Galileo Galilei, teologo

Galileo Galilei non è stato solo il pioniere della nuova scienza e, dunque, di un’intera epoca. È stato anche l’ultimo (grande) uomo del Rinascimento. Eclettico come nessun altro: scienziato, ovviamente; ma anche grande scrittore (il più grande nella storia della letteratura italiana, secondo Italo Calvino) e poeta; musicista e soprattutto teorico della musica; critico d’arte (grande invero, secondo Erwin Panofsky). E teologo: il migliore del suo tempo, secondo papa Giovanni Paolo II (su suggerimento dell’astrofisico gesuita, suo consigliere scientifico, padre George Coyne).

L’artista toscano, come lo ha definito il poeta John Milton, ha iniziato a interessarsi in maniera attiva di teologia all’indomani della pubblicazione del Sidereus Nuncius (1610) e, in particolare, tra il 1613 e il 1615 quando ha pubblicato una serie di lettere, note appunto come Lettere teologiche, la più famosa delle quali è la Lettera a Maria Cristina di Lorena.

Perché Galileo dopo aver scritto quel libro che, come sostiene Ernst Cassirer, divide le epoche, ha cessato di occuparsi di come vadia il cielo (di scienza) e inizia a occuparsi di come si vadia al cielo (di teologia)?

La causa immediata è triviale. Deve rispondere alle accuse che un padre domenicano, docente di storia ecclesiastica, gli ha lanciato dal pulpito di santa Maria Novella in Firenze. Ma c’è una causa remota e molto ambiziosa, che ha una natura politica. Già, perché Galileo non è solo il pioniere della nuova scienza, ma è anche il pioniere dei nuovi rapporti tra scienza e società.

Ma veniamo al nocciolo del contendere. Il contesto è quello del post-concilio tridentino con l’attribuzione a sé da parte dei teologi dell’interpretazione delle Scritture. Gli accusatori di Galileo sostengono che lui va sostenendo l’ipotesi eliocentrica di Niccolò Copernico e che questo contrasta con le sacre Scritture, dove è scritto che è il Sole che ruota intorno alla Terra. La scienza non può confutare ciò che è scritto nel Libro, pena il peccato di eresia.

Nelle Lettere teologiche a Benedetto Castelli (suo discepolo), a Monsignor Piero Dini (amico e relatore delle cause del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica) e a Maria Cristina di Lorena, Granduchessa di Toscana, Galileo entra nello specifico teologico, sostenendo che riguardo ai fatti della natura i libri scritti da Dio e attingibili agli umani sono due: le Sacre Scritture e il Libro della Natura. Le prime sono difficili da leggere, perché usano un linguaggio metaforico che va interpretato. E nell’interpretazione gli umani, fossero anche teologi, possono sbagliare. Al contrario il Libro della Natura è scritto nella lingua della scienza, che è chiara e non ha bisogno di interpretazione. Dunque, su come vadia il cielo, sono gli scienziati che conoscono il linguaggio della natura che possono dirci come stanno le cose.

Come sia andata a finire è ben risaputo. Il cardinale Roberto Bellarmino interrompe l’attività teologica di Galileo e gli intima di non parlare più pubblicamente a favore dell’ipotesi copernicana, perché sono i teologi di professione gli unici che possono occuparsene. In realtà negli anni a venire Galileo cerca in qualche modo di riprendere il discorso, ma tutto viene troncato nel 1632 con la sua condanna.

Ma perché il più grande scienziato d’inizio Seicento, l’uomo noto in tutta Europa e persino in oriente, si impegna in questa pericolosa avventura? Avrebbe potuto continuare a fare scienza senza problemi, riverito da papi e cardinali, principi e imperatori. E allora?

Il motivo è politico. O, se volete, geopolitico. Galileo Galilei è un cattolico. Sa che la scienza è la potenza emergente, con correlati non solo culturali (e teologici) ma anche sociali ed economici. Lui non vuole che questa straordinaria potenza sia appannaggio solo del mondo protestante. Vuole, anzi, che il mondo cattolico la faccia sua, se ne impossessi. Lasciandole, ovviamente, completa libertà di fare le sue ricerche.

Questo è un obiettivo geopolitico. Che è parte determinante delle relazioni (nuove per forza di cose) tra la scienza e la società. È alla luce di questo obiettivo che Galileo continuerà a scrivere opere divulgative, accessibili a tutti, in italiano, negli anni successivi, da Il saggiatore ai Dialoghi sui massimi sistemi del mondo. Capolavori assoluti. Perché vuole che la verità scientifica sia conosciuta da più persone che sia possibile, come scrive già nel 1610 al segretario di stato del Granducato di Toscana, Belisario Vinta, all’indomani della pubblicazione del Sidereus, che è scritto in latino.

Solo verso la fine della sua vita Galileo tornerà a scrivere il suo capolavoro scientifico, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, che sarà pubblicato nel 1638 fuori dall’Italia, a Leida, in Olanda a opera dell’editore Ludovico Elzeviro.

Galileo teologo inaugura dunque un modo di essere degli scienziati (dei grandi scienziati) che non è quello di disinteressarsi delle cose della società fuori dal laboratorio (o dall’osservatorio a cielo aperto, nel caso del Galileo astronomo). Al contrario. I grandi scienziati – lo abbiamo visto con Darwin e con Einstein – si fanno carico delle loro responsabilità sociali. E non si tirano indietro.

Il toscano, lo ripetiamo, ha aperto la strada. È stato sconfitto, pro tempore. Ma non si è tirato indietro. Per questo riteniamo ingeneroso il ritratto che ne fa Bertold Brecht nel suo Galileo. Non è stato uno scienziato timido e succube. Al contrario, si è battuto fin che ha potuto per la libertà della scienza e per le nuove relazioni tra scienza e società. La famosa abiura non suona a vergogna di Galileo ma di chi l’ho a costretto a pronunciarla.

Esito della vicenda. Dopo la condanna di Galileo l’asse scientifico del mondo si sposta dall’Italia alla Manica, tra i Paesi Bassi, l’Inghilterra e la Francia. Non è solo per la condanna di Galileo. Ma per motivi economici e politici più generali. Ma la vicenda dell’artista toscano ha avuto il suo peso. Tanto che ancora oggi noi, qui nella penisola, paghiamo le conseguenze della sconfitta del miglior teologo naturale dei suoi tempi.

Related posts

Da Charles Babbage all’Intelligenza Artificiale. La Rivoluzione che sfida il futuro

La scoperta del futuro. Restare umani nell’epoca dell’intelligenza artificiale

L’addio al cuore tecnologico del passato