Federico Caffè e Mario Draghi, il maestro e l’allievo

Si è molto parlato in questi giorni del rapporto tra Mario Draghi e Federico Caffè: il primo è stato allievo accademico fino all’ottenimento della cattedra universitaria, abbandonata con indubbio rammarico del suo maestro. Draghi interruppe la sua brillante carriera accademica per avviarsi verso quella di civil servant, iniziata con un importante incarico presso l’organo direttivo della Banca Mondiale in rappresentanza di alcuni Paesi europei, tra i quali l’Italia. Da lì parte il suo formidabile cursus honorum che lo porterà all’attuale carica di Presidente del Consiglio.

Emergono chiaramente le diverse scelte di vita che hanno condotto Caffè a lasciare, dopo la scossa politico-sociale della fine degli anni Sessanta, la posizione di consulente della Banca d’Italia, da lui ricoperta certamente con «disciplina ed onore», come si può dedurre dalle affermazioni del Governatore Guido Carli, per dedicarsi pienamente all’attività di ricerca e didattica. Non solo perché l’allontanamento dalla Banca d’Italia gli consentiva di dare più spazio alla diffusione del suo pensiero, con la partecipazione a incontri con associazioni di volontariato e organizzazioni sindacali, oltre che con i numerosi articoli pubblicati su riviste e quotidiani: attività che egli riteneva parte del suo ruolo di docente universitario e pertanto non chiedeva compenso. Sempre, seguendo questa scelta di vita, rifiutò un pressoché sicuro posto di senatore indipendente di sinistra, meccanismo col quale il PCI coinvolgeva politicamente intellettuali, compagni di strada ma non comunisti.

Con questo ricordo si può intravedere chiaramente la differenza tra Caffè e Draghi; di quest’ultimo sono sicuro che Caffè avrebbe seguito con entusiasmo le tappe straordinarie della sua attività, col solo disappunto rispetto al periodo trascorso in un’istituzione privata come la Goldman  Sachs.

Mi sento di avanzare, sulla base della mia diretta esperienza, una valutazione delle diverse visioni del mondo espresse, nel corso degli anni, da Caffè e Draghi: del primo, più facilmente identificabile attraverso gli scritti che ci ha lasciato e di cui raccomando sempre la lettura, mentre del secondo è da ricostruire, muovendosi all’interno di un’attività pratica che si è svolta con l’inevitabile condizionamento delle scelte politiche da attuare.

Incontriamo così il riformismo radicale dell’ìntellettuale Caffè, alimentato dalla sua profonda attenzione alle varie manifestazioni delle diseguaglianze sociali, la cui attenuazione era parte fondamentale della sua aspirazione a fare muovere il Paese, seppure con il ritmo e la pazienza del «tappabuchi», verso una «civiltà possibile».

Mi piace illustrare questa mia valutazione con alcuni passaggi di scritti di Caffè in cui la sua passione civile si accompagna alle valutazioni dell’economista; mi riferisco a due esempi tratti dall’intervista rilasciata da Caffè a Nadia Tarantini, nella quale si trovano le rare tracce del suo amaro rapporto con l’Abruzzo. Dunque, dice Caffè, di avere gioito vedendo i contadini abruzzesi prendere finalmente un autobus per spostarsi da un posto all’altro, rinunciando a togliersi le loro «ciambelle» per camminare a piedi nudi, risparmiando così le loro ciambelle; oppure vedendo finalmente all’opera l’ospedale di Atri che, oltre ad offrire un servizio sanitario al territorio, aveva consentito di impiegare molti giovani, in particolare donne, sottraendole alla precarietà occupazionale. Due novità significative dalle quali però l’economista traeva anche lo spunto per illustrare praticamente come l’attivazione di servizi pubblici potesse essere un modo molto concreto per realizzare un chiaro miglioramento delle condizioni di vita dei ceti più deboli.

Ed ancora, in un altro contesto, Caffè affermava icasticamente come il sistema d’istruzione dovesse essere organizzato per consentire anche al «pastore abruzzese» di realizzare, non solo coltivare, il sogno di «avere il figlio dottore»; pregnante indicazione di investimenti pubblici, oggi diremmo in capitale umano, per diffondere, anche nei territori trascurati, strutture e personale didattici per accogliere risorse giovanili, altrimenti destinate inesorabilmente a compiti subalterni nella nostra società.

Esempi evidenti di quanto scelte consapevoli dei responsabili della politica economica, basandosi sulle elaborazioni critiche maturate all’interno della storia del pensiero economico, possano trarre, con atteggiamento eclettico, tutti gli spunti utili «a guidare l’azione» e correggere i fallimenti dell’«istituzione mercato» in termini di efficienza ed equità; sempre prestando, allo stesso tempo, doverosa attenzione anche alle possibili inadeguatezze dell’attività pubblica.

Dal canto suo Draghi  ha avuto una forte formazione cattolica negli  anni giovanili, ha poi attinto al messaggio interventista di Caffè per approdare, con il suo dottorato di ricerca, nella culla della cosiddetta sintesi neoclassica, rappresentata autorevolmente da tre Premi Nobel come Modigliani, Samuelson e Solow, docenti dell’MIT di Boston: studiosi che hanno confermato la piena legittimità dell’intervento pubblico nel fronteggiare le crisi economiche con interventi monetari e fiscali, ma fiduciosi nella forza allocatrice del mercato.

Inoltre, come civil servant, Draghi ha vissuto una fase del dominio intellettuale e politico del neoliberismo nell’economia mondiale; nell’Unione europea, in più ha incontrato la variante ordoliberista del pensiero tedesco, che ha esercitato un’evidente egemonia nell’orientare l’operato delle istituzioni comunitarie, in particolare nella fase critica iniziata nell’agosto 2007.

Mi sento di affermare che Draghi, tuttavia, abbia svolto un ruolo significativo nell’introdurre ripensamenti profondi, in sede europea, nella quale sono pur presenti Paesi scandinavi con esperienze socialdemocratiche importanti, così come, nella stessa Germania, l’affermazione della cosiddetta «economia sociale di mercato» non è retorica, ma fondata su fatti concreti. Qui si può intravedere l’impronta della cultura cristiana, tradotta in Italia nella seria presenza del solidarismo cattolico, sempre seguita con partecipazione ed attenzione da Caffè e non estranea, certamente, all’evoluzione culturale di Draghi.

Con lui mi sento di condividere, quindi, la sua piena legittimità di riconoscersi, come ha più volte fatto pubblicamente, nel messaggio formativo di Caffè caratterizzato dalla mancanza di ogni imposizione e dal ripetuto invito ai suoi allievi «a pensare con la propria testa».

Ed allora può essere anche per me un esercizio stimolante cercare le gocce di Caffè, presenti  nelle varie dichiarazioni rilasciate in Parlamento dal Presidente Draghi, certamente mescolate ad altre gocce di diversa provenienza: innanzi tutto, uscendo dall’ambito strettamente economico, il ripetuto richiamo  allo spirito di quell’unità repubblicana che, nel dopoguerra, rese possibile l’approvazione della Costituzione e  la consistente ripresa economica nel nostro Paese: esperienza quella, vissuta da Caffè con intenso coinvolgimento politico, come stretto collaboratore di Ruini, membro autorevole dell’Assemblea costituente e professionale, come componente della Commissione economica; inoltre, l’esplicita affermazione che lo sviluppo economico è il risultato cui concorrono certamente i fattori economici, ma anche «le istituzioni, la fiducia dei cittadini, la condivisione di valori e speranze».

Poi, per i problemi attuali del nostro Paese, il documentato riferimento alle diseguaglianze sociali (di territorio, genere ed età), preesistenti alla pandemia e da questa acuite; in questo quadro la sofferenza particolare delle donne e dei giovani; la consapevolezza della responsabilità della politica nella scelta degli indirizzi da dare all’uso delle consistenti risorse provenienti dall’Unione europea; l’attenzione convinta nei confronti di alcuni pilastri dello Stato sociale: sanità, istruzione e ricerca, ammortizzatori sociali; il forte impegno per le politiche attive del lavoro; il riconoscimento della positiva partecipazione  delle parti sociali  ai processi decisionali; l’equità del sistema fiscale.

Certamente, questo è soltanto l’indice di un libro tutto da scrivere, da parte del Governo Draghi, con numerose scelte che, come semplice cittadino, mi capiterà magari di contestare vigorosamente; ma il nostro comune Maestro, Federico Caffè, ci sollecitava appunto a non essere «pappagalli» di nessuno, tantomeno di sé stessi.

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