Geopolitica post-virus

Geopolitica post-virus Marco Panara Pagina 21

La Cina è all’origine della pandemia. Il virus è nato lì e da lì ha cominciato a diffondersi raggiungendo i quattro angoli del mondo. Una volta esplosa l’epidemia Pechino l’ha affrontata con rigore riuscendo prima a contenerne gli effetti e poi a marginalizzarla. Il paese ha ripreso una vita quasi normale, secondo i parametri della nuova normalità alla quale ci dovremo abituare.

Appena superata la fase acuta la Cina ha avviato una campagna mondiale inviando medici, mascherine e macchinari, condividendo la sua esperienza e le sue ricerche, e accompagnando tutto ciò con una efficace azione sui media.
L’obiettivo è un po’ quello di farci dimenticare che l’epidemia è cominciata lì, così come la Sars, la Suina, l’Aviaria, e un po’ di accreditarsi nel mondo come una potenza positiva e collaborativa, efficiente e generosa.

Gli Stati Uniti sono ad oggi la vittima più grave dell’epidemia, che hanno affrontato con colpevole ritardo e che non sono ancora riusciti a mettere sotto controllo. Washington ha mostrato poca empatia nei confronti degli altri paesi che ne sono stati colpiti, i messaggi del suo presidente sono stati spesso antiscientifici, non è stata capace di distinguere la responsabilità dell’origine del virus da quella della gestione della sua diffusione. La risposta è più orientata a creare tensione internazionale che a cercare collaborazione, il maldestro tentativo di assicurarsi in esclusiva un vaccino allo studio presso un’azienda tedesca è stato il manifesto dell’egoismo, il ritiro dei fondi all’Organizzazione Mondiale della Sanità è a un tempo l’espressione di un rifiuto della credibilità della scienza e dei valori della collaborazione internazionale e del ruolo fondamentale degli organismi sovranazionali.

Negli Usa si vota a novembre per le presidenziali e questo può spiegare molto, ma non può giustificare e, soprattutto, non cancella posizioni e atteggiamenti che avranno code lunghe nella percezione dei cittadini e nelle relazioni internazionali.
Questo divario nell’efficacia dell’azione e nelle posizioni e negli atteggiamenti tra Cina e Stati Uniti rischia di influenzare gli assetti geopolitici nei prossimi anni e, forse ancora più pericolosamente, l’evoluzione del modello di Stato e di regime in molti paesi del mondo.

La democrazia liberale è la più avanzata forma di gestione della collettività che nella storia l’uomo sia stato capace di concepire e di realizzare perché mette insieme il governo democratico e la garanzia delle libertà e dei diritti. È la sostanza di quello che si dice quando si utilizza la parola Occidente. Perché è l’Occidente la culla della democrazia liberale e l’area della sua più diffusa realizzazione. Quel modello ci ha consentito un progresso economico enorme e, almeno fino a una trentina di anni fa, ampiamente condiviso. È una cosa preziosa, che errori, eccessi ed egoismi, insieme forse alla fine della contrapposizione con il comunismo sovietico, ha reso più fragile.

In queste settimane, in questi mesi, ci troviamo ad affrontare un passaggio delicatissimo. L’epidemia ha rimesso improvvisamente lo Stato al centro, ha mostrato nella tragicità degli eventi che solo ad esso possiamo affidarci per affrontarla, difendercene, superarla e ricostruire. La riconquistata forza dello Stato non finirà con il vaccino che ci libererà dal Covid-19, e per molti versi è bene che sia così dopo gli eccessi, le disuguaglianze, il disagio sociale e la crisi ambientale che il liberismo e il primato assoluto del privato e del mercato hanno determinato.

Il problema è: quale Stato?  Quale modello? Quale governance? Quali e quanti diritti e quali e quante libertà siamo disposti a scambiare con l’efficienza e l’efficacia dell’azione? E quale modello e quale governance ci promette più di altre una capacità di cooperazione internazionale e una più solida (o meno effimera) promessa di pace tra i popoli?

Non ci sarà un bianco o un nero né l’evoluzione sarà uguale in tutte le geografie, ma ci saranno delle prevalenze e non saranno irrilevanti sulle nostre vite e sul modo di essere del mondo nei prossimi decenni. Negli orientamenti dei cittadini conteranno gli esempi, i risultati, i messaggi. E in questo quadro l’America è un problema.

Gli Stati Uniti sono una potenza planetaria e certamente la potenza egemone tra le democrazie liberali, da ottant’anni sono il modello e il riferimento dell’Occidente. Ma lo sono ancora? Basterebbe che Donald Trump non fosse rieletto perché tornino ad esserlo? Il modello autoritario cinese cresce in credibilità, quello della democrazia liberale americana perde in credibilità. L’Europa, che dovrebbe con forza prenderne il testimone, è ostaggio dei governi nazionali e non trova una leadership capace di liberarla.

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