Chi direbbe, a freddo, di non essere contrario alla violenza sulle donne? Nessuno.
Eppure, quando si chiudono le porte sui pianerottoli, i buoni padri, i bravi mariti, i fidanzati premurosi, gli amanti passionali, i lavoratori onesti, i tranquilli vicini di casa, gli educati condomini, i compagni innamorati, i devoti corteggiatori, i garbati colleghi, i fedeli amici, possono abbandonare gli aggettivi di facciata, rivelare la loro doppiezza e trasformare in arma qualunque oggetto e le loro stesse mani contro le donne con cui vivono, contro quelle che non li vogliono più, contro le donne che reclamano il diritto di non essere oggetto di possesso, contro le madri dei loro figli e delle loro figlie, e contro i loro figli e loro figlie, e contro le suocere, le cognate, le amiche di famiglia e chiunque si frapponga all’insensato e devastante progetto di dominare il genere femminile in un carcere domestico.
Succede continuamente: di solito una volta ogni sei giorni di questa violenza una donna muore, ma in questo ultimo anno, grazie ai confinamenti per il contrasto dell’epidemia di covid, la media si è alzata a una volta ogni due giorni (dal Rapporto annuale del Viminale). L’ammazzamento delle donne in quanto donne, cioè il femminicidio, è però solo l’esito estremo di una pratica di violenza che conosce molte e variegate altre manifestazioni, talmente diffuse e radicate che parlare di emergenza è ormai decisamente fuori luogo.
Si va dalle diverse gradazioni della violenza domestica – limitazione della libertà, violenza psicologica, percosse, ricatto avente come oggetto i bambini e le bambine, abuso sessuale – alla tratta, allo stupro, allo stalking, alla diffusione non autorizzata di immagini e video, all’oppressione religiosa, alla violenza ostetrica e ospedaliera, allo sfruttamento del corpo femminile per la GPA o per la vendita dei neonati e delle neonate nel giro delle adozioni illegali, alla negazione del diritto all’aborto, alla negazione del diritto alla maternità, fino alla persistente differenza di trattamento economico e professionale fra uomini e donne. Solo per mantenerci a ciò che ci è più prossimo, tacendo di infibulazione, matrimonio infantile, negazione al diritto allo studio e negazione totale di diritti elementari che sono cose un po’ più esotiche, o almeno così ci piace credere.
È la storia delle donne, all’interno di quel quadro ininterrotto di credenze, tradizioni, costumi e usanze che in tutto il mondo, in culture e paesi reciprocamente sconosciuti, ha costruito capillarmente la rete del patriarcato, superando differenze linguistiche, oceani, montagne. La sola realtà presente dappertutto, oltre le microplastiche, ma con una storia molto più lunga.
La donna, che procrea e perde sangue una volta al mese, è una creatura troppo vicina al mondo animale, è oggetto di proprietà, è portatrice di disequilibrio e disordine. Il soggetto femminile, che è natura, frena e contraddice la storia che è incarnata dal soggetto maschile. Sembrano frasi assurde, ma invece è ancora il portato di questa lettura a dominare nell’inconscio collettivo maschile determinando lo stato dei fatti di oggi. E la condizione culturale, sorprendentemente, riesce solo in parte a fare la differenza.
La violenza di ambito domestico-affettivo è la prima causa di morte e invalidità delle donne italiane fra i 16 e i 65 anni. Moltissime di loro vengono uccise o ferite da uomini che detengono legalmente un’arma per difesa personale, per sport. E così lo sguardo sui percorsi della violenza si allarga, investendo il campo del rapporto fra spazio privato e sicurezza pubblica, investendo campi come la caccia, l’antispecismo, l’idea del maschile, del potere, il culto della sopraffazione, la guerra e tanto altro.
Moltissime di loro vengono abusate con aggravanti etniche, di orientamento di genere, di condizione economica e sociale.
I numeri sono spaventosi, e i nomi delle vittime si perdono nella cronaca del giorno prima, spesso scorretta, troppo spesso incline a una comunicazione tossica che non riesce a uscire dal paradigma della colpa femminile.
Non siamo però all’anno zero. Moltissimo lavoro culturale e legislativo è stato fatto in questi anni dalle donne, che sono state capaci di sollecitare convenzioni internazionali (Convenzione di Istanbul), leggi (sullo stalking, sul revenge porn, sui Centri antiviolenza); sono attivissime nella difesa della sempre sotto attacco legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, nella attuazione di percorsi per l’ottenimento di diritti paritari reali e non solo formali nell’accesso al lavoro, alla politica, alla piena cittadinanza.
È una strada lunga e non priva di contraddizioni, nella quale si incrociano non sempre pacificamente percorsi diversi del femminismo e anche dell’antifemminismo, giustamente tutti legittimati a prendere parola perché a contrastare il pensiero unico del patriarcato non sia un pensiero unico delle donne.
Ma se il protagonismo femminile prevalente negli ultimi anni si è reso visibile soprattutto con esperienze di carattere globale come Ni una menos e Me too, il tempo degli uomini è ormai non più derogabile: la violenza sulle donne deve essere letta dentro il modello della sopraffazione, della schiavizzazione, della colonizzazione, e in definitiva, senza perdere la sua specificità, deve coinvolgere una rilettura dei rapporti generali fra popoli, classi, generi.
Attirare l’attenzione su questi temi non basta mai. Anche se il rischio di pink washing è sempre molto forte, anche se il continuo parlare di femminicidi e di violenza sulle donne ha stabilizzato una sensibilità di massa a bassa intensità che a volte danneggia il percorso di autoeducazione e di formazione più serio e maturo sul tema.
La Fondazione Di Vagno vuole salutare il passaggio di anno con un calendario che ricorda ogni giorno la violenza sulle donne. Si chiama Femme battue e i proventi saranno destinati a sostenere una giovane donna negli studi: un aiuto concreto e simbolico al tempo stesso. Il calendario è stato realizzato da Giraffa Onlus, pioniera in Puglia dell’assistenza e dell’accoglienza per le donne violate, con l’Osservatorio Paola Labriola, in collaborazione con la Regione Puglia e il Centro Librexpression della Fondazione Di Vagno.
Dodici artisti e artiste di livello internazionale hanno donato immagini che rappresentano i diversi aspetti della violenza sulle donne, in nome di quella libertà di espressione e di satira che è l’obiettivo del Centro diretto da Thierry Vissol. Maria Pia Vigilante, che di Giraffa Onlus è la coordinatrice, ricorda che il lavoro per il reinserimento delle donne abusate e vessate, insieme alla protezione sicura di figli e figlie, è un obiettivo fondamentale per arrivare al risultato di far aumentare le denunce e l’affidamento ai centri antiviolenza.
In Puglia molti obiettivi sono stati raggiunti, ma troppa violenza domestica è ancora nascosta, e i due fenomeni in crescita, ovvero i reati di violenza sulla rete e la violenza sui/sulle minori, devono essere monitorati con la massima attenzione non solo dalle autorità e dalle istituzioni, ma dalla collettività intera.
È un tema che ci riguarda tutti e tutte, riguarda la convivenza sociale, la cultura, la civiltà.
Le autrici e gli autori del calendario sono Anne Derenne in arte ADENE, Bénédicte, Doaa EL ADL, Zainab Fasiki, Oguz Gürel, Kianoush Ramezani in arte Kianoush, Michel Kichka, Patrick Pinter, Tjeerd Royaards, Maurizio Boscarol, Virginia Cabras in arte Alagoon e Marilena Nardi. L’0immagine che accompagna l’articolo è di Doaa EL ADL.