Il successo di Fabio Fazio svela che la regina è nuda

Quando all’annuncio dei palinsesti ho visto che nel palinsesto di Rai 3 della prima serata domenicale i nuovi dirigenti del servizio pubblico avevano deciso di sostituire il programma di Fabio Fazio con Report, ho pensato che avessero trovato una soluzione geniale. Non per il pubblico ma per sé stessi.

Una perfetta soluzione vincente per la loro credibilità, una mossa abilissima sul piano tattico, politico, spregiudicata e furbesca, di nessun valore culturale, ma in grado di prevenire le eventuali critiche.

Se Report fosse andato male, penalizzato dalla concorrenza e dal successo di Fazio sul nuovo canale privato, vista la coincidenza dello stesso tipo di pubblico, avrebbero potuto dire che Sigfrido Ranucci non vale molto e Fazio è un nemico della Rai che ha abbandonato per soldi. Se Fazio fosse andato maluccio e Report bene, avrebbero potuto vantarsi di essere così democratici al punto da proporre un programma non certo amico della nuova maggioranza di destra al posto di un prodotto obsoleto che fuori dalla Rai non vale poi quel granché e non merita tutte le polemiche che hanno accompagnato la sua fuoruscita.

Insomma, una sorta di delitto perfetto. Ma poi è successa una cosa imprevedibile, perché la televisione è una faccenda complicata e i conti non si possono fare senza l’oste, che è il pubblico. Fazio ha letteralmente sbancato il tavolo (non il suo), sia alla prima puntata dove il successo era prevedibile per la curiosità, sia alla seconda dove, a dispetto della curiosità ormai archiviata, addirittura ha aumentato audience e share. Nel contempo Report, che la prima domenica aveva sofferto un po’, alla seconda ha ottenuto un risultato lusinghiero. A farne le spese sono stati la fiction di Rai 1, Cuori (e mi dispiace perché è un buon lavoro che racconta una vicenda interessante anche se un po’ soapizzata), i programmi Mediaset e di La 7, insieme con Il collegio di Rai 2 (e tutto questo invece non mi dispiace affatto, vista la bassa qualità dei prodotti).

Insomma, quello che mi era parso un piano diabolico è fallito. Le conseguenze sono serie e di diversa natura.

C’è inevitabilmente una ricaduta economica molto evidente, vista la quantità di pubblicità inserita in Che tempo che fa, un programma che portava alla Rai più soldi di quanto ne facesse spendere (come sanno tutti, anche coloro che fanno finta di non saperlo) e che ora li porta a un a società straniera. È un fatto su cui dovrebbero riflettere coloro che parlano di patria, sovranismo ed egemonie varie, così come dovrebbero fare attenzione a un altro aspetto delicato e più sfumato, quello del servizio pubblico.

Ora, benché i dirigenti di Discovery si siano affrettati a dire che non è affatto loro intenzione intervenire in questo ambito, non vi è dubbio che alcuni momenti delle prime puntate di Che tempo che fa abbiano interpretato il ruolo di un servizio alla cittadinanza. Penso all’intervista allo scrittore David Grossman che porta una voce finalmente significativa sulla questione arabo palestinese, tra tante inutili chiacchiere dei soliti giornalisti salottieri; penso agli interventi prescrittivi del professor Burioni. Se, dunque, dire che nella funzione di servizio pubblico siamo al passaggio di testimone è certamente esagerato, non si può nascondere che la questione è aperta.

Infine, c’è stato un episodio apparentemente banale e che invece mi ha molto colpito.

Parlo della scherzosa partecipazione di Fabio Fazio allo show della Gialappa’s sul canale 8, in cui recitava la parte di un aspirante conduttore al posto del Mago Forest. Questo scambio di cortesie, questo patto di buon vicinato e di simpatia tra il canale 8 il canale 9 in virtù di un comune uso degli stessi studi televisivi, mi pare abbia sancito un nuovo assetto nel panorama televisivo. Ormai lo spettacolo leggero, l’intrattenimento comico che ha ampio spazio anche in Che tempo che fa, ha travato la sua sede in questi canali che assumono spesso caratteri di tv generalista.

Per la Rai oltre all’ipotetico scippo della funzione di servizio pubblico c’è, dunque, un altro problema, quello del luogo deputato del divertimento popolare e nazionale, slegato dal dominio dei format globalizzati, che si trova ora al di là del tasto 7 del telecomando. Sono tempi duri, in cui non aiutano certo gli arrivi di Pino Insegno, di Caterina Balivo, di Nunzia De Girolamo che per la verità ha dato il meglio nella prova più difficile, l’intervista al marito gestita con garbo ed eleganza, per poi spegnersi nella prevedibilità delle puntate successive.

Per fortuna c’è la fiction, l’arte del racconto in cui la Rai appare ancora maestra con prodotti che uniscono qualità e successo. Sia quando le storie sono frutto di fantasia come quelle di Imma Tataranni o dei Bastardi di Pizzofalcone, sia quando sono ricostruzioni di tragiche vicende reali come quella di Elisa Claps o di Simonetta Cesaroni.

Se mi permettete un consiglio, questa è la via che la Rai può seguire per imporre il suo marchio in un contesto sempre più articolato: meno chiacchiere e più racconti, purché siano di questo livello, ponderati, curati nella scrittura e nelle immagini e non buttai lì, frutto di un’improvvisazione dell’ultimo minuto.

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