Dopo che Pepe Mujica, presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015, si è ritirato dalla vita pubblica (e lui lo ha fatto davvero, non si è limitato ad annunciarlo) la sua presenza non è stata meno forte nei nostri pensieri e nei nostri discorsi. A tenerla sempre viva ci ha pensato negli ultimi anni il cinema, due film che hanno circolato tra festival e reti televisive tematiche e che si si contrappongono e si integrano costruendo un disegno perfetto.
Marco Aime in conclusione di un suo articolo su questa rivista citava un celebre discorso di Mujica tenuto al forum di Rio de Janeiro del 2012, un discorso incentrato sulla felicità: «veniamo alla luce per essere felici, questo è il tesoro più importante che abbiamo: la felicità. Quando lottiamo per l’ambiente, dobbiamo ricordare che il primo elemento dell’ambiente si chiama felicità umana».
È difficile immaginare come un pensiero e parole così piene di entusiasmo e di speranza possano appartenere a chi ha vissuto Una notte di 12 anni. Così intitola Alvaro Brechner il film – presentato a Venezia 2018 – che ricostruisce il lunghissimo periodo di prigionia di José Mujica trascorse nelle carceri uruguaiane insieme con i compagni Mauricio Rosencoff ed Eleuterio Huidobro.
È un film terribile, nel senso letterale del termine, inquietante al punto da mettere a dura prova lo spettatore, basato su una dilatazione dei tempi della narrazione carceraria, interrotta da immagini di allucinazioni e da flash back che ricostruiscono le origini della vicenda e sulla descrizione particolareggiata delle violenze fisiche e psicologiche a cui sono sottoposti i tre prigionieri che il regime considera ostaggi, pronti a essere giustiziati alla prima azione dei Tupamaros.
Benché non manchino momenti paradossalmente romantici o comici, benché la liberazione finale dei tre prigionieri sia avvolta in un’improvvisa luce che esplode anche negli occhi dello spettatore dopo tutto il buio delle celle, non si può pensare che quella subitanea rinascita dei corpi dei protagonisti possa cancellare le ferite della loro anima.
Invece è accaduto proprio questo, come ci racconta un altro film documentario in cui Mujica non è interpretato dal bravissimo Antonio de la Torre ma vi compare in persona. Lo ha girato nel 2015 Emir Kusturica, che ha passato con il Pepe parecchie settimane fino al giorno della cerimonia di chiusura del suo mandato presidenziale, ed è approdato, come il film di Brechner, alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia del 2018.
È un Pepe quello raccontato d Kusturica che prepara il mate, cura la serra, gira sul trattore nella sua famosa fattoria, cucina, racconta in un’atmosfera di incredibile serenità. Perché la sua vita, non è una vita felice o esemplare, è, come dice il titolo del film Una vita suprema, che va al di là della condizione umana, della storia. Per questo non c’è spazio per il rancore, per uno spirito di rivalsa che sarebbe giustificato da quello che si è visto nel film di Brechner.
Come rivela chiaramente e sapientemente Kusturika nelle interviste a Pepe, alla moglie e ai suoi compagni sopravvissuti e divenuti protagonisti della vita democratica dell’Uruguay, non c’è neppure spazio per reticenze, rimozioni, falsi pudori. Tutti parlano delle violenze subite ma anche di quelle fatte nel corso delle aggressioni, degli attentati, della loro attività terroristica con la massima naturalezza, come una scelta che non può essere messa in discussione. E in effetti quale altra scelta poteva fare chi voleva combattere quel regime?
Ma quello è il passato, superato, sconfitto una volta per tutte. Il presente è la suprema normalità con cui il Pepe sale sul suo vecchio maggiolino per andare a incontrare le migliaia di cittadini che lo vogliono salutare nel giorno del suo addio alla presidenza. E il maggiolino presidenziale, quasi un ossimoro, diventa il protagonista dell’ultima giornata ufficiale di Mujica, il simbolo di quella sobrietà anticonsumistica che è premessa fondamentale per la ricerca della felicità, un maggiolino, per restare nel mondo del cinema, capace di imprese più incredibili di quelle attribuitegli tanti anni fa da un film disneyano.