Equilibri più fragili nell’Europa che esce dalle urne

Non avremo l’Europa della quale abbiamo bisogno. Il Parlamento Europeo che esce da queste elezioni non sarà troppo diverso da quello che va a sostituire, ma gli equilibri politici sottostanti sono profondamente cambiati. A determinare che Europa avremo saranno le elezioni in Francia che il presidente Macron, forse con troppa fretta e poca riflessione, ha fissato per la fine di questo mese di giugno e il voto tedesco per il quale dovremo aspettare il 2025. Un’influenza potente avranno, fuori dai nostri confini, le elezioni americane del prossimo autunno.

I consensi per i governi in carica nei due paesi chiave dell’Unione sono crollati e in Francia emerge prepotente una destra populista, nazionalista e antieuropea mentre in Germania la destra estrema resta limitata ma crollano socialisti e verdi, più flessibili sulle regole di bilancio e più impegnati contro la crisi climatica e ambientale.

Poiché Germania e Francia sono le forze maggiori, quelle i cui accordi e disaccordi hanno determinato frenate e consentito accelerazioni al percorso dell’Unione, dall’esito di quei voti dipenderà molto del futuro.

Quello che sappiamo già ora è che, se il voto europeo non cambia troppo gli equilibri nel Parlamento di Strasburgo li rende però più fragili il che vuol dire che i compromessi sui passi da fare saranno più difficili e probabilmente al ribasso, non cioè nella direzione di una Europa più forte, più competitiva, più unita. Vedremo abbassare le asticelle, rinviare i passi da fare per completare il mercato unico e renderlo più efficiente e quindi fattore di maggiore crescita e sviluppo; vedremo annacquare o forse addirittura mettere nel cassetto il Green Deal con la prospettiva di una perdita di competitività nei settori della green economy e un ritardo esiziale sugli obiettivi necessari di decarbonizzazione; vedremo rinviate sine die le riforme di governance per dare all’Europa rapidità nelle decisioni, forza nell’implementazione, capacità strategica e potenza politica nello scacchiere internazionale. Saremo più divisi che mai sul sostegno da dare all’Ucraina e sul rapporto con la Russia di Putin, il che accentuerà le divisioni e renderà più difficile il percorso verso una pace giusta.

L’esito delle elezioni in Francia e in Germania potrebbe portare a fratture sulle politiche economiche che per l’Italia e l’Europa intera potrebbero avere affetti assai pesanti. La vittoria delle destre in Francia determinerà politiche espansive mentre una vittoria della Cdu in Germania ridarà fiato ai rigoristi, a quel club dei virtuosi che mal sopportano la disinvoltura fiscale dell’Italia e mal sopporteranno quella della Francia.

Per l’Italia in particolare un’Europa più fragile e divisa aprirebbe una falla pericolosissima nella linea di difesa del nostro enorme debito esponendoci a rischi di mercato che non ci possiamo permettere. Facciano bene i calcoli i nostri governanti e valutino attentamente dove sta l’interesse del nostro paese che ha oggi un governo più forte di quelli in carica in Francia e Germania, ma che ha dietro un paese assai più debole.

Non fasciamoci la testa prima di essercela rotta ma stiamo bene attenti, avere una nocchiera salda alla guida non renderà più facile la navigazione nei prossimi mesi e anni, e confondere gli interessi di parte con quelli del paese e quelli effimeri di oggi con quelli duraturi di domani potrebbe essere pericolosissimo.

Per capire il domani dobbiamo però prima chiederci le ragioni di questo oggi. Per l’Italia l’analisi è relativamente facile, il governo Meloni ha avuto due anni economici buoni grazie in gran parte a quel costosissimo Superbonus il cui prezzo ci trascineremo dietro per anni e può contare nei prossimi due sul contributo alla crescita che verrà dal PNRR (se sapranno fare bene i compiti a casa), denaro che arriva da quell’Europa dalla quale la destra al governo prende le distanze.

 Per Macron e il cancelliere tedesco Scholtz l’economia non ha invece giocato a favore, e pagano anche per questo. A livello personale Macron non sembra riesca a raggiungere il cuore e la pancia dei francesi, è distante, e il muro che aveva consentito il suo successo, il rifiuto nei confronti di una destra lepenista, si sta sgretolando. Come è accaduto ormai trent’anni fa in Italia anche in Francia quel tipo di destra si sta sdoganando, non è più un collante sufficiente per tenere insieme lo spirito repubblicano maturato dopo la tragedia di Vichy. Il tempo passa, le generazioni si susseguono, la memoria del dramma si diluisce. Sono anni che la Francia profonda ribolle, da quel 2018 in cui esplose la rivolta dei gilet jaunes, e Macron non ha saputo trovare le risposte.

Olaf Scholz non ha il carisma per reggere sulle spalle un paese abituato alle certezze che gli offriva Angela Merkel né ha dimostrato la capacità di guidare il sistema verso i cambiamenti di paradigma che la crisi della globalizzazione rende necessari.

Tutti e due oggi non sono punti di forza dei loro schieramenti ma fattori di debolezza. La differenza è che in Germania l’alternativa sono i cristiano democratici, eredi di Adenauer, di Khol e della Merkel, europeisti e non una destra populista e nazionalista. Con loro non è l’Unione a correre rischi ma la flessibilità nelle politiche di bilancio.

Ma c’è uno strato più profondo di analisi che riguarda tutti, l’Europa, l’America che sceglierà tra gli ottuagenari Biden e Trump e il resto del mondo nel quale ha preso piede uno spirito antioccidentale legato al passato ma anche molto al futuro.

La gestione della globalizzazione, l’evoluzione tecnologica e la finanziarizzazione dell’economia che hanno fatto esplodere le disuguaglianze e impoverito la classe media nei paesi occidentali pesano enormemente sul piatto. Una classe media robusta larga e sicura di sé, un ascensore sociale che funziona e una distribuzione equa del reddito e della ricchezza sono il terrendo di una democrazia liberale vitale e partecipata. Senza quegli ingredienti il suo cammino si fa impervio. L’immigrazione, mal gestita e gonfiata nella percezione dalla propaganda delle destre, è un fattore importante.

Ma c’è un altro macigno su quel piatto ed è il rapporto con il futuro. Fuori dall’Occidente c’è una sorta di sovrapposizione tra modernizzazione e occidentalizzazione, accogliere i paradigmi della modernità da molti, forse dai più, è percepito come un processo di occidentalizzazione e di perdita di identità e la reazione è il diffondersi del nazionalismo, l’arretramento delle democrazie e l’allargamento dei regimi. E poiché il nazionalismo, così come i regimi, si alimentano di nemici e tendono a difendersi con le chiusure al nuovo, all’esterno, al diverso, non è un percorso di cooperazione e di multilateralismo quello verso il quale il mondo si sta muovendo.

Nell’Occidente e ovunque domina un clima di incertezza. Per la prima volta nella storia stiamo attraversando dei confini inediti, fin qui abbiamo progredito all’interno di un paradigma noto, la biologia degli uomini, le loro capacità intellettuali. Ora quel paradigma si sta evolvendo, l’ingegneria genetica apre prospettive incognite alla biologia e l’intelligenza artificiale prospettive altrettanto incognite all’evoluzione dell’intelletto. Non tutti siamo consapevoli di queste trasformazioni profonde, ma sono nell’aria, sono la nebbia che ci impedisce di vedere cosa abbiamo davanti, il che ci rende insicuri, in molti casi ostili al futuro, all’innovazione, al cambiamento e quindi più che conservatori, verrebbe da dire reazionari, abbagliati da un impossibile chiusura o un altrettanto impossibile ritorno al passato.

A questo sentire la destra non offre soluzioni ma la sua capacità di catalizzare le paure e farne patrimonio politico. La sinistra è forse più consapevole ma anche più insensibile a quelle paure, non ha soluzioni ma neanche la limpidezza di pensiero di opporre il patriottismo al nazionalismo, la determinazione per rimettere in moto l’ascensore sociale e ridurre le disuguaglianze.

I problemi che l’Italia e la Francia, la Germania, la Spagna, la Polonia e tutti i paesi dell’Unione dovranno affrontare sono enormi. Dal cambiamento climatico all’immigrazione, dall’evoluzione tecnologica al rapporto con il resto del mondo. La prima cosa certa è che insieme avremmo più forza per affrontarli, la seconda è che dopo queste elezioni agire davvero insieme sarà più difficile.

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