È lento e accidentato il cammino dei diritti civili in Italia. Eppure, per dirla con Stefano Rodotà, «la lotta per i diritti è l’unica, vera, grande narrazione del Millennio appena iniziato» (Il diritto di avere diritti, Laterza). Ma nell’anomalia italiana, i diritti civili continuano a essere posta in gioco dello scontro tra i partiti politici, tra destra e sinistra, tra laici e cattolici. Scontro nel quale la Chiesa cattolica ha avuto un grande peso, in passato più che nel presente, come nella legge Fortuna-Baslini sul divorzio (1970), in quella sull’aborto (1978) o nella Legge 40 sulla fecondazione assistita (2002), quando il cardinale Camillo Ruini s’inventò la strategia dell’astensione per invalidare il referendum che ne avrebbe fatto cadere alcuni divieti.
Il rallenty dei diritti si arricchisce oggi di un nuovo argomento: che diritto hanno i diritti civili di pretendere attenzione o addirittura di intrufolarsi nei lavori del Parlamento in tutt’altre e assai più importanti faccende affaccendato, dalle misure anti Covid agli scostamenti di Bilancio e alle riaperture? Un nuovo alibi è servito.
Tuttavia l’ultima intrusione ha un’urgenza che meriterebbe un po’ di attenzione: è la legge contro l’omofobia che porta il nome del deputato del Pd e attivista Lgbt, Alessandro Zan a restare ora al palo. Attesa da decenni, approvata il 4 novembre scorso alla Camera, si ritrova impantanata al Senato in una prova di forza voluta da Lega e Fratelli d’Italia.
Per Salvini e Meloni semplicemente non occorre.
Vero è che gli episodi omofobi sono sotto gli occhi di tutti: sono i ragazzi picchiati davanti al metrò a Roma, o la giovane Malika cacciata di casa perché lesbica, e infiniti altri episodi spesso neppure denunciati, perché denunciare è doloroso o se ne prova vergogna.
Tuttavia riportare indietro le lancette di una legge contro l’omofobia sarà difficile, qualsiasi sia il testo che avrà l’ok definitivo: quello Zan, che è all’ultimo miglio, o uno diverso, come chiedono associazioni femministe e intellettuali di sinistra tra i quali Beppe Vacca, Cristina Comencini, Francesca Izzo. Sono d’accordo su una legge anti omofobia, ma non su alcune definizioni adottate, come quella di identità di genere. E pensare che in Francia una legge a tutela di chi viene perseguitato per inclinazione o scelta sessuale o per fragilità fisica e psicologica c’è dal 2004, quando governava la destra di Chirac.
Ma è davvero irrefrenabile l’abitudine tutta italiana di usare i diritti in una campagna elettorale permanente. Un esempio per tutti è la legge sulle unioni civili. È stata approvata finalmente nel 2016. La legge, che porta la firma della dem. Monica Cirinnà, ha avuto il via libera definitivo dopo che Matteo Renzi, allora premier, vi mise la fiducia e stralciò la parte più controversa, quella sulla stepchild adoption, ovvero l’adozione del figlio del partner per le coppie omosessuali. Fu una gestazione lunga un decennio, passata attraverso il travagliato dibattito sui Dico.
La prima bozza sui Dico, il disegno di legge sui diritti e doveri delle persone conviventi, fu fatta a casa di Romano Prodi. Ne ricostruisce le tappe Rosy Bindi, cattolica democratica, all’epoca ministra della Famiglia che ne scrisse il testo insieme con la ministra delle Pari opportunità Barbara Pollastrini, una lunga militanza nel Pci. Dice Bindi nel libro Quel che è di Cesare (Laterza): «A Bologna a casa di Prodi in un clima reso ancora più familiare dalla presenza della moglie Flavia, ci fu l’architettura del disegno di legge e sui nodi ancora aperti […] ci fu una accelerazione quando si approvò la prima Finanziaria Prodi al Senato. Era stato presentato un emendamento dal sottosegretario Alfiero Grandi sulle successioni tra conviventi che aveva suscitato forti riserve da parte del senatore Luigi Bobba e di Clemente Mastella, che ci avevano visto il rischio di una forma indiretta di riconoscimento delle coppie conviventi anche omosessuali. Al Senato la maggioranza era in equilibrio precario, il governo rischiava ogni giorno per un pugno di voti. L’emendamento fu ritirato e al suo posto fu approvata una mozione al Senato e alla Camera che impegnava il governo a presentare entro il 31 gennaio del 2007 un disegno di legge che attuasse il programma dell’Unione».
Inizia così la battaglia per le unioni civili anche omosessuali, piena di paletti e di inciampi, in un formidabile intreccio con il tentativo del centrodestra di indebolire il governo Prodi. Intanto in piazza San Giovanni a Roma veniva convocato il Family Day, manifestazione che aveva come portavoce l’ex segretario Cisl Savino Pezzotta e Eugenia Roccella. In piazza arrivò anche Silvio Berlusconi, mostrando a mo’ di denuncia il quotidiano il manifesto con una vignetta di Vauro in cui una moglie dice al marito «Ci sarà una piazza piena di preti» e lui «Sarà bene lasciare a casa i bambini?», alludendo alle accuse di pedofilia.
Ancora scontro, tra sinistra e destra, tra clericali e anti clericali. Prodi si definì un «cattolico adulto». Bindi interloquì con la Cei, sempre rivendicando l’autonomia dello Stato e la sua laicità. Poi il governo Prodi cadde. Le unioni civili finirono nel congelatore. In Francia già i Pacs erano stati approvati nel 1999. Ci sono volute le pressioni di una società profondamente cambiata, che non poteva più aspettare, per avere una legge al passo con i tempi.
Ma gli scontri ideologici hanno riguardato la legge sul fine vita, sin dal caso di Eluana Englaro, la giovane per 17 anni in stato vegetativo, alla quale fu interrotta la nutrizione artificiale dopo polemiche violente e irrispettose. Ancora una legge sul fine vita in Italia manca.
Così come da oltre vent’anni si discute di Ius Soli, ovvero della cittadinanza per i bambini figli di immigrati, nati e cresciuti in Italia, quindi italiani di fatto e non di diritto. Considerata una battaglia della sinistra, dopo una mobilitazione avviata dalla Comunità di Sant’Egidio più di quindici anni fa, non è mai stata approvata dal Parlamento: la destra si oppone, usandola come bandiera anti immigrazione in modo del tutto inappropriato.