Flessibilità e autonomia della sede di lavoro: l’attrattività dei nuovi posti di lavoro

Dopo l’ondata di dimissioni volontarie del 2021 diventata celebre con il nome di Great Resignation o Grandi dimissioni, il mercato del lavoro ha dovuto fare i conti con una trasformazione sostanziale che ne sta ancora oggi ridefinendo i contorni.

Sarebbe ingenuo pensare che sia stata la pandemia di Coronavirus a determinare questo profondo mutamento. In realtà il lockdown prima e le dinamiche globali poi hanno accelerato e in qualche modo esasperato un processo di evoluzione innescato dal mutamento sociale post crisi del 2008 che ha lasciato un mercato più povero, meno accessibile e soprattutto più instabile.

Nel secondo decennio del nuovo millennio, le categorie più fragili della società come donne e giovani hanno fatto sempre più fatica ad accedere al mondo del lavoro e stabilizzarsi in carriere piramidali. A fronte di curriculum più ricchi di titoli ed esperienze, si è assistito a una forte precarizzazione dei contratti. Tutto questo non poteva che far emergere quel senso di frustrazione, che durante la pandemia si è sublimato nel fenomeno delle grandi dimissioni.

Una scelta che però affonda le radici in terreni molto differenti tra loro.

Da un lato c’è chi, in particolar modo donne, in un momento di forte crisi economica e sociale, ha preferito sacrificare la carriera per tappare le falle di un sistema di welfare lacunoso e che vede nelle lavoratrici la prima rete di salvataggio. Dall’altro invece si è imposto una sorta di risveglio collettivo del proprio valore personale, una rivoluzione che ha fatto saltare le vecchie certezze per sostituirle con altre.

Il work life balance, ossia l’equilibrio tra la vita lavorativa e quella privata, ma anche la flessibilità di orari e di smart working, hanno preso il posto dell’ideale della carriera a tutti costi imposto dal modello capitalista affermatosi dal secondo dopoguerra in poi.

L’incontro Da un lavoro ad un altro: un mercato del lavoro diviso che ha avuto luogo durante il festival Lector in fabula a Conversano e che mi ha visto tra i partecipanti assieme al professor Giuseppe Gentile, Silvia Pellegrini, direttrice del Dipartimento Politiche del Lavoro della Regione Puglia, e coordinato dal giornalista Marco Panara, ha visto emergere con forza questa dinamica ormai inarrestabile che ha connotato gli ultimi anni e che influirà anche sull’assetto futuro di aziende e amministrazioni.

Il futuro, infatti, è la parola chiave per capire cosa questa rivoluzione lascerà in eredità e quali saranno invece gli aspetti che rientreranno nell’assetto prepandemico. Sebbene sia difficile fare previsioni, qualche tratto lo si può già intravedere.

Dalle ultime ricerche, tra le principali qualità richieste per rendere attrattivo un posto di lavoro, ci sono oltre al guadagno anche la flessibilità e l’autonomia della sede di lavoro. Richieste che pongono una sfida a quei comparti industriali dove le figure professionali non sono molte e quindi vanno attratte.

Un altro aspetto sfidante emerge ribaltando il punto di vista. Oggi a subire un forte slancio rivoluzionario sono anche le figure apicali. Se fino a qualche tempo fa esisteva solo una figura di leadershisp, spesso muscolare e verticistica, nei posti di lavoro si prediligono figure più trasversali e proliferano nuove figure di capo con un approccio orizzontale, umanista e gentile.

Queste nuove spinte, dunque, stanno ridisegnando non solo il ruolo del lavoro, ma anche alcune delle sue figure preponderanti.

A questo va ad aggiungersi un’ulteriore sfida: trasportare questo nuovo assetto anche nei settori lavorativi che ad oggi risultano tagliati fuori dalle nuove tendenze.

Il rischio è che la divisione tra settori, o meglio classi sociali vengano esasperate da questo doppio standard. È così auspicabile, che questa grande marea di cambiamento, una sorta di nuovo umanesimo del lavoro, arrivi anche a quei settori, come il primario, industriale, che risultano ancora fermi al periodo prepandemico e che al contrario hanno visto peggiorare la qualità di vita e salari.

Related posts

Il realismo che serve, l’ottimismo che aiuta

La crisi delle democrazie, il lavoro e l’intelligenza artificiale

Cosa fare del Jobs Act?