L’epidemia di coronavirus ci sta impartendo, tra i tanti, anche un insegnamento legato ai rapporti tra il Nord e il Sud dell’Italia. Come in un incubo le regioni ricche – Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna – meta predestinata per tanti giovani meridionali in cerca di migliori occasioni professionali e lavorative, si sono trasformate in luoghi dove aver paura. Da cui scappare. Per sottrarsi al pericolo del contagio, per non restare bloccati in quarantena in città accoglienti quando tutto va bene, ma improvvisamente inospitali senza la rete di assistenza familiare quando le cose si complicano. Le immagini di treni presi d’assalto per tornare giù a casa, nel paese d’origine in Campania, in Puglia, in Sicilia, resteranno nella memoria di una generazione.
Il carico di lutti e sofferenze imposto dall’epidemia di Covid-19 è insopportabile. Il numero dei morti è da tempo di guerra. I campi di battaglia più insanguinati in Lombardia. La regione nella quale la sanità aveva finora dato i migliori risultati, sia pure sotto l’ampia mano del settore privato, né disinteressato né benefico. Non è questo il luogo delle polemiche faziose. Ma è un dato di fatto che i due principali focolai dell’infezione si sono rivelati due ospedali pubblici, a Codogno prima e ad Alzano Lombardo subito dopo. Un disastro sanitario.
Mi sono domandato più e più volte se anziché dalla Lombardia il contagio si fosse propagato da una regione meridionale, dalle aree urbane di Napoli, Bari o Reggio Calabria, quale sarebbe stata la reazione dell’altra Italia. Sicuramente sarebbe scattata la rete di solidarietà e di assistenza vista in campo in queste settimane. Ma, temo, che quasi in contemporanea sarebbe emerso un antico pregiudizio antimeridionale. Ne ho scritto anche sull’ultimo numero de L’Espresso. Non sono i meridionali sempre e comunque brutti sporchi e cattivi?
In questi giorni di angosciosa attesa ci si domanda come mai il contagio non sia esploso da Roma in giù. Solo il 19 per cento dei contagiati, finora. Probabilmente le regioni meridionali hanno avuto un paio di settimane in più per organizzarsi. Un vantaggio sicuramente utile. Ma al di là di qualche episodio estremo, le popolazioni del Sud sono state ligie ai divieti imposti dalle autorità al pari se non di più di quelle del Nord. Anche questo modo di comportarsi ha creato stupore. Perché ribalta un vecchio luogo comune: Nord organizzato, Sud disordinato.
Cito un caso per tutti. Ancora una volta ha suscitato sorpresa il dato del Cotugno di Napoli, l’ospedale specializzato per la cura delle malattie infettive, punto di riferimento per tutta la Campania. Fino a Pasqua neppure un caso di contagio tra il personale sanitario (solo un infermiere è risultato positivo). Per molti osservatori ancora una volta è sembrato uno strambo caso del destino. Un’inspiegabile fortuna. Non è così, invece. Da anni il Cotugno è preparato strutturalmente a fronteggiare un’epidemia, spiega il professore Franco Faella che di quell’ospedale è stato il primario infettivologo. Un’autorità in campo internazionale, lontano dalla ribalta tv. A 74 anni, in pensione, è stato richiamato al fronte dalla Regione Campania per organizzare e dirigere in altro nosocomio napoletano, il Loreto Mare, una struttura malmessa in via di dismissione, riconvertita in tempo record dal governatore Vincenzo De Luca per fronteggiare l’emergenza.
Così Loreto Mare e Cotugno sono concepiti con reparti ad alto isolamento, percorsi differenziati, dispositivi di protezione individuali, buone pratiche studiate già dal 2003, quando sulla scena mondiale si manifestò la prima epidemia di Sars. Insomma una struttura pubblica da quasi due decenni pronta ad affrontare una pandemia. In questo nostro Mezzogiorno descritto solo come specializzato nel fare ammuina.
Non il caso o la sorte, invece, ma lo studio e la competenza. Storie sempre rimaste ai margini della narrazione pubblica, oggi condensano il canone inverso del pregiudizio Nord-Sud. Quando tutto questo sarà finito, ricordiamoci dei giorni del coronavirus e interroghiamoci sul tasso di convivenza civile di una nazione ancora così distante. Più dei 900 chilometri che separano Milano da Bari.