Confesso: non ne sapevo nulla. Non avevo mai assaggiato cibi proteici a base vegetale e non avevo neanche una precisa cognizione della loro esistenza. Sapevo che c’erano il latte di soia, di riso, di mandorle e pensavo fossero per consumatori vegani o persone afflitte da intolleranze. Finché un giorno di inizio 2023 ho incontrato al supermercato una giovane collega che era ferma con il suo carrello davanti a uno scaffale e stava scegliendo qualcosa che non riconoscevo. Le chiesi cosa fosse e lei con un certo entusiasmo mi ha raccontato le virtù di quei burger agli spinaci e ai carciofi che stava acquistando. Mi parlò di salute, di sostenibilità ambientale, di trattamento degli animali. «Sei vegana?» le chiesi, «No, e neanche vegetariana. Mangio poca carne, questo sì, e mi piace alternare cibi diversi».
Quel breve colloquio davanti a uno scaffale di supermercato mi fece riflettere sul fatto che siamo finalmente consapevoli dell’impatto del riscaldamento delle nostre case, del modo in cui ci muoviamo e di molte altre cose, ma non lo siamo quasi per nulla dell’impatto sul clima e sull’ambiente del cibo che mangiamo.
Mi incuriosii. Il marchio di quei burger era Kioene, mi informai e scoprii che era l’azienda leader in Italia dei prodotti proteici a base vegetale proposti sui banchi del fresco. Presi contatti con Kioene e incontrai una storia fuori dall’ordinario, perché i suoi fondatori erano imprenditori innovativi e di successo nel settore della carne, e mi stupiva il fatto che chi da generazioni si occupava di proteine animali si fosse dedicato a sviluppare un prodotto antagonista della carne. E perché l’intuizione di Albino Tonazzo, che con il fratello Stefano è alla guida del gruppo che produce con due diverse aziende la carne e le proteine vegetali, risale nientemeno che al 1988, un tempo nel quale la crisi climatica era lontana dall’essere percepita dall’opinione pubblica, la sostenibilità della produzione industriale di carne un problema ancora di là da venire e il maltrattamento degli animali un tema etico che interessava pochi.
Nella vicenda dei fratelli Tonazzo e di Kioene c’era una storia che meritava di essere raccontata e c’era il tema forte, anzi fortissimo, della sostenibilità del nostro modello alimentare nel quale sono centrali la carne, il latte e i suoi derivati e le uova, ovvero i cibi la cui produzione contribuisce più di tutti gli altri alimenti all’emissione di gas che alterano il clima, al consumo di suolo e di acqua, alla deforestazione, alla distruzione della biodiversità, all’eutrofizzazione di fiumi, laghi e acque costiere.
Albino e Stefano Tonazzo insieme ai loro figli, ai manager del gruppo e ai loro collaboratori mi hanno fornito un aiuto sostanziale nel ricostruire la storia della famiglia e dell’azienda e capire su quali valori è nata e si è sviluppata Kioene. A questa storia è dedicata la prima parte del libro.
La seconda parte nasce invece dalle curiosità che mi ha creato scrivere la prima.
La curiosità per il contesto, per i mondi delle proteine animali e delle proteine vegetali, il desiderio di comprendere cosa rappresentano nell’alimentazione di una popolazione umana che nei prossimi 25 anni crescerà di altri due miliardi di persone e nel 2050 arriverà a 10 miliardi, che valore le une e le altre hanno per la nostra salute e quale impatto su quella del pianeta in cui viviamo, quali sono gli interessi in gioco e che ruolo hanno tecnologie e innovazione per consentirci di nutrire tutti in modo adeguato senza devastare l’ambiente.
Ho trovato nelle vicende dei fratelli Tonazzo una chiave per leggere l’evoluzione della società italiana dal banco di una macelleria di paese. Ho scoperto uno di quei segreti dell’Italia nascosta che spiegano come questo nostro strano paese riesca a stare a galla, e cioè il fatto che un mercato tradizionale come quello della carne poteva essere trasformato dalla capacità innovativa di due piccoli imprenditori. Ho visto attraverso quali prove e passaggi un’azienda da artigiana diventa industriale, da piccola diventa media e scopre l’esigenza di darsi un’organizzazione e acquisire competenze gestionali, e quanto è affascinante e complesso questo percorso.
E ho capito che siamo all’inizio di una rivoluzione che partendo dalle scelte più consapevoli di ciascuno di noi quando andiamo a fare la spesa determinerà cambiamenti profondi nell’agricoltura e nell’industria alimentare, nella gestione del territorio, nel rapporto tra città e campagne, nel paesaggio, nell’organizzazione stessa della società.
La disponibilità di cibo ha da sempre segnato la storia determinando migrazioni, aperture di rotte, conflitti, e i rapporti tra le comunità e le classi sociali, delle quali la disponibilità di cibo è stata da sempre il primo e più odioso fattore discriminante.
In questo terzo millennio non è più la quantità di cibo disponibile il fattore che segna la storia, ma la sostenibilità ambientale del modo in cui viene prodotto e quella sociale del modo in cui viene distribuito. È allo stesso tempo la partita di sempre e una partita completamente nuova, nella quale le proteine vegetali e le tecnologie della fermentazione di precisione e della coltivazione cellulare giocheranno un ruolo fondamentale.
Il mondo dell’economia e della finanza c’è già dentro, i flussi di capitali sono imponenti, fondi speculativi, fondi istituzionali, gruppi industriali si stanno posizionando, le lobby potentissime dell’industria della carne sono al lavoro per difendere i giganteschi interessi in gioco, le lobby della giovanissima industria delle proteine alternative cominciano a costruire i loro spazi di manovra. La rivoluzione vegetale è appena cominciata.
Per chi vuole approfondire
Marco Panara, La rivoluzione dell’hamburger. Dalla carne al vegetale. Il caso Kioene, post editori