Conosciamo molti pregi di Mario Draghi, impareremo anche i suoi difetti. La presidenza del consiglio dei ministri espone di più di quella di una banca centrale, anche se presiedere la Banca Centrale Europea è un ruolo altrettanto politico della guida di un governo e probabilmente di maggior potere, almeno quando il governo guidato è quello italiano.
È possibile che il suo arrivo a Palazzo Chigi abbia un effetto trasformativo sul sistema politico, qualcosa già si vede: riposizionamenti, scomposizioni di partiti che ridefiniscono il loro perimetro, alleanze che cambiano. Vedremo nei prossimi mesi se queste trasformazioni sono solo opportunistiche oppure se diventeranno evoluzioni.
È possibile che per molti membri del governo appena insediato questa si rivelerà una esperienza formativa. Draghi e alcuni dei suoi ministri hanno una storia di classe dirigente di rango mondiale e le persone con le quali si sono misurati, quelle con le quali hanno collaborato e quelle dalle quali sono stati avversati non sono da meno.
Queste esperienze sono ora al servizio del governo del paese e, volendo, si potrà imparare. Il che non vuol dire che le proposte saranno sempre giuste in assoluto o giuste per tutti, ma che il modo in cui si arriverà a definirle sarà figlio di un metodo collaudato in situazioni e con interlocutori molto sfidanti.
Cosa di tutto ciò coglierà l’opinione pubblica e come lo metabolizzerà è presto per dire, ma una cosa sarà evidentissima e potrebbe essere la più trasformativa di tutte: il linguaggio. Già nei giorni trascorsi dall’incarico al giuramento i silenzi di Draghi hanno reso ancora più visibilmente vacua e quasi fastidiosa la sfilata pluriquotidiana di dichiarazioni di tutti i partiti in ciascun telegiornale.
Non sbagliamo interpretazione: non ci sono parse vacue perché i partiti in questa fase non contano, non è vero, o almeno non è del tutto vero. Quelle dichiarazioni erano vacue anche prima dell’incarico a Draghi, solo che ora l’inconsistenza è palese, svelata, nuda.
Dopo i silenzi arriveranno le parole, perché Draghi parlerà poco ma parlerà e il suo linguaggio, come sa chi ha seguito i suoi interventi da Governatore della Banca d’Italia, i suoi discorsi e le sue conferenze come Presidente della Banca Centrale Europea, ha una caratteristica che nel contesto politico dell’Italia è rivoluzionaria.
Il suo linguaggio è rigoroso e affilato, comprensibile anche quando affronta temi complessi, non impressionistico, non seduttivo, non concessivo, mai concettualmente subalterno. Draghi non gioca con le parole alla ricerca di effetti speciali, come per esempio fanno assai bene i due Mattei nazionali, non crea metafore indimenticabili come Bersani. Quando parla, dice. Si può essere d’accordo o meno ma quello che dice pesa perché il modo in cui viene detto rappresenta ed esprime il ragionamento ponderato che c’è dietro, il che lo rende credibile e autorevole.
Che effetto avrà il linguaggio di Draghi applicato alla politica? Spingerà i politici a trasformare il loro o scatenerà gelosie e ulteriori protagonismi? Metterà in evidenza presso l’opinione pubblica le differenze o le solite vecchie performance manterranno la loro presa?
Anche i media potrebbero doversi adeguare, il chiacchiericcio rumoroso che riempie pezzi di giornali, di tg e di talk show potrebbe non essere più il modo migliore per raccontare la politica, i processi politici, come si costruisce il consenso e si arriva alle decisioni politiche, come si implementano le decisioni prese.
Il modo in cui la politica si racconta e viene raccontata è in fondo una delle ragioni per cui non cresce. Se i silenzi e le parole di Draghi, il suo linguaggio, riuscissero ad avere come effetto collaterale quello di correggere anche solo un po’ questo meccanismo infernale che non fa bene alla politica, non fa bene ai media e non fa bene alla democrazia, forse da questo governo appena nato raccoglieremo un frutto prezioso e inaspettato.