Roy Menarini, uno studioso che ama affidare a Facebook le sue considerazioni su quanto accade nel mondo del cinema e dei film, ha fatto notare in un suo post come anche in questo ultimo weekend il podio dei tre maggiori incassi riservi una piacevolissima sorpresa. Insieme con Assassinio sul Nilo e con l’americano Huncharted si conferma la presenza di Ennio, il film di Giuseppe Tornatore sulla vita e la musica di Ennio Morricone.
Impresa straordinaria, sottolinea Menarini, per un documentario della durata di quasi tre ore.
Mi permetto di aggiungere il racconto della mia esperienza personale di spettatore, pensando che non sia pura aneddotica ma possa spiegare questo fenomeno felice, inatteso e, per una volta, rassicurante per chi ha a cuore il destino del cinema e delle sale cinematografiche.
Ho visto il film nel weekend precedente a quest’ultimo e non mi dilungo nelle valutazioni: è un lavoro eccezionale, frutto di lunghissime ricerche e di profondi colloqui con Morricone, con testimonianze rarissime e con un apporto decisivo del protagonista sia nel rivelare i propri sentimenti sia nello spiegare tecnicamente la sua arte. Ma confesso che mi sono deciso a vederlo in seguito alle entusiastiche insistenze (dal vivo e via social) di un amico.
Non sono un ammiratore di Tornatore che, a mio parere, ha fatto solo un altro film di grande valore, Nuovo Cinema Paradiso, non a caso anche quello un film che recuperava altri film. Gli altri suoi lavori non mi hanno mai entusiasmato, in certi casi irritato. Ennio l’ho visto nel tardo pomeriggio domenicale nella mia città, nell’unico cinema di una città di provincia. La provincia, appunto, quel settore in cui il cinema è più in crisi, dove il ritorno alla visione del film in sala, dopo le restrizioni del Covid, non è ripartito nelle forme sperate e a volte non è ripartito affatto con conseguenti chiusure.
Entrando in sala sono stato subito colpito dalla difficoltà di trovare un posto comodo: quasi tutto esaurito. Certo non si tratta di una sala enorme, ma francamente non ero più abituato a questo tipo di disagio di cui paradossalmente mi sono rallegrato. Ho visto poi che, sempre in questa profonda provincia, il film è rimasto in cartellone anche per tutta la settimana successiva e per il successivo weekend, quello di cui parla Menarini segnalando l’incredibile risultato a livello nazionale.
Forse, allora, il mio aneddoto autobiografico non è inutile per spiegare cosa sia accaduto al film di Tornatore, come sia stato possibile che in un momento tanto difficile, un documentario più lungo della media, bellissimo ma privo di quelli che sono gli abituali elementi di richiamo (star internazionali, storie avvincenti, effetti speciali), abbia avuto un richiamo così ampio e duraturo, in crescita con il passare di giorni di programmazione. Forse, azzardo l’ipotesi, è accaduto in ogni città d’Italia quello che è accaduto a me. Il richiamo non è venuto tanto o soltanto dalle critiche (che, sappiamo, non contano molto) né dalla campagna promozionale, ma dal passaparola, dall’entusiasmo, dalla commozione, dal divertimento che ognuno ha colto sul volto e nelle parole di un amico che aveva avuto il piacere di vedere il film.
Senza pensare di risolvere tutti i problemi in virtù di un’esperienza vissuta, credo siano possibili e utili una conclusione e un’avvertenza valide anche per gli strateghi del marketing e delle tecniche di promozione. Quando si propone un cinema di qualità, che non ha immediate, clamorose forme di appeal ma che custodisce nel fondo il segreto del suo fascino e lo diffonde a poco a poco, lentamente, non solo nel momento della visione ma, oltre, nei giorni successivi, sarebbe utile ripensare al ruolo del tam tam, del vecchio passaparola come elemento centrale della promozione del film. L’artigianalità che a volte viene celebrata come carattere positivo nella produzione nazionale, forse ha un suo valore anche nella fase di distribuzione.