La straordinaria storia di Bette Nesmith Graham: dattilografa, artista, inventrice

Prendi un frullatore, consultati con l’insegnante di chimica di tuo figlio, fatti aiutare da una competente impiegata di un negozio di vernici e il gioco è fatto! Da segretaria d’azienda diventi donna d’affari.

È la storia della texana Elizabeth (Bette) Clair McMurray, più nota come Bette Nesmith Graham (23 marzo 1924 – 12 maggio 1980) per i cognomi acquisiti dai suoi due mariti, dal primo dei quali, sposato nel 1942 all’età di 17 anni, ha avuto il suo unico figlio Michael, futuro chitarrista del gruppo rock The Monkees. Bette lascia la Alamo Heights School di San Antonio per sposare il fidanzato d’infanzia, il soldato Warren Audrey Nesmith prima della sua partenza per il fronte, ma si ritrova, dopo pochi anni, divorziata e con un figlio piccolo da mantenere. Per sopravvivere, si propone per diversi lavori, fatti in maniera saltuaria, seguendo contemporaneamente alcuni corsi per imparare la stenografia e la dattilografia.

Negli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale, per una giovane donna, le scelte lavorative erano molto limitate e quella di diventare segretaria era forse la posizione più semplice alla quale poter aspirare. Esistevano scuole apposite che preparavano a questo mestiere: le dita agili non erano, purtroppo, l’unica risorsa che si chiedeva. Alle giovani partecipanti della Katharine Gibbs School, una delle più prestigiose scuole americane che preparavano alla professione di segretaria, veniva insegnato quanto fosse importante avere un bel portamento e trucco curatissimo, insieme ad altre competenze, sicuramente più banali, quali la gestione dell’agenda. Nel 1969, il quotidiano Times pubblicò un elenco di «consigli per lei» – ed era, naturalmente, sempre una «lei» – che suggerivano di fare uso quotidiano del deodorante, imparare a fare un buon tè o un buon caffè, apparire sempre belle ma mai provocanti… insomma fare in modo che il capo fosse sempre felice.

Nel 1951 Bette Nesmith riesce a essere stabilmente assunta come segretaria alla Texas Bank & Trust di Dallas. Le sue abilità dattilografiche lasciano piuttosto a desiderare e il suo capo è sempre critico per il lavoro che svolge: Bette comincia a sentirsi frustrata nel commettere costantemente numerosi errori di battitura nei suoi documenti. Le macchine da scrivere riuscivano a imprimere il testo grazie a nastri di carbonio che rendevano anche gli errori più banali difficili da correggere. Le gomme da matita spalmavano il carbonio sulla carta restituendo un documento addirittura illeggibile, dunque, per Bette e le sue colleghe non vi era altra soluzione che quella di riscrivere l’intera pagina o, in alcuni casi, l’intero documento con il conseguente rallentamento delle attività, un carico di lavoro maggiore e uno spreco notevole di carta.

Il 1968 è lontano da venire, Bette non può ancora godere del Data Secretary, il computer che inventerà Evely Berezin togliendo le segretarie dal «vicolo cieco» della riscrittura dei testi. Sarà ancora una macchina rudimentale, ma sembrerà uno strumento magico che le potrà affrancare dalla monotonia di produrre più copie delle stesse pagine: Evelyn riuscirà a inventare il primo word processor della storia che permetterà la scrittura, modifica e stampa dei testi digitati, ma anche la loro conservazione in una piccola memoria per renderli immediatamente disponibili senza pigiare alcuna lettera della tastiera.

Angosciata dalle pressioni dei suoi superiori e terrorizzata dall’eventualità di perdere il lavoro, Bette comincia a pensare a un sistema che possa migliorare la qualità dei suoi documenti senza doverli editare e rieditare più volte. Ricordandosi della mamma che da piccola le aveva insegnato a dipingere, arriva a porsi la domanda: se gli artisti sono in grado di coprire i loro errori senza dover scartare la tela ma dipingendoci sopra, perché non si poteva fare la stessa cosa nella dattilografia? Così, per cinque anni, facendo ricerche nella biblioteca pubblica sulle varie miscele per pittura, con l’aiuto di un’impiegata di un negozio di vernici e dell’insegnante di chimica di suo figlio, inizia a sperimentare l’efficacia di un liquido ottenuto mescolando tempera bianca ad asciugatura rapida e acqua nel frullatore della sua cucina. Riempie bottiglie di smalto per unghie con questo strano preparato e verifica che, per ogni errore di battitura, le basta usare il piccolo pennello per coprirlo. Nasconde il liquido nella sua scrivania applicandolo furtivamente solo quando necessario per evitare le ire del suo capo ma, in pochissimo tempo, quelle bottigliette si diffondono in tutti i piani della banca e negli uffici vicini: ben presto Bette dovrà trasformare la sua cucina in un laboratorio improvvisato.

Inizia a cooptare il figlio Michael e i suoi amici adolescenti pagandoli 1 dollaro l’ora per approntare i flaconi di liquido bianco e incollarvi sopra una rudimentale etichetta fatta a mano. Cerca contemporaneamente di migliorare il prodotto, spesso sconfortata dai risultati: «Durante quel periodo, mi sono spesso scoraggiata, volevo che il prodotto fosse assolutamente perfetto prima di distribuirlo, ma sembrava che ci volesse tanto tempo perché ciò accadesse», dichiarerà in un’intervista rilasciata nel 1979.

Nel 1956, decide di fondare la Mistake Out Company nella sua casa di Dallas ma, sebbene dedichi a questa attività tutto il suo tempo libero, comprese le ore notturne, i guadagni rimangono minimi. La svolta della sua vita probabilmente è legata al giorno in cui, dopo aver commesso l’errore di inserire nell’intestazione di una lettera il nome della sua azienda e non quello della banca, il suo capo decide di licenziarla: un’opportunità favorevole che la porta ad avviare la sua attività imprenditoriale. Propone una campagna pubblicitaria nelle riviste di fornitura per ufficio e trasforma il cortile di casa nella centrale operativa per l’imballaggio e la spedizione dei prodotti. I rendimenti coprono a mala pena le spese delle materie prime per le nuove produzioni e proprio non ce la fa a riuscire a brevettare il fluido biancastro: Bette si cautela ricorrendo a una soluzione più economica grazie alla quale riesce a registrare il marchio del prodotto col numero 862236, associandolo al Mistake Out (Via l’errore) e nel 1968 col numero n. 652928 per il nuovo nome, Liquid Paper.

Nel 1962, si sposa con un venditore di prodotti alimentari e acquisisce anche il cognome del secondo marito, Robert Graham, da cui poi divorzierà nel 1975. La coppia inizia a commercializzare il prodotto in tutto il sud e l’ovest del paese portando le vendite a più di 400 unità alla settimana. Servivano più dipendenti e più spazio, così decidono di lasciare la sede casalinga per trasferirsi in un edificio nel centro di Dallas. Nel 1967, il fatturato raggiunge il milione di dollari, viene fondata la Liquid Paper Corporation e la rudimentale produzione domestica si trasforma in un impianto completamente automatizzato di 1000 metri quadrati con circa 20 dipendenti.

Bette Nesmith Graham, che per la sua attività di imprenditrice aveva portato avanti una filosofia aziendale aperta e innovatrice con la quale faceva partecipare i lavoratori ai processi decisionali dell’azienda, lascia la presidenza della società a suo marito e si prodiga interamente in attività filantropiche attraverso la fondazione di istituzioni senza scopo di lucro. Promuove la Bette Clair McMurray Foundation (per fortuna usando il suo cognome da ragazza!), dedicata a sostenere le donne nel guadagnarsi da vivere, proponendo loro servizi di consulenza professionale e borse di studio e avvia a Dallas la Ghion Foundation per la promozione dell’imprenditoria femminile e per progetti in cui spicca la creatività artistica delle donne.

Dopo il divorzio, Robert Graham farà di tutto per escludere l’ex moglie da ogni decisione aziendale, provando anche a cambiare la composizione del Liquid Paper, per estrometterla da qualsiasi rivendicazione sul brevetto: «Non mi lasciavano entrare in azienda e non permettevano a nessuno di avere a che fare con me», racconterà Bette. Di fronte a questa situazione, Bette Nesmith Graham affermerà il suo status di azionista di maggioranza e nel 1979 riuscirà a vendere la società per 47,5 milioni di dollari alla Gillette Corporation.

Morirà improvvisamente sei mesi dopo, il 12 maggio 1980, per complicazioni dovute a un infarto, all’età di 56 anni.

In quella calda notte del Texas del 1954, seduta nel suo garage pieno di secchi di vernice, bottiglie di smalto vuote ed etichette fatte a mano, senza saperlo, Bette era sul punto di inventare qualcosa di magico: il Liquid Paper sarebbe diventato uno dei materiali per ufficio più popolari e duraturi al mondo. Senza alcun background chimico o imprenditoriale, guidata dalla sua passione per la pittura, era semplicemente una mamma single che doveva fare di tutto per tenersi il lavoro di segretaria. È diventata invece un genio del marketing, lo ha fatto perlopiù in un periodo nel quale le donne erano scoraggiate dal perseguire iniziative imprenditoriali e avendo sempre un’attenzione speciale per l’universo femminile: assunse molte madri single in un’azienda nella quale aveva avuto cura di aprire asili, biblioteche e numerose aree verdi.

Considerava il denaro uno strumento, non una soluzione a un problema. «Il denaro la faceva scoppiare in lacrime, la metteva in uno stato di ansia, di panico», ricorda suo figlio nell’autobiografia Infinite Tuesday: An Autobiographical Riff, pubblicata nel 2017. Michael ha portato avanti le fondazioni a cui tanto teneva la mamma, credendo fortemente nella convinzione di Bette e cioè che «noi donne dobbiamo continuare a essere determinate e implacabili; non dobbiamo arrenderci».


Per approfondire

La storia di Evelyn Berezin è raccontata in Carla Petrocelli, Il computer è donna. Eroine geniali e visionarie che hanno fatto la storia dell’informatica. Bari, Edizioni Dedalo, 2019.

Michael Nesmith, Infinite Tuesday: An Autobiographical Riff. New York, Crown Archetype, 2017.

La collezione della Gihon Foundation comprendente dipinti, sculture, disegni, collage di donne, annovera anche opere di Georgia O’Keeffe, Mary Cassatt, Helen Frankenthaler, nonché di altre artiste meno note e principianti.


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