, che, come nel caso di Musk, diventano uno e trino, assommando in sé potere economico, politico e culturale».
Ed è la forza che fonda le relazioni internazionali. Dall’acquisto di Gaza e la deportazione di due milioni di palestinesi, all’estrazione privilegiata delle risorse naturali in Ucraina (il litio per l’high tech) in cambio della protezione Usa nei rapporti con la Russia. Verso la quale la logica amico-nemico viene messa in stand by dalla esplicitazione di un messaggio chiaro: oggi sono gli accordi fra oligarchi a reggere il mondo. Altro che ONU, Oms e via discorrendo. Con Musk che tratta con Russia e Cina i suoi investimenti di alta tecnologia (Tesla elettrica produce a Shangai).
E l’Europa ?
Con L’Europa Trump impone il suo dominio con i dazi. Questo è l’ultimo banco di prova della crisi delle classi dirigenti europee e del rischio di ecclissi della civiltà europea e del compromesso socialdemocratico del secolo scorso. La reazione delle attuali élite europee alla minaccia dei dazi Usa è caratterizzata da due opzioni, entrambe disastrose .
La prima è quella delle trattative bilaterali fra singoli Paesi e gli Stati Uniti, in cambio della accondiscendenza l’Italia potrebbe ottenere per il Parmigiano reggiano dazi inferiori al Camembert francese? Questa opzione oltre che violare i Trattati che prescrivono la competenza della Ue nelle relazioni commerciali esterne, e non dei singoli Stati membri, è la via senza ritorno della divisione europea.
L’altra opzione è: acquistiamo sistemi d’arma e gas dagli Usa come scambio per ridurre il peso dei dazi per i nostri prodotti. Quindi dipendenza militare, investimento bellico, esosità del prezzo del gas Usa a scapito di bollette per industrie e famiglie. Non considerando che il protezionismo per Trump è un must. Infatti, prima di verificare quanto di negativo possa accadere all’economia americana dopo la scelta isolazionista, è realistico prendere atto che deve misurarsi con l’enorme debito pubblico con l’estero e tener fede alle promesse elettorali per ridurlo.
Cosa opporre a questo?
In primis una reviviscenza, un tornare in vita della Ue come soggetto della nuova storia, anche come gruppo più ristretto di Stati rispetto ai 27. E nella sua policy mettere in pratica le indicazioni dei rapporti Draghi e Letta del rimpatrio dei 300 miliardi di euro all’anno di risparmio europeo investito all’estero. Lo spiegano economisti di diversa scuola, Stefano Fassina e Franco Bernabè.
Bernabè: «Per Trump il vecchio Continente vive di esportazione e gli USA si indebitano. L’austerità europea imposta dalla Germania ha creato un circolo vizioso di stagnazione e decrescita. La Ue deve aumentare la domanda interna, fare investimenti pubblici».
Fassina: «Così da sostenere il consumo interno, gli investimenti su generazione, diffusione e controllo dell’Intelligenza artificiale, sviluppo della green economy, rivalutazione del lavoro contro il dumping interno ed esterno alla UE».
In sintesi, le idee di John Maynard Keynes. Abbandono del warfare (sistema di guerra) e politica di convivenza sia pur competitiva nel mondo multipolare; rimodulazione realistica di relazioni commerciali con la Russia (non solo fra Putin e Trump).
Tutto ciò è essenziale per far tornare in vita l’Europa. L’Europa come ponte fra Occidente e Oriente, fra Nord e Sud del mondo.