Il futuro dello sport e la decrescita

Lo sport è un concetto polisemico il cui contenuto, secondo gli autori, si riferisce a realtà molto diverse. Per alcuni, il campo dello sport è molto ristretto e si riduce a competizioni regolamentate organizzate da istituzioni sportive ufficiali. Per altri, il campo dello sport è quasi illimitato in quanto comprende qualsiasi attività fisica. Di conseguenza, la posta in gioco socio-economica sarà radicalmente diversa a seconda del tipo di sport in questione.

Lo sport professionistico si è progressivamente globalizzato ed è diventato l’oggetto di considerevoli scommesse finanziarie che coinvolgono diversi grandi attori: sponsor, emittenti, social network, produttori di articoli sportivi, agenzie di marketing, finanza, trasporto. Lo sport sta diventando un’attività economica come qualsiasi altra, anche se si riconosce che ha una serie di caratteristiche specifiche che gli permettono, per esempio, di sfuggire alle leggi antitrust negli Stati Uniti o al diritto della concorrenza in Europa.

La competizione sportiva dilettantistica si caratterizza maggiormente per i suoi aspetti sociali. Prima di tutto, c’è la presenza di volontari, che permettono di garantire un accesso allo sport migliore che in una situazione economica in cui il mercato sarebbe lasciato libero. Poi c’è la produzione di esternalità positive di notevole valore per la società: istruzione, salute, cittadinanza, legami sociali, benessere, ecc.

Lo sport ricreativo presenta sfide sia economiche che sociali a causa della diversità delle motivazioni di coloro che lo praticano. La pratica dello sport di massa al di fuori delle strutture ufficiali rappresenta oggi un giro d’affari importante, soprattutto per l’acquisto di materiali sofisticati e di attrezzature varie. Inoltre, questo tipo di pratica produce anche molteplici esternalità positive in termini di benessere individuale e di buona convivenza.

Al di là della dimensione economica, è particolarmente importante oggi migliorare la considerazione della dimensione sociale dello sport, il cui valore totale va ben oltre il suo semplice valore di mercato. Gli strumenti tradizionali di calcolo economico non si adattano bene, ed è per questo che è necessaria un’analisi socio-economica dello sport.

Non è possibile pensare al futuro dello sport senza pensare globalmente a un nuovo progetto di società. Infatti, l’attuale modello economico dominante ha raggiunto un vicolo cieco e non c’è consenso su un’alternativa. Forse la pandemia globale Covid 19 accelererà la realizzazione che la sua origine è la distruzione delle risorse naturali da parte di un sistema economico dominato dalla ricerca della massima redditività finanziaria a breve termine. Tutte le recenti pandemie globali (AIDS, Zika, Ebola, SARS, H1N1, ecc.) sono venute dagli animali selvatici, a causa della scomparsa degli ecosistemi, che ci avvicina ai serbatoi animali, e della mobilità diffusa degli esseri umani, che globalizza le epidemie. I principali fattori all’origine delle zoonosi sono quindi ben noti: distruzione della natura, intensificazione dell’agricoltura, produzione industriale di carne, commercio di specie selvatiche. Questa distruzione sistematica del vivente non è sostenibile e dobbiamo rompere con questo sistema capitalista dominato da una logica di redditività a breve termine.

Oltre a questa crisi del vivente, c’è anche la negazione della questione dei limiti del nostro pianeta. Come ha sottolineato Kenneth E. Boulding, «chiunque pensi che una crescita esponenziale infinita sia possibile in un mondo finito è un pazzo o un economista». Il pianeta sta raggiungendo soglie di irreversibilità con il riscaldamento globale o il collasso della biodiversità, che mette in discussione la sua abitabilità per la specie umana. L’intera questione delle scelte sociali viene quindi posta in modo nuovo. In un mondo di crescita infinita, sarebbe possibile soddisfare tutte le richieste in termini di trasporto, istruzione, salute, alloggio e tempo libero. In un mondo di risorse limitate, è un gioco a somma zero, da qui la domanda: come fare dei compromessi? Questa questione è tanto più difficile da risolvere perché è necessario tener conto della volontà dell’opinione pubblica e dei decisori di mettere in atto o meno un modello economico sostenibile.

Se ci rifiutiamo di cambiare il nostro stile di vita, torniamo alla conclusione di Augustin Cournot del 1830, libro sulla questione del carbone: o bruciamo tutto, il che è la fine della civiltà ed è grandioso, o gestiamo la riserva di carbone come un buon padre di famiglia affinché le generazioni future possano beneficiarne il più possibile. Se accettiamo un nuovo modello di sostenibilità, dovremo chiaramente accettarne le conseguenze. Le risorse del mondo si stanno contraendo, con una serie di picchi che non possono essere risolti (petrolio, risorse fossili, metalli, terre coltivabili). Dovremo quindi rinunciare a certi tipi di consumo e chiederci come organizzare questa diminuzione.

Alcune scelte saranno relativamente facili da fare e saranno possibili a livello individuale (riduzione del consumo di carne, pesce, latte e uova o riduzione dei rifiuti alimentari).

Altri vincoli saranno molto più difficili da accettare, come la riduzione della mobilità sulle lunghe distanze (viaggi aerei, crociere in mare) o l’acquisto di auto di grandi dimensioni (SUV).

Al di là delle scelte individuali, le scelte sociali saranno più o meno facili anche per le popolazioni, i paesi, le istituzioni e le imprese i cui interessi saranno minacciati.

In definitiva, la decrescita rischia di essere in parte liberticida rispetto al nostro attuale mondo di crescita illimitata, cioè senza vincoli. Da qui sorgono due domande: qual è il progetto globale per la società? Quali conseguenze per lo sport?

Negli anni a venire, tre elementi saranno al centro della ricostruzione delle nostre società: considerazione, sobrietà e re-localizzazione delle attività produttive.


Questo primo principio consiste nel riconoscere i limiti del pianeta e la necessità di fermare la distruzione degli esseri viventi. Dobbiamo riconnetterci con la natura e rispettarla. La questione dei limiti della crescita non è nuova nel pensiero economico, ma è stato certamente il rapporto Meadows del 1972 a fornire il primo avvertimento. Diceva chiaramente che la capacità di carico del pianeta sarebbe stata superata, ma il tono del rapporto rimaneva decisamente ottimista. Nel 1972, non c’era ancora la consapevolezza dell’urgenza della situazione e si pensava che la catastrofe fosse a lungo termine.

Queste previsioni sono state aggiornate nel 1992 in occasione della conferenza mondiale di Rio (il Summit della terra), il secondo vertice della Terra dopo quello di Stoccolma del 1972. In seguito, è emerso che la capacità di carico del pianeta era stata superata a causa della deforestazione, del riscaldamento globale, della perdita di biodiversità, ecc. Ma gli autori del 1992 sono rimasti ottimisti sul fatto che l’economia mondiale possa essere portata entro i limiti della sostenibilità. Questa speranza è stata delusa dai risultati insufficienti dell’Agenda 21 istituita dopo Rio, poi dal fallimento della conferenza di Johannesburg nel 2002.

Oggi, gli autori sono più pessimisti e si rammaricano persino di aver perso trent’anni. Questo è anche il significato dell’avvertimento lanciato nel 2017 dalla comunità scientifica internazionale e dall’IPPC. Nessuno può ora dire che non lo sapevamo. Né si può dire che i decisori abbiano fatto tutto ciò che era in loro potere per evitare il disastro, come lo dimostrano i risultati della COP26. L’attuale negazione della questione ambientale da parte dei decisori è impressionante e l’uscita dalla crisi richiederà un dibattito pubblico su due punti essenziali: la determinazione di una gerarchia dei bisogni secondo i limiti del Pianeta; le modalità di attuazione di un’economia territorializzata resiliente.


La nozione di bisogno è centrale nell’analisi economica, nonostante non esista un’analisi approfondita di questo concetto. Si presume semplicemente che i bisogni umani siano illimitati di fronte alle scarse risorse per soddisfarli. Bisogna quindi fare delle scelte che siano razionali grazie al calcolo economico della massimizzazione sotto vincolo.

A livello sociale, questa discrepanza tra bisogni illimitati e risorse scarse solleva il problema della definizione delle priorità e della classificazione dei bisogni. Come possiamo stabilire il confine tra l’utile e il futile?

Si ritorna sempre al problema degli obiettivi dell’attività economica. E dobbiamo riconoscere che la forza motrice della società capitalista non è il bisogno da soddisfare ma il profitto. Una minoranza decide per la maggioranza che deve essere soddisfatta secondo la logica del profitto. Bisogna disfarsi di una produzione orientata non verso ciò che è utile ma verso ciò che è redditizio. Ancora una volta troviamo il paradosso del valore e il divario tra valore d’uso e valore di scambio. Jacques Ellul ha denunciato la proliferazione di gadget, cioè di beni che hanno un alto valore di scambio nonostante un valore d’uso vicino allo zero.

Tuttavia, non dobbiamo rimanere solo al livello dell’offerta e interrogarci sulla domanda che si rivolge al settore produttivo. L’importante, in un contesto di risorse scarse, è determinare quali sono i nostri bisogni essenziali. Tre principi organizzativi possono essere alla base di una nuova costruzione sociale: la sobrietà, cioè la limitazione dei nostri bisogni; l’efficienza produttiva, cioè il risparmio degli input; l’uso delle risorse rinnovabili rispettando il loro tasso di rinnovamento.

È il primo punto sulla sobrietà che viene discusso. L’obiettivo è quello di ridurre la nostra impronta ecologica al di sotto delle capacità del nostro pianeta, il che implica la gerarchizzazione dei nostri consumi. Questo ci riporta al problema della determinazione democratica dei bisogni per decidere ciò che è superfluo e ciò che è necessario.

Le nostre economie operano ormai su una base «just-in-time», a decine di migliaia di chilometri di distanza. Le scorte non sono scomparse, ma circolano costantemente in aerei, navi, camion e treni. Questa mobilità generalizzata non è più sostenibile in un momento in cui le risorse energetiche stanno diventando sempre più scarse e il riscaldamento globale sta accelerando. Inoltre, questo funzionamento dell’economia globale ha portato a una grandissima interdipendenza delle economie nazionali in relazione tra loro. Questa è ancora una conseguenza della teoria del vantaggio comparato di Ricardo che giustifica la globalizzazione. Questa interdipendenza può essere molto pericolosa se una parte della catena di approvvigionamento di un settore fallisce o non è più in grado di soddisfare la domanda, come l’ha dimostrato la crisi del Covid. Tutte le nostre economie sono quindi diventate molto vulnerabili.

 Sarebbe auspicabile istituire un nuovo sistema produttivo che sia resiliente e sostenibile, il che implica una relocalizzazione dell’economia globale. Un tale cambiamento è difficile da prevedere nel quadro di un’economia liberale di concorrenza generalizzata tra paesi e con dumping fiscale, sociale e ambientale. Piuttosto che cercare la massima competitività a tutti i costi, sarà necessario costruire territori resilienti e autonomi che permettano di soddisfare i bisogni di base. Questa ristrutturazione non sarà istantanea e sono auspicabili esperimenti su piccola scala.

Per la Francia, potrebbero far parte di una riforma radicale della pianificazione regionale. Invece di grandi metropoli sempre più invivibili di fronte al riscaldamento globale, potremmo immaginare una rete di piccole città dense collegate da un sistema di trasporto pubblico. Su questa scala territoriale, è possibile organizzare circuiti brevi di approvvigionamento con una produzione agricola basata sull’agro-ecologia. Anche altri bisogni fondamentali possono essere soddisfatti a livello del bacino d’utenza: istruzione, salute, tempo libero, alloggio e, soprattutto, legami sociali.

L’organizzazione dello sport sarà fortemente influenzata da questo nuovo modello su tre dimensioni: mobilità, competizione e pratica.

Tra i molti problemi, c’è prima di tutto l’impronta di carbonio dei grandi eventi sportivi, che dipende in gran parte dalla mobilità. Per esempio, per la Coppa del Mondo di calcio del 2010 in Sudafrica, il solo trasporto internazionale per la mobilità dei giocatori e degli spettatori ha rappresentato il 67,4% del totale. È in questo contesto di messa in discussione della mobilità generalizzata che è interessante analizzare il lavoro prospettico sull’evoluzione degli stili di vita in relazione al riscaldamento globale in Francia nel 2050 [IDDRI, 2012]. Sono stati costruiti cinque scenari che possono essere raggruppati in tre elementi:

1_La corsa a capofitto. Questi sono i primi due scenari in cui non vogliamo rinunciare al consumo e alla comodità. Lo spettacolo sportivo potrebbe essere mantenuto. Non ci sono restrizioni alla mobilità attraverso regolamenti sovranazionali per combattere il riscaldamento globale. Inoltre, la performance rimane al centro del sistema, soprattutto nel secondo scenario che potrebbe vedere gare aperte ai cyborg. Tuttavia, la mobilità sta diventando sempre più costosa ed è riservata all’élite, che non vuole necessariamente uno spettacolo sportivo. In queste condizioni, la redditività di un tale spettacolo è discutibile.

2 – Transizione. Qui abbiamo una società plurale in cui una parte della popolazione si sta allontanando dallo stile di vita produttivista per adottare uno stile di vita decrescente nelle zone rurali. L’altra parte della popolazione vive nelle aree urbane. Lo spettacolo sportivo globale non è più possibile a causa dell’alto costo della mobilità a lunga distanza. Potremmo quindi assistere alla scomparsa dello sport agonistico o per necessità a causa della scarsità di energia o per un cambiamento di valori indotto dalle alternative e in particolare dalla messa in discussione della performance a tutti i costi.

3 – Il cambio di paradigma. Nel 2030, ci sarà la consapevolezza della necessità di regolamentare tutti i beni comuni. È l’attuazione di stili di vita ecologici con l’abbandono del trasporto aereo, dell’automobile individuale e l’adozione di un consumo ragionevole e di una mobilità ridotta. In tutti i casi, il viaggio diventa più raro, più lento e più lungo. L’etica della semplicità volontaria si sta diffondendo per necessità. La ricerca della performance non è più al centro della società. In un simile contesto, lo spettacolo sportivo è destinato a scomparire.

. Bisogna inventare un nuovo sistema economico basato su valori diversi da quelli del produttivismo. In particolare, la cooperazione deve sostituire la concorrenza. Questo significa porre fine alla ricerca della competitività a qualsiasi prezzo con il dumping fiscale, sociale e ambientale nel contesto di una spietata guerra economica tra nazioni. Questa idea di cooperazione è stata introdotta da Pierre Kropotkin (1938), che ha riabilitato il pensiero di Charles Darwin sulla sopravvivenza del più forte. In effetti, l’aiuto reciproco è molto più diffuso in natura della concorrenza. Le specie che sopravvivono meglio in una crisi o carenza sono quelle che sono in grado di cooperare. La competizione è mortale, ma la cooperazione è ciò che permette a tutti di sopravvivere. L’ideologia liberale basata sulla concorrenza si basa quindi su un’idea sbagliata.

Di fronte all’attuale crisi di civiltà, per ricostruire la società, i ricercatori raggruppati nella scuola di pensiero del convivialismo hanno proposto un secondo manifesto del convivialismo intitolato Per un mondo post-neoliberale, che propone di costruire un nuovo mondo intorno a cinque obiettivi prioritari: la lotta contro l’hubris e la riduzione delle disuguaglianze; la delocalizzazione dell’economia globale; la conservazione dell’ambiente attraverso nuovi modi di vita; la reintegrazione degli esclusi dal mercato del lavoro; la padronanza della tecnologia, in particolare l’intelligenza artificiale.

In una tale società costruita sul principio della cooperazione, la competizione sportiva potrebbe scomparire ed essere sostituita dal gioco. Questo sarebbe un ritorno al gioco dopo la sua scomparsa all’epoca della rivoluzione industriale nell’Inghilterra del XIX secolo e la sua sostituzione con lo sport. A differenza del gioco, in cui lo scopo è il piacere di partecipare, lo sport e soprattutto lo spettacolo sportivo impongono la necessità di vincere o di massimizzare le prestazioni. È quindi una nuova concezione della pratica sportiva che potrebbe essere imposta.

. Dobbiamo sperare nell’avvento di un nuovo modello di organizzazione sociale basato sulle idee di sobrietà, convivialità e cooperazione, e uscire dall’attuale modello di guerra di tutti contro tutti. In questa prospettiva, la pratica dello sport e i valori che trasmette possono contribuire all’attuazione di un tale modello, che richiede un cambiamento fondamentale nel comportamento individuale.

Uno degli ostacoli più forti a questi cambiamenti di comportamento viene dalla paura trasmessa dai difensori del progresso di tornare all’età delle caverne. Molti dei nostri contemporanei non sono pronti a rinunciare alla loro auto, alla loro televisione, al loro telefono… per adottare uno stile di vita più frugale, in nome della sopravvivenza delle generazioni future. Bisogna quindi sottolineare che la rinuncia al consumo di gadget può essere ampiamente compensata da attività relazionali ecologiche. Sarebbe sufficiente incoraggiare uno spostamento della domanda dai beni tradizionali ad alto impatto ecologico negativo ai beni relazionali ecocompatibili per mantenere un alto livello di benessere e allo stesso tempo contribuire alla riduzione del PIL.

La società giusta e sobria da costruire non è un ritorno alla candela ma l’attuazione di un modello diverso, vivo e arricchente. È a questa condizione che daremo un senso alle tante vite che si concentrano solo sul consumo. In questa prospettiva, le conseguenze per lo spettacolo sportivo sono notevoli. Oggi abbiamo bisogno di movimenti di educazione popolare per trasmettere altri valori necessari alla convivenza, piuttosto che lo spettacolo di qualche star indecentemente strapagata. I grandi eventi sportivi lascerebbero allora il posto alla pratica sportiva disinteressata per il piacere, la salute, la convivialità, l’auto-realizzazione e non più per il guadagno, il record, la vittoria a tutti i costi.


Philippe Bihouix, L’âge des low tech. Vers une civilisation techniquement soutenable, Seuil, Parigi, 2014. Non tradotto in italiano. Versione inglese: The Age of Low Tech: Towards a Technologically Sustainable Civilization, Bristol University Press, 2020

IDDRI (2012) Institut du Développement Durable et des Relations Internationales, Mode de vie et empreinte carbone. Stili di vita prospettici in Francia fino al 2050 e impronta di carbonio, Les cahiers du club d’ingénierie prospective énergie et environnement, n°21, dicembre 2012

Convivialista Internazionale, Secondo Manifesto Convivialista. Pour un monde post néolibéral, Actes Sud, Arles, 2020

Serge Latouche, La scommessa della decrescita, Feltrinelli, 2007

Serge Latouche, Per una abbondanza frugale, malintesi e controversie sulla decrescita, Bollati Bollinghieri, 2012

Baptiste Morizot, Manières d’être vivant, Actes Sud, Arles, 2020

Baptiste Morizot, Ravvivare le braci della vita. Un front commun, Actes Sud, Arles, 2020

Pablo Servigne e Gauthier Chappelle, L’entraide, l’autre loi de la jungle, Les Liens qui Libèrent, 2017

Pablo Servigne, Raphaël Stevens e Gauthier Chappelle, Une autre fin du monde est possible. Vive l’effondrement (et pas seulement y survivre), Seuil, Parigi, 2018. In italiano: Un’altra fine del mondo è possibile: Vivere il collasso (e non solo sopravvivere), Treccani, 2020


Le futur du sport: le sport doit entrer dans le monde de la décroissance

Le « sport » est un concept polysémique dont le contenu, selon les auteurs, renvoie à des réalités très différentes. Pour les uns, le champ du sport est très étroit et il se réduit aux compétions réglementées organisées par les instituions sportives officielles. Pour les autres, le champ du sport est quasiment illimité à partir du moment où il inclut toute activité physique. En consé- quence, les enjeux socio-économiques seront radicalement diffé- rents selon le type de « sport » concerné:

Le sport professionnel s’est progressivement mondialisé et il est devenu l’objet d’enjeux financiers considérables intéressant divers acteurs majeurs : sponsors, diffuseurs, réseaux sociaux, fabricants d’articles de sport, agences de marketing. Le sport devient une activité économique comme une autre, même si on lui reconnaît un certain nombre de spécificités lui permettant par exemple d’échapper en partie aux lois anti-trust aux Etats-Unis ou au droit de la concurrence en Europe.

 Le sport compétition amateur se caractérise plutôt par ses enjeux sociaux. Il y a tout d’abord la présence des bénévoles qui permet- tent de garantir une meilleure accessibilité à la pratique sportive par rapport à une situation de l’économie dans laquelle on laisserait libre cours au marché. Il y a ensuite la production d’externalités positives d’une valeur considérable pour la société : éducation, santé, citoyenneté, lien social, bien-être…

 Le sport loisir présente à la fois des enjeux économiques et des enjeux sociaux tenant à la diversité des motivations des pratiquants. La pratique sportive de masse hors structures officielles représente aujourd’hui un chiffre d’affaires conséquent, notamment du fait de l’achat de matériels plus ou moins sophistiqués et d’équipements divers. Par ailleurs, ce type de pratique produit également de multiples externalités positives en termes de bien-être individuel et de bien-vivre ensemble.

Au-delà de la dimension économique, il est particulièrement important aujourd’hui d’améliorer la prise en compte de la dimension sociale du sport dont la valeur totale dépasse largement sa seule valeur marchande. Les instruments traditionnels du calcul économique sont peu adaptés, voilà pourquoi une analyse socio-économique du sport s’impose.

Problématique générale
Il n’est pas possible de penser le futur du sport sans réfléchir de façon globale à un nouveau projet de société. En effet, le modèle économique dominant actuel est dans une impasse et il n’existe pas encore d’alternative faisant consensus. Peut-être la pandémie mondiale de la Covid 19 va-t-elle accélérer la prise de conscience que son origine réside dans la destruction de ressources naturelles par un système économique dominé par la recherche de rentabilité financière maximale à court terme. Toutes les pandémies mondiales récentes (Sida, Zika, Ebola, SRAS, H1N1…) viennent de l’animal sauvage du fait de la disparition d’écosystèmes qui nous rapproche d’espèces animales réservoirs et de la mobilité généralisée qui mondialise les épidémies. Les principaux facteurs à l’origine des zoonoses sont ainsi bien connus : destruction de la nature, intensification de l’agriculture, production industrielle de viande, commerce d’es- pèces sauvages. Cette destruction systématique du vivant n’est pas durable et il faudra rompre avec ce système capitaliste dominé par une logique de rentabilité de court terme.

Au-delà de cette crise du vivant, il y a également le déni de la question des limites planétaires. Or, comme le soulignait Kenneth Boulding, «celui qui pense qu’une croissance exponentielle infinie est possible dans un monde fini est soit un fou, soit un économiste». La Planète est en train d’atteindre des seuils d’irréversibilité avec le réchauffement climatique ou l’effondrement de la biodiversité, ce qui remet en cause son habitabilité pour l’espèce humaine. C’est donc toute la problématique des choix sociaux qui se pose de façon renouvelée. Dans un monde de croissance, il était possible de donner satisfaction à toutes les demandes en matière de transport, d’éducation, de santé, de logement, de loisirs… Dans un monde limité, c’est un jeu à somme nulle qui s’impose, d’où la question : comment effectuer les arbitrages ? Cette question est d’au- tant plus difficile à résoudre qu’il faut tenir compte de la volonté de l’opinion publique et des décideurs de mettre en place ou non un modèle économique de soutenabilité.

En cas de refus de changer nos modes de vie, on retrouve la conclusion d’Augustin Cournot en 1830 dans son ouvrage sur la question charbonnière : soit on brûle tout, c’est la fin de la civilisation et c’est grandiose ; soit on gère le stock de charbon en bon père de famille pour en faire profiter au maximum les générations futures. En cas d’acceptation d’un nouveau modèle de soutenabilité, il faudra clairement en assumer les conséquences. Les ressources planétaires sont en train de se contracter avec un certain nombre de pics qui ne pourront pas se solutionner (pétrole, ressources fossiles, métaux, terre arable). Il va donc falloir renoncer à certaines consommations et se demander comment organiser cette décroissance :

  • Certains choix seront relativement faciles à effectuer et ils seront possibles à un niveau individuel (diminution de la consommation de viande, de poisson, de lait, d’œufs ou diminution du gaspillage alimentaire).
  • D’autres contraintes seront beaucoup plus difficiles à faire accepter comme la diminution de la mobilité à grande distance (avion, croisières maritimes) ou l’achat d’une grosse cylindrée (SUV).
  • Au-delà des choix individuels, des choix sociaux seront également plus ou moins faciles à effectuer par des populations, des pays, des institutions, des entreprises dont les intérêts seront menacés.

En définitive, la décroissance risque d’être en partie liberticide par rapport à notre monde actuel de croissance illimitée c’est-à-dire sans contraintes. A partir de là, deux questions : quel projet global de société ? Quelles conséquences pour le sport ?

 Un nouveau projet global de société
Dans les années à venir, trois éléments seront au cœur de la reconstruction de nos sociétés : considération, sobriété, relocalisation.

Considération Ce premier principe consiste à reconnaître les limites planétaires et la nécessité d’arrêter enfin la destruction du vivant. Il faut reprendre contact avec la nature et la respecter. Cette question des limites de la croissance n’est pas nouvelle dans la pensée économique mais c’est certainement le rapport Meadows de 1972 qui constitue le premier avertissement. Il y était clairement dénoncé que la capacité de charge de la planète allait être dépassée, mais le ton de l’ouvrage restait résolument optimiste. En 1972, on n’avait pas encore conscience de l’urgence et la catastrophe était pensée à long terme.

Ces prévisions ont été actualisées en 1992 au moment de la conférence mondiale de Rio, le deuxième sommet de la Terre après celui de Stockholm en 1972. Il apparaît alors que la capacité de charge de la Planète est dépassée avec la déforestation, le réchauffement climatique, la perte de biodiversité… Mais les auteurs de 1992 restaient optimistes pour arriver à contraindre l’économie mondiale dans les limites de la soutenabilité. Cet espoir a été déçu avec les résultats insuffisants autour de l’Agenda 21 mis en place après Rio, puis l’échec de la conférence de Johannesburg en 2002. Aujourd’hui, les auteurs sont plus pessimistes et regrettent même qu’on ait perdu une trentaine d’années. C’est le sens également de l’avertissement lancé en 2017 par la communauté scientifique internationale. Personne ne peut plus dire aujourd’hui que l’on ne savait pas. On ne peut pas non plus affirmer que les décideurs ont fait tout ce qui était en leur pouvoir pour éviter la catastrophe. Le déni actuel de la question environnementale de la part des décideurs est impressionnant et la sortie de crise nécessitera un débat public sur deux points incontournables : la détermination d’une hiérarchie des besoins en fonction des limites de la Planète ; les modalités de mise en œuvre d’une économie résiliente territorialisée.

Sobriété La notion de besoin est au centre de l’analyse économique, en dépit du fait que l’on ne dispose d’aucune analyse approfondie de ce concept. Il est simplement posé que les besoins humains sont illimités face à des ressources rares pour les satisfaire. Il faut donc effectuer des choix dont la rationalité sera assurée grâce au calcul économique de maximation sous contrainte.

Au plan social, cet écart entre besoins illimités et ressources rares pose le problème de la fixation de priorités, de la hiérarchisation des besoins. Comment établir la frontière entre l’utile et le futile ? On en revient toujours au problème des finalités de l’activité économique. Et il faut bien reconnaître que le moteur de la société capitaliste n’est pas le besoin à satisfaire mais le profit. Une minorité décide pour la majorité des besoins à satisfaire en fonction de la logique du profit. Il faut écouler une production orientée non pas vers ce qui est utile mais vers ce qui est rentable. On retrouve à nouveau le paradoxe de la valeur et le décalage entre valeur d’usage et valeur d’échange. Jacques Ellul avait bien dénoncé ainsi la multiplication des gadgets, c’est-à-dire des biens qui ont une valeur d’échange élevée en dépit d’une valeur d’usage proche de zéro.

Néanmoins, il ne faut pas en rester uniquement au niveau de l’offre et s’interroger sur la demande qui s’adresse au secteur productif. L’important, dans un contexte de raréfaction des ressources, est de déterminer quels sont nos besoins essentiels. Trois principes d’organisation peuvent sous-tendre une nouvelle construction sociale : la sobriété, c’est à dire la limitation de nos besoins ; l’efficience productive c’est-à-dire les économies réalisées dans les intrants ; le recours à des ressources renouvelables dans le respect de leur taux de renouvellement. C’est le premier point sur la sobriété qui fait débat. L’objectif est de faire redescendre notre empreinte écologique en dessous d’une planète, ce qui implique de faire le tri dans nos consommations. On retrouve le problème de la détermination démocratique des besoins pour décider ce qui est superflu ou ce qui est nécessaire.

Relocalisation Nos économies fonctionnent aujourd’hui en flux tendus à des dizaines de milliers de kilomètres. Les stocks n’ont pas disparu mais ils circulent en permanence dans les avions, les bateaux, les camions, les trains. Cette mobilité généralisée n’est plus soutenable à l’heure de la raréfaction des ressources énergétiques et de l’accélération du réchauffement climatique. Par ailleurs, ce fonctionnement de l’économie mondiale a entraîné une très grande interdépendance des économies nationales les unes par rapport aux autres. C’est toujours une conséquence de la théorie des avantages comparatifs de Ricardo qui justifie la mondialisation. Une telle interdépendance peut s’avérer très dangereuse en cas de défaillance d’un élément de la chaîne d’approvisionnement d’une filière. Toutes nos économies sont donc devenues aujourd’hui très vulnérables.

Il serait souhaitable de mettre en place un nouveau système productif qui soit à la fois résilient et soutenable, ce qui implique une relocalisation de l’économie mondiale. Un tel changement est diffi- cilement envisageable dans le cadre d’une économie libérale de concurrence généralisée entre pays et avec du dumping fiscal, social et environnemental. Plutôt que de rechercher la compétitivité maximale à tout prix, il faudra construire des territoires résilients et autonomes qui permettent la satisfaction des besoins de base. Cette restructuration ne se fera pas instantanément et des expérimentations à petite échelle sont souhaitables. Pour la France, elles pourraient s’inscrire dans une réforme radicale de l’aménagement du territoire. A la place de grosses métropoles de plus en plus invivables à l’heure du réchauffement climatique, on pourrait imaginer un réseau de petites villes denses reliées par un système de transport en commun. A cette échelle territoriale, il est possible d’organiser des circuits courts d’approvisionnement avec une production agricole relevant de l’agro-écologie. Les autres besoins de base peuvent également être satisfaits au niveau du bassin de vie : éducation, santé, loisirs, logement, et surtout lien social.

Conséquences pour le sport
L’organisation sportive sera lourdement impactée par ce nouveau modèle sur trois dimensions: la mobilité, la compétition, la pratique.

Mobilité. Parmi les très nombreux problèmes, il y a tout d’abord l’empreinte carbone des grands événements sportifs qui dépend en grande partie de la mobilité. Par exemple, pour la coupe du monde de football 2010 en Afrique du Sud, le seul transport international pour la mobilité des joueurs et des spectateurs représentait 67,4% du total. C’est dans un tel contexte de remise en cause de la mobilité généralisée qu’il est intéressant d’analyser des travaux de prospec tive sur l’évolution des modes de vie en fonction du réchauffement climatique dans la France de 2050 [IDDRI, 2012]. Cinq scénarios ont été construits et on peut les regrouper en trois ensembles:

1 – La fuite en avant. Ce sont les deux premiers scénarios dans lesquels on ne veut pas renoncer à la consommation et au confort. Le spectacle sportif pourrait être maintenu. Il n’y a pas de restriction à la mobilité par des régulations supranationales de lutte contre le réchauffement climatique. De plus, la performance reste au cœur du système, surtout dans le second scénario qui pourrait voir des compétitions ouvertes aux cyborgs. Néanmoins, la mobilité coûte de plus en plus cher et elle est réservée à l’élite qui n’est pas nécessairement demandeur de spectacle sportif. Dans ces conditions, la rentabilité d’un tel spectacle se pose.

2 – La transition. On a ici une société plurielle dans laquelle une partie de la population décroche du mode de vie productiviste pour adopter un mode de vie décroissant en milieu rural. L’autre partie de la population vit en milieu urbain. Le spectacle sportif mondial n’est plus possible du fait du coût trop élevé de la mobilité à grande distance. On pourrait ainsi assister à la disparition du sport compétition soit par nécessité à cause de la pénurie énergétique, soit par volonté du fait d’un changement de valeur porté par les alternatifs et en particulier la remise en cause de la performance à tout prix.

3 – Le changement de paradigme. On assisterait à une prise de conscience, dans les années 2030, de la nécessité de réguler tous les biens communs. C’est la mise en place de modes de vie respectueux de l’environnement avec abandon du transport aérien, de la voiture individuelle et l’adoption d’une consommation raisonnable et d’une mobilité réduite. Dans tous les cas, les voyages deviennent plus rares, plus lents, plus longs. L’éthique de la simplicité volontaire se généralise par nécessité. La recherche de la performance n’est plus au cœur de la société. Dans un tel contexte, le spectacle sportif est appelé à disparaître.

Compétition. Il faut inventer un nouveau système économique reposant sur d’autres valeurs que celles du productivisme. En particulier, la coopération devra remplacer la compétition. Il s’agit de mettre fin à la recherche de compétitivité à tout prix avec du dumping fiscal, social et environnemental dans le cadre d’une guerre économique sans merci entre nations. Cette idée de coopération a été introduite par Pierre Kropotkine (1938) qui a réhabilité la pensée de Charles Darwin au sujet de la survie des plus aptes. En effet, l’entraide est bien plus répandue dans la nature que la compétition. Les espèces qui survivent le mieux en cas de crise ou de pénurie sont celles qui sont capables de coopérer. La compétition est mortelle mais, à l’inverse, la coopération permet la survie de tous. L’idéologie libérale fondée sur la compétition repose ainsi sur une idée erronée.

Face à la crise civilisationnelle actuelle, pour reconstruire la société, des chercheurs regroupés dans le courant de pensée du convivialisme ont proposé un deuxième Manifeste du convivialisme intitulé «pour un monde post-néolibéral». I l propose de construire un nouveau monde autour de cinq objectifs prioritaires: la lutte contre l’hubris et la réduction des inégalités; la relocalisation de l’économie mondiale; la préservation de l’environnement autour de nouveaux modes de vie; la réinsertion des exclus du travail; la maîtrise de la technologie et notamment l’intelligence artificielle.

Dans une telle société construite sur le principe de coopération, la compétition sportive pourrait disparaître pour faire place au jeu. Ce serait un retour du jeu après sa disparition au moment de la ré- volution industrielle du XIXe siècle en Angleterre et son remplacement par le sport. Contrairement au jeu dans lequel la finalité est le plaisir de participer, le sport et surtout le spectacle sportif imposent la nécessité de gagner ou de maximiser la performance. C’est donc une nouvelle conception de la pratique sportive qui pourrait s’imposer.

Pratique sportive. Il faut souhaiter l’avènement d’un nouveau modèle d’organisation sociale autour des idées de sobriété, de convivialité, de coopération, et sortir du modèle actuel de guerre de tous contre tous. Dans cette perspective, la pratique sportive et les valeurs qu’elle porte peuvent contribuer à la mise en place d’un tel modèle qui demande une modification fondamentale des comportements individuels.

L’un des obstacles les plus forts à ces changements de comportements provient de la crainte véhiculée par les défenseurs du Progrès de revenir à l’âge des cavernes. Beaucoup de nos contemporains ne sont pas prêts à abandonner leur voiture, leur télévision, leur téléphone… pour adopter un mode de vie plus frugal, au nom de la survie des générations futures. Il faut donc insister sur le fait que le renoncement à la consommation de gadgets peut être largement compensé par des activités relationnelles éco-compatibles. Il suffirait en partie de favoriser le déplacement de la demande de biens traditionnels à impact écologique négatif élevé vers des biens relationnels respectueux de l’environnement pour maintenir un niveau de bien être élevé tout en assistant à la diminution du PIB.

La société juste et sobre à construire n’est pas un retour à la bougie mais la mise en place d’un modèle différent, vivant, enrichissant. C’est à cette condition que l’on redonnera du sens à de multiples existences uniquement tournées vers la consommation. Dans cette perspective, les conséquences sur le spectacle sportif sont considérables. On a plus besoin aujourd’hui de mouvements d’éducation populaire pour transmettre d’autres valeurs nécessaires au bien vivre ensemble, que du spectacle de quelques vedettes surpayées de façon indécente. Les grands évènements sportifs céderaient alors leur place à la pratique sportive désintéressée pour le plaisir, la santé, la convivialité, l’épanouissement de soi et non plus pour le gain, le record, la victoire à tout prix.

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