Freud e Il Mosé di Michelangelo

Nel 1912 Sigmund Freud trascorre tre solitarie settimane a Roma, a San Pietro in Vincoli, davanti alla statua di Mosé che «studia, misura, disegna». Già dal primo viaggio a Roma nel 1901, insieme al fratello, l’Urbe, dei letterati, degli artisti, dei pellegrini nonché del diritto e della politica, si appropriò dei suoi sensi. Roma che definisce «una bellezza senza paragoni», il «simbolo di molti altri desideri», Roma accogliente e ispiratrice.

A Roma più che altrove, come scrive in una lettera, avverte il nesso misterioso con l’arte che gli si svela attraverso Il Mosè di Michelangelo che entra di prepotenza nella sua opera, fatta di confronti e di paragoni.

Tra il 1912 e il 1913, ultima il saggio dal titolo Der Moses von Michelangelo per poi pubblicarlo nel 1914 sulla rivista Imago e che legittimerà soltanto nell’articolo dal titolo il Poscritto del 1927.

Dalle premesse si evince che il saggio di Freud, il più difficile a capirsi, cela la sua anima tumultuosa, per cui risulta, in un certo senso, ancora una lettura intonsa.

Da un lato Freud, fondatore della psicoanalisi che con le sue teorie ha cambiato la cultura e ha rivoluzionato il pensiero, con Eros (istinto di vita) e Thanatos (istinto di morte) alla base del comportamento umano, dall’altro, Freud che trasferisce le fondamenta antropiche su un’opera d’arte figurativa, una tentazione mai provata prima né riprovata in seguito. Che sia un Freud pienamente coinvolto lo dimostrano le parole, le spiegazioni, i dubbi che si traducono in elaborazioni e riflessioni continue.

Con la statua di Mosé stabilisce un approccio maieutico, in indole freudiana, ricevendo dallo stesso Jung una definizione tanto inattesa quanto onorabile, quella di identificazione.

Non meno degna di nota è la risposta di Freud a Jung: «Lei, se io sono Mosé, prenderà possesso come Giosuè, della terra promessa della psichiatria, che a me è dato di vedere solo da lontano».

Lo spirito indagatore di Freud non è mai distolto dalla concretezza dei dati storico – scientifici attorno a Mosé e si fa influenzare dalla leggenda su Michelangelo che vede Mosé antropomorfo quando gli dice «perché non parli».

Di certo Freud è attento ad una collocazione che vede l’arte sub specie aeternitatis e l’inconscio che, in termini di tempo, conosce il continuo presente e assume il senso che gli assegniamo.

Il Mosé di Michelangelo è l’unico saggio scritto su un’opera d’arte in cui Freud effettua unanalisi contemplativa dove linterpretazione si concentra sulleterno istante che il fondatore della psicoanalisi, oltre che vivere nel suo di presente, lo colloca anche nel continuo presente.

È l’arte che si appropria del tempo e rappresenta l’inesplorato, il nuovo. Dell’analisi fa parte il rituale del tragitto che Freud compie per arrivare al salvatore dallo sguardo «corrucciato e sprezzante».

Mosé, guida del popolo ebraico, è descritto nel momento in cui Dio gli ha consegnato le tavole dei sacri Comandamenti e si accorge che il popolo danza attorno ad un vitello d’oro.

Qui Freud imposta il discorso non sull’opera dell’artista ma pone l’attenzione sui particolari del fare del Mosé; si concentra sulla mano destra che regge le tavole della Legge e che, secondo la sua percezione, esprime indignazione per il comportamento del suo popolo, prova ira, contenimento e in fine calma.

La gestione dell’ira rivela l’intento di Mosé di far capire al suo popolo quanto, in quella circostanza, si fosse comportato in modo inadeguato e fragile. Questa netta affermazione non vieta però a Freud di chiedersi come Michelangelo abbia potuto prendersi tale libertà nei confronti di Mosé, dando per scontato la veridicità delle proprie considerazioni.

Certo è che Il Mosé è un esempio di valori morali e la sua figura è reinterpretata da Freud quando lo interroga e quando ne fa il ritratto di Michelangelo, consegnandoci un’immagine forte e insieme enigmatica. Nell’indagine di Freud non mancano riferimenti e menzioni dei grandi critici dell’arte, di scrittori da Burckhardt a Lubke a Springer, da Wilson a Grimm ed altri che avvalorano le sue tesi a conferma di una dedizione costante e duratura.

Il Mosé, per quanto attiene alla psicoanalisi è lesempio che le risposte dipendono dalle domande, anche quando ci si accinge a interpretare un’opera d’arte che suscita sconcerto e meraviglia e pure quando diventa introspezione di sé.

Non è il Michelangelo di Romain Rolland collocato sulle vette più alte, né il Michelangelo dell’eros di Thomas Mann e neppure della Marguerite Yourcenar che ricorda la passione del padre per le statue di Michelangelo.

Non si può escludere che Freud scrivendo Il Mosé si sottopone, senza ammetterlo, ad una estenuante introspezione di sé e questo ci fa intendere come l’arte che si vive come ispirazione, diventi prova dell’universo.


Bibliografia

Stevka Šmitran, Crnjanski i Michelanđelo, Bagdala, 1988
Luigi Barzini, The Italians, H. Hamilton, 1987
Romain Rolland, Vita di Michelangelo, UTET, 1971
Marguerite Yoursenar, Ad occhi aperti, Bompiani, 1982

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