La lezione del 6 gennaio per la democrazia liberale

Il 6 gennaio è stata una giornata nera per gli Stati Uniti e per la democrazia liberale.

Sappiamo chi è stato l’ispiratore di quell’assalto armato alle istituzioni che ha lasciato quattro vittime sul terreno, capiremo nelle prossime settimane chi sono i responsabili della sottovalutazione di quella manifestazione e dell’assenza di contromisure adeguate.

La politica ha seguito la sua strada con la seconda procedura di impeachment nei confronti di Donald Trump, con le defezioni e le prese di distanza di membri del Partito Repubblicano, il suo partito, e anche qui vedremo come si costruiranno i nuovi equilibri.

E l’opinione pubblica? I 74 milioni di americani che hanno votato per Trump lo scorso novembre lo voterebbero ancora?

Per moltissimi osservatori, dopo questi quattro anni ondivaghi e la disastrosa gestione dell’epidemia, quei 74 milioni di voti sono parsi una enormità, quasi il segno di una cecità collettiva, o di un innamoramento collettivo anche se per fortuna non più maggioritario.

Gli analisti ci hanno spiegato le ragioni del successo di Trump nel 2016, dalla crisi delle classi medie alla solitudine dei bianchi delle periferie del centro del mondo, dal ciclo lungo del razzismo a quello risorgente del maschilismo, dell’omofobia, di tutte le intolleranze a tratti sopite e con Trump riesplose.

Ma quattro anni di Trump alla Casa Bianca, quattro anni di una presidenza divisiva, provocatrice e prevaricatrice hanno davvero formato un blocco di destra radicale, estremista e anti-istituzionale di 74 milioni di persone?

Non credo che sia così e le immagini di quell’assalto sugli schermi delle tv potrebbero essere servite a risvegliare da quell’accecamento e da quell’innamoramento la quota largamente maggioritaria di quei 74 milioni.

È successo altre volte nella storia, e l’Italia ne ha vissuta almeno una in diretta, che i moderati, rassicurati da classi dirigenti opportuniste, abbiano scelto di scambiare la democrazia e la libertà con l’ordine e la violenza privata con la violenza pubblica, siano rimasti accecati da messaggi reazionari, si siano innamorati di personaggi dalla ideologia distruttiva. Il risveglio è stato sempre tragico.

Forse il 6 gennaio è stato una lezione istruttiva, una sorta di vaccino per quelle decine di milioni di repubblicani che si erano trasformati in estremisti pur essendo dei moderati. Scopriremo anche questo nei prossimi mesi e anni.

Possiamo considerare che in questi quattro anni e in questo orribile 6 gennaio, la democrazia americana e la sua architettura istituzionale abbiano retto all’assalto più formidabile che le sia stato portato dall’interno. Possiamo ritenere che la società americana abbia anticorpi sufficienti per evitare che un incidente della Storia diventi una svolta della Storia.

Noi nel ’22 non li avevamo, la Germania nel ’33 neanche.

Dobbiamo chiederci però dove sia il problema, come sia possibile che in una democrazia bisecolare come quella americana il meccanismo di selezione per il posto di maggior potere non sia in grado di evitare il rischio che le sue istituzioni possano venire attaccate dall’interno, che gli anticorpi della società debbano essere messi alla prova.

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