Il prezzo della sicurezza energetica

Antonia Carparelli

Il rincaro dei prezzi dell’energia, in atto ormai da parecchi mesi, è divenuto sempre più drammatico con l’acuirsi delle tensioni geopolitiche sfociate nel tragico conflitto russo-ucraino. Con il prezzo del gas naturale quintuplicato in meno di un anno sul mercato europeo, e il raddoppio del prezzo del petrolio greggio, l’impatto sui consumatori finali è divenuto sempre più insostenibile, imponendo un rapido ripensamento delle politiche, delle strategie e degli obiettivi energetici dei paesi europei. Con la richiesta unanime di politiche pubbliche di contrasto e di una presa in carico del problema da parte delle istituzioni europee.

La Commissione europea ha risposto tempestivamente con una proposta dal nome significativo: REPower EU che associa misure d’urgenza per mitigare le conseguenze dei rincari per le imprese e per le famiglie a misure di carattere strutturale per la sicurezza energetica o, come si dice da qualche tempo, per l’«autonomia strategica» dell’Europa in campo energetico.

Prima di entrare nel merito delle proposte avanzate a livello europeo è bene partire da alcuni dati di fatto.

Circa il 60% dell’energia consumata nell’Unione europea proviene da combustibili fossili d’importazione: gas, petrolio, carbone. Soltanto il 22% proviene da fonti rinnovabili e la restante parte proviene da combustibili fossili di produzione interna o da impianti nucleari (questi ultimi peraltro assicurano circa un quarto del consumo totale di elettricità). La dipendenza dall’estero dell’Unione europea nel settore dei combustibili fossili è elevatissima: importiamo il 97% del petrolio, il 90% del gas e il 70% del carbone.

Sia per il gas, sia per il petrolio greggio, come pure per il carbone, la Russia è stata ed è un fornitore di primo piano. Proviene infatti dalla Russia oltre il 40% del gas naturale, più del 25% del petrolio greggio e oltre il 45% del carbone. Non tutti i paesi europei sono egualmente esposti, ma l’Italia è tra quelli più esposti (insieme a Germania e a molti paesi del centro e dell’est europeo), poiché dalla Russia importa all’incirca il 40% del gas che consuma, il 12% del petrolio greggio, e oltre il 50% del carbone (che tuttavia rappresenta meno di un decimo del totale dei combustibili fossili impiegati per la produzione di energia).

Da molti anni l’Unione europea ha incoraggiato politiche per la transizione verso la sostenibilità energetica, fissando obiettivi per l’efficienza e il risparmio energetico, per l’incremento delle energie rinnovabili e per la riduzione delle emissioni. Obiettivi che sono parte integrante del percorso per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Lo scorso anno è stato deciso di fissare un obiettivo intermedio per il 2030, che prevede una riduzione del 55% delle emissioni di gas a effetto serra, e la legislazione settoriale europea è stata aggiornata in coerenza con tale obiettivo. Ad esempio, la direttiva sull’energia rinnovabile stabilisce che entro il 2030 almeno il 32% dell’energia sia prodotta da fonti rinnovabili. La strategia d’insieme per conseguire l’obiettivo del 2030, battezzata Fit for 55, è stata presentata dalla Commissione europea a luglio dello scorso anno e molte sue parti sono già state approvate dal Consiglio e dal Parlamento. Ma il nuovo scenario di guerra impone scelte più urgenti e più coraggiose.

La proposta della Commissione prospetta tre categorie di interventi: interventi urgenti sui prezziazioni per assicurare lo stoccaggio del gas per il prossimo inverno; iniziative per affrancare l’Europa dalla dipendenza dalla Russia.

La prima categoria di interventi comprende: iniziative di controllo amministrativo dei prezzi per proteggere economie e imprese dai rincari; tassazione dei sovra-profitti e impiego dei ricavi dai diritti di emissione per alleviare la pressione sui consumatori finali; possibilità di ricorso concordato ad aiuti di stato per venire incontro alle imprese con forte incidenza dei costi energetici.

La seconda categoria di iniziative prevede: l’introduzione di un obbligo minimo di stoccaggio pari al 90% della capacità entro il per il 1° ottobre prossimo, con la possibilità di designare gli impianti di stoccaggio come infrastrutture critiche e di prevedere incentivi per lo stoccaggio; la possibilità di azioni congiunte per l’acquisto e lo stoccaggio del gas; indagini europee sul comportamento di mercato di Gazprom.

La terza categoria di iniziative riguarda  più propriamente la strategia per ridurre la dipendenza dal gas russo, con interventi che spaziano dall’impianto di pannelli solari e pompe di calore, al risparmio energetico, all’accelerazione degli investimenti nelle altre fonti rinnovabili e per l’efficienza delle reti, all’intensificazione della produzione di biometano, alla diversificazione dei mercati di importazione e la costruzione delle apposite infrastrutture, all’ampliamento della capacità produttiva e delle importazioni di idrogeno rinnovabile.

Questi interventi andrebbero attuati in maniera coordinata e integrata da parte di tutti gli stati membri, e nel loro insieme, potrebbero consentire una riduzione delle importazioni di due terzi del gas russo già alla fine di quest’anno e un completo affrancamento nel giro di cinque anni, ovvero nel 2027. La Commissione ammette che la strategia di emancipazione dal gas russo potrebbe comportare un rallentamento delle dismissioni di centrali a carbone e dunque uno scostamento dal sentiero di riduzione delle emissioni, ma confida che si tratterebbe di un effetto temporaneo e limitato, che non dovrebbe compromettere l’obiettivo fissato per il 2030.

La proposta della Commissione è importante, sia perché accresce i margini di manovra dei governi nel fronteggiare l’emergenza energetica sia perché getta le basi per azioni coordinate. L’esperienza della crisi sanitaria, con l’acquisto congiunto dei vaccini, ha dimostrato la valenza strategica e l’efficacia di interventi coordinati. E su questa strada l’Europa potrebbe ancora dimostrare la sua rilevanza e il suo valore aggiunto rispetto a politiche soltanto nazionali.

L’investimento nelle rinnovabili resta comunque la chiave di volta per combinare gli obiettivi di sicurezza strategica con quelli della sostenibilità climatica. L’esperienza dei paesi nordici dimostra che è un percorso possibile. In Svezia oltre il 60% dell’energia consumata proviene da fonti rinnovabili, in Finlandia oltre il 40% e almeno altri cinque paesi europei sono oltre il 30%. In Italia siamo a poco più del 20%. Ma è una transizione che richiede tempo, soprattutto in questo momento di funzionamento inceppato delle catene del valore mondiale e di strozzature dal lato dell’offerta.

Nel frattempo, occorrerebbe porre un’enfasi molto maggiore su misure straordinarie di contenimento della domanda, come strumento essenziale per accelerare l’affrancamento dalla dipendenza energetica dalla Russia. La principale preoccupazione che guida il piano REPower-EU è quella di mitigare l’impatto della crisi energetica sulle economie degli stati membri, in termini di crescita e occupazione. Si tratta di una preoccupazione comprensibile, che tuttavia tiene poco conto del fatto che le importazioni europee dalla Russia rappresentano un formidabile canale di finanziamento della guerra, e non contempla la possibilità che la Russia stessa decida di bloccare le sue esportazioni di energia verso l’Europa e di orientare le esportazioni verso altri paesi.

Finora poco o nulla è stato fatto per ridurre i consumi energetici modificando le abitudini delle famiglie e degli attori economici. Qualcosa di analogo a quanto fu fatto per far fronte agli shock petroliferi degli anni Settanta del secolo scorso. Eppure, in questo momento di alta partecipazione emotiva e di solidarietà verso la popolazione ucraina non sarebbe difficile incentivare comportamenti virtuosi da parte della popolazione. Non sarebbe impopolare chiedere un tributo non monetario, ma di responsabilità, per un obiettivo che non è soltanto la sicurezza energetica, ma anche la difesa della democrazia e della pace.

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