Il segreto di Fedriga non è Fedriga

Il centro destra vince in Friuli Venezia Giulia investendo sul capitale sociale

Le elezioni in Friuli Venezia Giulia con la vittoria del presidente leghista Massimiliano Fedriga, contengono un significato nazionale che rischia di essere sottovalutato dall’interpretazione che ne hanno fornito i media. L’esito del voto è stato rappresentato con un frame (una cornice interpretativa) che sembra già passata nell’opinione pubblica: Fedriga ha vinto con il 64% dei voti. Qualcuno ha sottolineato che ha stravinto. E secondo un riflesso automatico delle redazioni, la vittoria è stata personalizzata nella figura del leader leghista. Ma questo frame è vero e nello stesso tempo non esattamente vero. Per capirlo occorre interrogare i dati e analizzarli da un punto di vista differente, se si vuole poi estrarre il senso nazionale di questo voto.

È chiaro che la vittoria di Fedriga è legittima, ma forse non è sbagliato tentare di comprendere le reali proporzioni del suo consenso e individuare le ragioni strutturali della sua impresa. Fedriga ha vinto con il 64,24% dei votanti, cioè ha preso 314.824 voti su 502.203 dai quali occorre togliere nulli, schede bianche e contestate per arrivare ai 490.056 votanti che costituiscono il 45,27% degli elettori. La prima novità sta nel fatto che quasi il 55% degli elettori ha disertato le urne. Nelle elezioni regionali del 2018 l’affluenza era stata del 49,61%. È vero che le elezioni regionali attirano meno, ma se si raffronta il consenso di Fedriga con l’intero corpo elettorale (anche chi ha deciso di non votare), vediamo che lo ha premiato il 28,37 per cento di tutti gli elettori. Il candidato di Pd e M5S, Massimo Moretuzzo ha raccolto il 28,62% dei votanti, Giorgia Tripoli di Insieme liberi una lista no vax il 4,68% e in fondo alla classifica Alessandro Maran di Azione-Iv il 2,71%. La vittoria di Fedriga si presenta, quindi, come la vittoria della maggioranza (robusta) di una minoranza.

L’immagine del 64 per cento dei voti invece sembra descrivere un plebiscito per il presidente uscente, basato su un consenso quasi unanime. E poiché la nostra mente colma automaticamente i punti lasciati in sospeso dal non detto, siamo portati ad attribuire il successo al fatto che Fedriga abbia governato bene e che ha vinto per questa ragione. Collocando i dati in una prospettiva diversa, cioè i voti ottenuti in rapporto con l’intero elettorato e nel confronto storico con le regionali del 2018, possiamo accorgerci che le cause della vittoria probabilmente vanno ricercate altrove.

Nelle regionali del 2018, infatti, Fedriga ottenne 307.123 voti, gli stessi voti del 2023. In questi cinque anni, Fedriga non sembra avere demeritato come presidente, soprattutto nella gestione dell’emergenza del Covid, durante la quale si è mosso con tempestività e non ha lasciato spazio ai no vax, che gli hanno presentato una lista contro. Ma i dati suggeriscono un’altra storia: la vittoria ha avuto una dinamica diversa, ben nota agli studiosi. È la mobilitazione dei propri elettori che lo ha premiato, soprattutto quando l’affluenza è calata come in questo caso. Fedriga è stato riconfermato facendo il pieno dei suoi elettori con un risultato fotocopia del 2018. In democrazia alla fine ha ragione chi vota, anche se la maggioranza dei cittadini ha disertato le urne.

Non si tratta, quindi, di un trionfo giustificato dal buon governo del centrodestra. Si tratta di un fenomeno oggi frequente a destra come a sinistra: la carta vincente è stata la mobilitazione di un elettorato già orientato, che ha scelto la stabilizzazione dell’esistente. Una attivazione agevolata dal fatto che Fedriga non ha commesso errori gravi come Fontana in Lombardia, che infatti ha sofferto la rielezione. È un mandato a non cambiare, che semmai prelude a qualche modifica negli equilibri interni al centro-destra regionale, che però qui non prendo in esame.

 Questa interpretazione pone al centro due temi. Il primo è appunto la capacità di mobilitazione dei leader e dei partiti in competizione. La gara elettorale in Friuli Venezia Giulia sembra essere stata decisa dal fatto che il centro-destra e il suo candidato hanno avuto le risorse per mobilitare i propri elettori (capacity), hanno saputo fornire le motivazioni per far scattare il coinvolgimento (motivation). L’avversario di centro-sinistra ha tenuto il suo elettorato (139.018 voti nel 2023 contro i 144.363 di Sergio Bolzonello nel 2018), ma partiva da un bacino elettorale tradizionalmente meno ampio. Il problema è che non ha saputo compensare questo deficit, espandendosi in modo significativo in settori sociali differenti. Il Terzo Polo ha fallito su tutta la linea.

Il centro-sinistra avrebbe dovuto cioè immaginare alleanze, dandosi un profilo più inclusivo sia verso altre formazioni politiche sia verso ceti sociali più distanti. Questo sembra il primo significato nazionale del voto: in una società incerta, disorientata, nella quale si registra una maggiore volatilità degli elettori e una attenuata fedeltà verso i partiti (sia pure all’interno dei due campi destra-sinistra), la mobilitazione dei propri elettori e le alleanze sociali e politiche fanno la differenza. Una conferma sembra offrirla Udine, dove il candidato a sindaco del Pd De Toni, ex rettore dell’università, ha costretto il sindaco uscente di centro-destra Fontanini al ballottaggio. La partita sembra abbastanza aperta. Nelle città Pd e centro-sinistra si confermano più radicati e più disponibili ad innesti plurali.

In che modo il centro-destra è riuscito a mobilitare i suoi? Si possono avanzare alcune ipotesi. La prima chiama in causa l’identità. Ad assegnarle un ruolo decisivo è uno dei maggiori studiosi italiani, il professore Alessandro Pizzorno, secondo il quale l’identità, più che le condizioni sociali, è la motivazione che spinge gli elettori a partecipare. Se non si tiene conto dell’identità, scriveva il professore già nel 1960, non si riesce a spiegare perché gli individui, che non dispongono delle risorse della centralità sociale, hanno esperienze di coinvolgimento e partecipazione. Pizzorno porta l’esempio della lotta di classe per descrivere la circolarità del processo: la coscienza di classe di alcuni ceti sociali che non avevano risorse ha promosso la partecipazione, a sua volta la partecipazione ha rafforzato la coscienza di classe.

 Sentirsi parte e prendere parte: ecco la dinamica che sta alla base della identificazione in un partito, in una coalizione, in un leader. Sentirsi parte di un ambito sociale e culturale è di vitale importanza soprattutto in quelle comunità dove la politica ha un peso nella vita quotidiana dei cittadini. E il Friuli Venezia Giulia, dove buona parte della popolazione vive in piccoli centri, è senza dubbio una regione in cui i cittadini nutrono molte aspettative verso le loro istituzioni. L’identità spinge ad attivarsi, la partecipazione esercita una retroazione che conferma l’identità. Il centro-destra e Fedriga, quindi, sono stati abili nel rinsaldare nel tempo questa identificazione con il loro elettorato. Il che vuol dire costruire un legame di appartenenza duraturo. Il centro-sinistra si è rivelato meno abile nel coltivare questa relazione soprattutto al di fuori dei centri urbani.  Ma la sinistra sembra diffidente quando si parla di identità.

La seconda ipotesi riguarda il ruolo decisivo che hanno giocato i gruppi, le associazioni, le organizzazioni che, pur non essendo direttamente politiche, esercitano una funzione importante nella identità e nella partecipazione degli individui. Chi aderisce a un gruppo ha più probabilità di prendere parte. Le associazioni consentono di utilizzare canali per l’accesso al sistema politico. Esse mobilitano iscritti, aderenti, simpatizzanti anche se dispongono di uno status sociale socio-economico basso o se presentano una collocazione sociale periferica. Queste organizzazioni territoriali trasmettono significati, identità a persone che condividono la stessa esperienza.

Come ha spiegato Pizzorno, l’identità svolge una funzione di compensazione per individui che posseggono una minore dose di risorse socio-economiche e spinge alla partecipazione. Il centro-destra in Friuli Venezia Giulia ha un insediamento sociale tradizionale tra le organizzazioni territoriali. Un legame che ha valore soprattutto in una regione arcipelago con la popolazione diffusa in molti piccoli centri. Spesso è attraverso queste organizzazioni che il centro-destra attua il reclutamento del suo personale politico. Alla base di questo modello di cultura politica vi è un sentimento di comunità al cui interno avviene poi uno scambio sociale, cioè la società civile avanza le proprie domande al sistema politico e riceve risposta.

Al contrario, i legami con la società del centro-sinistra sembrano più deboli soprattutto fuori delle città. I progressisti non suscitano questo sentimento di comunità. Le organizzazioni agiscono nella dimensione civica e offrono opportunità, canali di espressione su temi di interesse comune. Spesso a fianco delle associazioni nascono networks di conoscenze e di amicizie personali. In questo circuito poi possono svilupparsi opportunità di impegno politico. Attraverso questa rete, la società civile avanza rivendicazioni, presenta i propri interessi e i propri valori di riferimento. Ma sono stati soprattutto i partiti della destra a coltivare la presenza e l‘interazione con questi network sociali e territoriali. Li ha facilitati il fatto che norme sociali che denotano la partecipazione come un dovere civico sono ancora sentite (più in Friuli che a Trieste e Gorizia) per quanto siano in declino.

Il significato del voto in Friuli Venezia Giulia, quindi, sembra essere l’idea che il radicamento sociale e territoriale, l’identificazione in una comunità restano opzioni strategiche.  Occorre sapere guardare al «clima sociale», integrarsi in esso, per poterne rivendicare la rappresentanza. E la strategia delle alleanze è un passaggio cruciale per i progressisti. Ma nelle ultime elezioni si è constatato come il puzzle delle alleanze sia irrisolto e favorisca il centro-destra. Inoltre, in Friuli Venezia Giulia esiste una rete associativa diffusa, che offre uno sbocco alla disponibilità, al coinvolgimento dei cittadini. Gli individui vivono immersi in un ambiente dove sono ancora radicati comportamenti, atteggiamenti, una cultura di impegno su questioni che riguardano la comunità. Il Friuli Venezia Giulia rappresenta un esempio virtuoso di questo sistema culturale e normativo. La partecipazione, quindi, va intesa in una concezione estensiva, andando al di là della politica, innanzi tutto come partecipazione civica. Il confine tra partecipazione civica e politica esiste, ma è poroso. Del resto, come spiegano gli studiosi, il significato di una mobilitazione non è oggettivo, ma viene attribuito dalle persone in base alle proprie rappresentazioni e al modo in cui percepiscono sé stesse rispetto alla società, alla politica, al mondo. L’impegno civico può trasformarsi in un impegno politico: ne è stato l’esempio Damiano Tommasi, che ha vinto con il centro-sinistra l’elezione a sindaco di Verona. Fedriga e il centro-destra sono riusciti a mettere al lavoro questo clima sociale. Ben prima della campagna elettorale, hanno investito nel capitale sociale.

La conferma indiretta che forse siano da ricercare qui le ragioni del successo di Fedriga lo fornisce un consigliere regionale rieletto del Partito Democratico, Francesco Russo a Trieste. Ebbene Russo ha saputo costruire nel tempo una comunità di cittadini non solo di sinistra, ha puntato su un sistema di relazioni basato sul bene comune della città, sulla fiducia tra differenti componenti della comunità, sulla solidarietà orizzontale anche con chi non è di sinistra. Mentre il centro-sinistra veniva sconfitto, Russo è risultato il consigliere regionale più eletto tra tutti i partiti in una Trieste governata dal centro-destra.

Del resto, Fedriga, sul versante opposto, sembra essersi mosso in questa direzione e ne ha raccolto i frutti. Ma se ha vinto con il 28,37 per cento del corpo elettorale, la sua amministrazione non deve avere proprio convinto tutti i cittadini (soprattutto quelli meno attivi) visto che la maggioranza degli elettori è rimasta a casa. Perplessità, scetticismo, scontento devono circolare, se il presidente ha prevalso grazie al suo elettorato.

Ecco il messaggio conclusivo del voto in Friuli Venezia Giulia: c’è un Paese che attende di essere trovato, che vuole essere convinto, che cerca un’offerta che lo spinga ad attivarsi e che unisca e non divida, che cerca valori in cui credere. Fedriga non era imbattibile. Ma può diventare imbattibile non conoscere l’avversario (compresi i suoi punti di forza), non conoscere sé stessi (compresi i propri punti deboli), non conoscere il campo di battaglia. Ed esplorare più i social network che il network sociale.

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