È un segno dei tempi il fatto che, in mondovisione Tv dal palcoscenico della Casa Bianca, sia stato messo in scena il brutale tentativo di affermazione della potenza che vuole determinare il destino delle nazioni. E vuole farlo senza considerare nulla se non la propria volontà. È quello che abbiamo visto con il presidente degli Stati Uniti Trump e il suo vice Vance, che hanno teso un’imboscata televisiva ad un loro alleato, Zelensky, presidente di un Paese che combatte per la propria esistenza.
Per comprendere quello che abbiamo visto non dobbiamo farci distrarre dal linguaggio violento di Trump e del suo vice. Né dobbiamo prestare attenzione solo alla sceneggiatura dell’incontro, che sembrava organizzato per umiliare un leader che ha il suo popolo bombardato ogni giorno dalla Russia. Nella stanza ovale della prima superpotenza mondiale, abbiamo visto un mix di politica e di ideologia. Ma si tratta di politica e ideologia scarnificate, purificate fino alla loro essenza cruda di potenza. È un istinto di dominio che pone l’Europa di fronte alla nuova realtà globale che deve affrontare.
Legge e legittimità del dominio secondo Trump
Non si delinea solo una frattura tra Europa e America, divise sulla geopolitica, sul sistema di valori e di idee. Quello che occorre riconoscere è che con Trump gli alleati di sempre, i paesi europei e l’Ucraina in guerra, sono diventati dei nemici da sottomettere a colpi di dazi e tariffe.
Trump vuole negoziare solo con Putin e Xi Jinping, due autocrati alla guida delle altre due superpotenze nucleari. Trump sembra somigliare a loro. È questa trasformazione dell’America, da potenza amica e fidata a nuovo possibile avversario inaffidabile, che occorre indagare.
Dovremmo rammentare la lezione di Weber per capire come l’America liberale e democratica rappresenti oggi il fenomeno drammatico della dominazione e della sua legittimità imposta. L’America guidata dai repubblicani non è la superpotenza che, senza dimenticare i suoi interessi, ha garantito l’equilibrio globale e comunque ha tutelato le democrazie. Trump ha rovesciato la storia della strategia americana per instaurare la logica della forza, in cui contano il suo interesse e i suoi affari.
Il presidente lo ha dichiarato con parole sue al leader ucraino: «Tu non sei nella posizione per trattare». Il che equivale a sostenere che il leader della nazione democratica aggredita, che soffre distruzione e morti, non è legittimato a partecipare al negoziato che riguarda il suo futuro. Deve solo firmare ciò che il sovrano occidentale gli sottopone: un accordo per lo sfruttamento dei suoi preziosi minerali rari. E deve anche ringraziare, come ha spiegato Vance.
Ecco il punto: Zelensky non è legittimato. Glielo hanno spiegato con disprezzo, quando lo hanno accusato di avere fatto campagna per i democratici. Ma allora nella guerra che colpisce l’Ucraina chi è legittimato? Solo Putin e Trump lo sono, i quali stanno apparecchiando la trattativa per spartirsi con la Cina le rispettive zone di influenza globali.
E gli altri? Gli europei? Gli altri sono telespettatori in mondovisione.
Ogni mossa, per quando rude e grossolana, rivela la logica imperiale che ispira Trump come Putin e Xi Jinping. Del resto, l’aggressione a Zelensky ha una motivazione profonda per Trump: ha voluto che il mondo vedesse in diretta che il dominante (il presidente americano) ha la capacità di esercitare la sua autorità sul dominato (il presidente ucraino). Nella logica di potere tra servo e padrone è così che può confermare la sua legittimazione: Trump doveva dimostrare sul palcoscenico televisivo di sapere imporre obbedienza. «O firmi o noi siamo fuori» non suona tanto come un ricatto quanto come l’ultimatum del capo che esercita il controllo, che non esita, di fronte alla dignità dell’altro, ad usare la violenza. Zelensky deve capire che deve pagare per la protezione americana. È il prezzo dell’imperium, che il mondo occidentale in frantumi deve apprestarsi a versare.
Credenza, narrazione, simboli: l’ordine del dominio
In questo modo sullo schermo televisivo si è manifestato il nuovo ordine simbolico del dominio. Sembra quasi che Trump abbia messo in pratica l’insegnamento di Weber: la legittimità è una credenza imposta dai dominanti ai dominati.
L’esibizione della forza contro il leader di un paese martoriato rispondeva a questo bisogno: il potere deve autogiustificarsi nelle società democratiche in cui non c’è più la credenza nella divinità o nella tradizione che pone il leader sul trono repubblicano. Il leader moderno si connette al popolo che l’ha eletto e di cui si proclama l’unico interprete e voce. Egli si autolegittima in virtù della posizione dominante che occupa, posizione che appunto Zelensky non ha. Come Napoleone che nella cattedrale prese la corona di imperatore dalle mani del Papa, convocato a forza per la cerimonia di insediamento, e si incoronò da solo.
Possiamo sostenere che l’imboscata televisiva al presidente ucraino sia stata la cerimonia televisiva in cui Trump si è incoronato da solo. Ed ha annunciato il nuovo ordine del dominio. I simboli sono decisivi in politica e la tv è il luogo in cui mostrarli.
Non a caso poi Trump si è dichiarato neutrale tra la Russia e l’Ucraina. Non c’è ragione e torto, non c’è giustizia che distribuisce colpe e meriti. A livello dell’ordine esiste il diritto del leader ad essere obbedito sulla base dei suoi interessi, esiste la sua sovranità.
Per questo Trump ha rilanciato i temi classici di Putin contro Zelensky e ha accusato Biden di «non avere rispettato» il russo. Vale a dire: non ha riconosciuto che la logica dello zar è la stessa del pari grado occidentale. Per Trump l’ex presidente ha sbagliato a non porsi su questo piano, in cui non valgono le regole o lo stato di diritto, ma solo la logica del potere, della spartizione di influenze, della forza.
La cerimonia televisiva e la mortificazione di Zelensky hanno il senso di costruire la legittimità di questo dominio. Weber parla della narrazione come di una «leggenda alimentata dai più privilegiati». Nella società moderna, i potenti devono creare le basi della loro legittimazione. Devono costruire la narrazione di una relazione dall’alto verso il basso, in cui non c’è altra possibilità (il «there is no alternative» di Margareth Thatcher) che piegarsi o rivoltarsi. Trump così vorrebbe affermare il proprio carisma per guidare un occidente subalterno, ma sacrificabile, in modo da affrontare il negoziato con Putin e Xi Jinping senza condizionamenti.
Il possibile conflitto per la legittimità
Tuttavia, Trump deve fare i conti con un problema, anch’esso emerso nella trasmissione in mondovisione. Non è sufficiente che legittimità del dominio sia costruita dal leader, deve essere il risultato di una relazione bidirezionale, in cui i dominati partecipano alla definizione di ciò che è o non è legittimo. È quello che ha fatto Zelensky: «Non devo chiedere scusa, voglio garanzie».
Nel gioco del dominio la fiducia svolge un ruolo determinante.
Gli individui come le nazioni oggi non sono attori senza carattere davanti al potere. Lo stesso potere ha degli obblighi, che derivano dal contratto sociale e dalla tutela dei diritti. Il presunto dominato partecipa alla costruzione della legittimità come il dominante. E questa partecipazione può diventare una competizione, nella quale la legittimità del sovrano può essere contestata. Non dimentichiamo che la legittimità è profondamente legata alla sovranità, che è prerogativa anche degli altri paesi. Può nascere un conflitto di legittimità e sovranità, di credenze, di narrazioni su cosa sia accettabile e cosa no.
Le prime reazioni dei leader europei e soprattutto dello stesso Zelensky sembrano indicare che si apre una nuova fase: il conflitto potrebbe sorgere. La posta in gioco che l’Europa ha davanti sembra questa: una legittimità posta dal basso (dai cittadini, dalle opinioni pubbliche, dai paesi) può sfidare quella imperiale proveniente dall’alto.
L’America può essere salvata dai suoi cittadini e dall’Europa?