Il Partito Democratico e il futuro del centro sinistra italiano

Il Pd è un partito cannibale. Si nutre divorando i suoi leader. Dieci in quindici anni. Da Veltroni a Letta, segretari nazionali di un partito indefinito. L’ultima, la prima donna al vertice, è già nel pentolone ribollente apparecchiato dalle tribù affamate di identità. Elly Schlein non l’hanno vista arrivare; non sanno spiegarsi perché.

Assediati dai dubbi, in Molise è arrivata la disfatta. Si aggiunge alle sconfitte già collezionate in questa prima metà del 2023: Lombardia, Lazio, Friuli-Venezia Giulia più una serie di città-simbolo. Una regione piccola piccola, il Molise, che fa notizia solo quando va al voto. Il campo largo è stato ingoiato da una voragine elettorale. La Schlein e Giuseppe Conte si erano illusi: la prima volta di un presidente di Regione pentastellato, Roberto Gravina, attuale sindaco di Campobasso. Si è preso tutto invece il centrodestra con il forzista Francesco Roberti. In soccorso del vincitore anche Renzi. Non c’è stata gara. Gli elettori manco si sono accorti del «patto della limonata» siglato in terra molisana tra Elly e «Giuseppi». Il Movimento 5 Stelle si è squagliato rispetto alle elezioni politiche di nove mesi fa: dal 24 per cento a un misero 7. Non fa meglio il Partito democratico: dal 18 al 12. Mancano le radici, si è persa la capacità di rappresentare il mondo reale. Per Giorgia la sovranista è nuova linfa. Per la sinistra un dramma.

Eppure, la Schlein ha provato a delineare un programma in sette punti per il suo partito: attuazione del PNRR, opposizione all’autonomia differenziata, difesa della sanità pubblica, casa, lavoro, industria verde ed emergenza climatica. Obiettivi popolari, apparentemente condivisibili, con una venatura di riformismo socialdemocratico che non dovrebbe mai tramontare. L’hanno chiamata «estate militante»: partenza lo scorso venerdì 30 giugno dalla periferia di Roma per rivendicare un piano casa per chi non ce l’ha; a metà luglio è in agenda un’iniziativa, a Napoli o forse a Bari. contro l’autonomia regionale firmata dal leghista Calderoli.

Ma fatica questo gruppo dirigente dem a farsi ascoltare oltre la coltre del politichese quotidiano. Ci riprova con la rivendicazione del salario minimo per i lavoratori poveri, insieme ai distinguo bizantini delle altre opposizioni. Così lo stesso campo largo si configura come un’ipotetica alleanza più simile a una sommatoria di voti (sempre più pochi) che di progetti comuni (ancor più vaghi).

Ma a Napoli ha funzionato, si dice. Gaetano Manfredi sindaco da quasi due anni della capitale del Sud è la prova che è possibile. Anche se l’analisi dei voti racconta come, persino nel caso napoletano, l’alleanza elettorale ristretta esclusivamente ai cinquestelle-dem-sinistra-verdi non sia sufficiente per conquistare la maggioranza. Manfredi, infatti, ha vinto con l’apporto ampio di formazioni di vario orientamento, ben 13 liste. Ma non è questo ora il punto.

L’orizzonte si delinea tra le europee dell’anno prossimo e le elezioni regionali in Campania e in Puglia nell’autunno 2025 o forse nella primavera 2026. Tra il terzo mandato di Vincenzo De Luca e il campo largo dei suoi oppositori si consumano scaramucce destinate a durare a lungo. L’ex presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico e l’ex ministro Sergio Costa, entrambi cinquestelle, vengono indicati come possibili antagonisti del presidente in carica che, a dispetto dei suoi stessi compagni, resta sempre in corsa in un campo a ostacoli.

Proprio il «patto della limonata» con il misero risultato in Molise sembra favorire l’intenzione deluchiana di fare tris. E al terzo mandato punta anche Michele Emiliano sul cui cammino incrocia la concorrenza del sindaco di Bari, il dem Antonio Decaro. De Luca ed Emiliano hanno una caratteristica in comune: sono gli unici due governatori dem che resistono in un Sud dove Forza Italia e Fratelli d’Italia si prendono tutto. Il primo vince da trent’anni, il secondo da venti. Ma forse proprio per questo manifestarsi come vincenti e determinati, sono anche i due leader che meno piacciono ai vertici nazionali del loro partito. Sia a quelli di prima che a quelli di oggi, nel segno di Elly.

Strano? Il cannibalismo politico evidentemente si manifesta con i più diversi riti.

Intanto cosa sarà del campo largo, è difficile fare previsioni. Perché non solo nella regione più piccola d’Italia, ma anche nella ricca Lombardia e nel Friuli-Venezia Giulia di frontiera l’accordo giallo-rosso ha dato risultati insoddisfacenti. L’analisi del voto oscilla tra drammatizzazioni strumentali e silenzi imbarazzati. Senza risolvere la domanda a cui neppure il congresso, appena quattro mesi fa, è riuscito a dare una risposta chiara. Che cosa è davvero il Pd? Chi rappresenta? Chi vuole difendere? E come? Insomma, perché votarlo? Interrogativi che stimolano la fame di ogni tribù.

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