Nei giorni in cui riaprono, almeno in alcune regioni, le librerie, ma restano chiuse ovunque le sale cinematografiche, il pensiero torna a un film che racchiude in sé tutto il fascino del cinema e della letteratura. Ė una commedia, con qualche venatura gialla, francese, di Rémi Bezançon e si intitola Il mistero di Henry Pick. Henry si pronuncia alla francese, visto che la storia si svolge in Bretagna, e non all’inglese, come purtroppo accade nell’assurdo doppiaggio italiano.
Ma questo è un peccato veniale. Peccato, nel senso di rammarico, più grosso è il fatto che il film, uno dei più interessanti e divertenti della stagione, non abbia fatto tutto il suo percorso nelle sale, chiuse per i noti motivi alla fine di febbraio. Si tratta, infatti, del tipico film la cui fortuna può nascere dal cosiddetto tamtam, il consiglio che uno spettatore entusiasta rivolge agli amici. Uscito a ridosso delle festività natalizie, facendosi largo tra il successo (meritato) del Pinocchio di Matteo Garrone e quello (strameritato) del Tolo Tolo di Checco Zalone, il film avrebbe potuto sfruttare più a lungo il credito accumulato in quelle prime settimane e giocare un ruolo da protagonista nell’ambito dei vari cineclub, cineforum, rassegne, iniziative che, a dispetto della parodia fantozziana, continuano a vivificare il tessuto culturale nazionale.
La sua parabola si è invece bruscamente interrotta. Per questo vale pena di riparlarne in questi strani giorni. Si tratta – dicevamo – di un film che coniuga la commedia di costume, un po’ sofisticata, con un enigma da risolvere. Il mistero attorno a cui ruota la trama del film è quello di un grande successo letterario, un libro che ha spopolato in Francia, dal titolo molto accattivante, Le ultime ore di una storia d’amore, e dalla raffinata ispirazione puskiniana.
L’aspetto misterioso riguarda il suo autore, un oste bretone che non ha mai scritto altro che i menù della sua pizzeria e che è morto dopo aver depositato il suo dattiloscritto nella biblioteca dei libri rifiutati, singolare istituzione che ha sede proprio nel suo sperduto e bellissimo borgo sulle rive dell’Oceano. Lì lo avrebbe scovato un’intraprendente editor parigina che ne ha fatto il caso letterario del decennio. Questa versione dei fatti non convince il principe dei critici letterari, conduttore di un programma televisivo autorevole e popolare, Jean Michel Rouche, interpretato alla grande da Fabrice Luchini, deciso a smascherare quello che ritiene un trucco, a qualsiasi costo, anche a costo di perdere le sue privilegiate posizioni.
Senza andare oltre, per ovvi motivi, nel ripercorrere la vicenda gialla, è interessante osservare il vero contrasto che anima lo spirito della commedia. Da un lato c’è il milieu letterario parigino, i suoi totem maestosi come l’archivio Gallimard o quello della mitica BNF, i suoi riti mondani, i suoi frequentatori, spesso profittatori, le sue strategie di marketing culturale, i suoi vezzi margueritedurassiani. Ė qui – sembra dirci maliziosamente Bezançon – che nascono i libri.
Dall’altro lato, però c’è il paesaggio bretone, struggente, misterioso, così magico che può nascondere un pizzaiolo grande scrittore (forse) e ospitare (questo è certo) un progetto folle come quello di un luogo dove vanno a vivere (o morire) i testi che non si leggeranno mai. Ė anche qui – ci dice un po’ romanticamente Bezançon – che nascono talvolta i libri.
Senza troppo perderci a cercare riscontri nella realtà (il museo dei libri rifiutati esiste a Vancouver, scrittori la cui identità è un mistero esistono anche in Italia), quel contrasto tra due mondi culturali è una bella, profonda e arguta riflessione su cosa significa oggi scrivere. Una riflessione che merita tutta la nostra attenzione. E se, nell’attuale difficile situazione, il film non lo si può vedere, ora che le librerie riaprono si può cercare il libro omonimo da cui è tratto, scritto da David Foenkinos e pubblicato da Mondadori nel 2017.