Le democrature ai tempi del coronavirus

Marina Lalovic
pagina 21

Lo stato di emergenza senza fine e pieni poteri dal Parlamento a tempo indeterminato. Questo è il provvedimento che il primo ministro ungherese Victor Orban ha ottenuto alla fine di marzo con l’attuale crisi dovuta alla pandemia dal coronavirus. «Oggi mi asterrò da qualunque commento, critica o analisi della nuova legge votata al Parlamento ungherese. Lo stesso vale per la valutazione dell’attuale situazione in Ungheria dell’emergenza corona virus. Citerò solamente dati e informazioni ufficiali autorizzati sull’attuale situazione, altrimenti, secondo la nuova legge, i miei commenti o critiche potrebbero essere considerati dannosi o pericolosi nella lotta al coronavirus e così potrei essere condannata dall’1 ai 10 anni di prigione. Vi chiedo dunque scusa e compressione», ce lo diceva Julia Vasarely, giornalista, in collegamento da Budapest nella trasmissione di radio3mondo andata in onda il 31 marzo. Si lascia così alle autorità ungheresi di distinguere il vero dal falso. E quella che è la sacrosanta verità nella diffusione delle notizie legate all’epidemia dovuta al Covid-19.

La situazione non migliora se ci spostiamo a pochi chilometri verso la frontiera sud nella città più austroungarica della Serbia, Novi Sad. Lì il 1 aprile la giornalista Ana Lalic è stata arrestata per aver diffuso presumibilmente notizie false che hanno agitato l’opinione pubblica danneggiando così la reputazione del Centro Ospedaliero di Vojvodina. E non si trattava di pesce d’aprile. Nello specifico la giornalista serba è stata arrestata per aver scritto sul suo portale Nova un articolo critico sulla situazione sanitaria nel principale ospedale di Novi Sad che sarebbe alle prese con penuria di materiale necessario alla cura dei malati di coronavirus. L’arresto è stato effettuato in conformità di un provvedimento entrato in vigore qualche giorno prima che impone il divieto ad autorità locali e istituzioni sanitarie di diffondere notizie e di fatto centralizza l’informazione sul coronavirus.

Non sono mancate le dure reazioni delle associazioni di categorie e dell’opposizione e sulla questione si è espresso anche Harlem Desir, rappresentante per la libertà dei media dell’OCSE che si è detto allarmato di quanto accaduto alla giornalista serba. La premier Ana Brnabic ha annunciato il ritiro del provvedimento dopo il richiamo e sulla richiesta del presidente Aleksandar Vucic, che lei chiama capo.

La situazione in Serbia dall’inizio della crisi dovuta al Covid-19, ha assunto delle sembianze grottesche. Tutto inizia alla fine di febbraio quando l’epidemiologo Branimir Nestorović, nella conferenza stampa assieme al presidente Vucic, sminuiva il pericolo del corona virus. Lo stesso invitava invece le donne serbe ad andare a fare lo shopping in Italia, mentre scoppiava l’epidemia, perché diceva, c’erano dei saldi e il virus non attacca le donne perché sono protette dall’estrogeno. Era il 26 febbraio, all’indomani della scoperta dell’epicentro dell’epidemia italiana a Codogno, che presto diventerà la Wuhan italiana.

Con il peggioramento della situazione al livello europeo, iniziano i primi provvedimenti anche in Serbia. Si chiudono le frontiere e il presidente Vucic prega tutti i cittadini serbi che vivono all’estero di non rientrare nel proprio paese perché così diffondono la pandemia. La maggior parte dei malati è arrivata proprio dal nord Italia, sosteneva in una delle sue conferenze stampa. Una situazione del tutto inedita al livello europeo dove molti paesi organizzavano i voli di stato per rimpatriare i propri cittadini che si trovavano all’estero. Il tono è sempre quello, di rimprovero costante nei confronti di cittadinanza mentre si proietta costantemente l’immagine che tutto si tiene sotto controllo.

Subito dopo le misure cominciano a restringersi ulteriormente. Diventa obbligatoria la quarantena di 14 giorni per tutti coloro che venivano dall’estero e per coloro che provengono dai paesi considerati focolaio (Italia, Spagna, Austria, Svizzera) sono previsti 28 giorni di quarantena negli spazi appositi individuati dal paese. Nei giorni seguenti viene introdotto il coprifuoco dalle 5 di pomeriggio fino alle 5 del mattino diventato quasi completo per i fine settimana: dalle 13 di sabato sino a lunedì. Con l’introduzione del coprifuoco, a tutti i cittadini con l’età superiore ai 65 anni era vietato uscire di casa in assoluto. Ma l’agitazione maggiore arriva quando il Presidente Vucic aveva annunciato che il coprifuoco avrebbe potuto durare 24 ore. Il panico fra la popolazione si era diffuso velocemente perché il coprifuoco è peggio di un lockdown. Sotto il coprifuoco non si può uscire di casa nemmeno per comprarsi i beni di prima necessità. Alla domanda in un talk show televisivo, come si svolgerà la vita con un coprifuoco costante, il presidente serbo ha risposto che non lo sa, perché non si era mai trovato in una situazione del genere. Vedremo e impareremo strada facendo dunque.

Perché la situazione diventasse ancora di più paradossale, un cittadino serbo che aveva postato sulla propria pagina facebook lo status in cui aveva annunciato l’introduzione del coprifuoco per 24 ore, è stato arrestato per la diffusione del panico. Vengono introdotti anche i processi via skype dove un altro cittadino, per aver violato le norme sulla quarantena, è stato condannato a tre anni di carcere. Tutto via skype. Intanto il deserto di Belgrado viene interrotto con qualche manifesto contenente la bandiera cinese nel segno della fratellanza fra i due popoli. Non sono mancate le cerimonie di accoglienza del personale medico arrivato in aiuto dalla Cina dove il presidente serbo era il principale protagonista. Accoglieva ma senza portarsi la mascherina.

É evidente che i paesi dell’Europa dell’Est non hanno le capacità mediche per permettersi lo scenario italiano o spagnolo. Le norme più restrittive sembrano inevitabili. Utilizzare però lo stato d’emergenza per rafforzare il proprio potere è un’altra cosa. In questi tempi di crisi ci troviamo davanti a un bivio dove bisognerà scegliere fra la sorveglianza totalitaria o il rafforzamento del potere dei cittadini; l’isolamento nazionalista o la collaborazione globale.

Gestire il rischio è un affare ordinario dei governi democratici. Avere a che fare con una totale incertezza, come in questi giorni con la crisi del corona virus, sembra un gioco completamente differente. Ma cominciano a delinearsi in maniera sempre più chiara i concetti come ad esempio democratura, introdotto dall’intellettuale croato Predrag Matvejevic: autocrazie mascherate da democrazie.

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