Julio Velasco, filosofo gentile tra Hemingway e Sócrates

Darwin Pastorin

Il mondo del volley riscopre il fascino morale e culturale, oltre ovviamente alle qualità tecniche, di un filosofo gentile: l’argentino, italiano d’adozione per stima e affetto, Julio  Velasco: la sua nazionale femminile di pallavolo ha conquistato per la prima volta la finale nei Giochi Olimpici. Affronterà gli Stati Uniti che hanno faticato, non poco, per superare il Brasile.

Velasco ha saputo creare, in poco tempo, un gruppo fantastico, in grado di saltare, con la forza e l’entusiasmo, qualsiasi ostacolo. In semifinale le azzurre hanno battuto nettamente la Turchia 3-0, grazie alle prodezze di Paola Egonu (con tanti baci e saluti al generale) e compagne: motivate, mai dome, capaci di annullare le difficoltà con uno spirito collettivo esemplare.

Il professor Julio, 72 anni, non è un profeta, non è un guru. È una persona che, semplicemente, sa parlare al cuore di ogni singola atleta o di ogni singolo atleta (non dimentichiamo i suoi tanti trionfi con il volley maschile): parole chiare e nel contempo forti, distruggendo la cultura degli alibi e promuovendo la cultura della sconfitta, perché si può perdere, ma senza sentirsi umiliati, perché questo è il senso dello sport e, dunque, della vita: tornerà, prima i poi, con il carattere il sacrificio e il lavoro, il tempo per raccogliere.

Dopo la vittoria con le turche, ha scandito il suo pensiero, con semplicità: «Dobbiamo pensare a divertirci e dobbiamo smetterla con questa storia dell’oro che manca: perché, francamente, non se ne può più. Lo dico anche in difesa della squadra maschile. Fa male a tutti: è una filosofia di vita negativa. Godiamoci, piuttosto, il fatto che le nazionali italiane, comprese le giovanili, sono sempre al massimo livello e abbiamo una delle Federazioni più importanti del mondo. Guardiamo ciò che possediamo, non quello che ci manca. Basta osservare, sempre e comunque, l’erba del vicino, il nostro sport nazionale».

Velasco, comunista ai tempi della dittatura militare in Argentina, con un fratello minore rapito e poi, miracolosamente, ricomparso, ha studiato filosofia e si è dedicato con successo alla pallavolo, dopo essere passato anche dal calcio. Ora insegna ai giovani e ai non più giovani a uscire dai labirinti dell’esistenza. Parlando di Socrate e, perché no? Anche di Sócrates, il campione gramsciano, capitano della Seleção di football nel 1982, che ha contribuito (grazie all’utopia realizzata della democrazia corinthiana, ovvero il socialismo applicato nel Corinthians di San Paolo, con i calciatori a portare in giro per gli stadi una parola proibita in tutto il Sudamerica: democrazia per abbattere il fascismo al potere. E in Julio ritrovo il mio amato Ernest Hemingway: «Ora non è il momento di pensare a quello che non hai. Pensa a quello che puoi fare con quello che hai». E noi abbiamo la fortuna di avere il nostro Velasco italiano: Mauro Berruto, deputato del PD che ha portato la pratica sportiva nella nostra Costituzione, ex allenatore del volley maschile, medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Londra del 2012, narratore superbo.

Ora non ci resta che attendere domenica, Italia contro Stati Uniti. Con una consapevolezza: abbiamo già vinto la medaglia d’oro dell’allegria, dell’etica, della consapevolezza.

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