Leggere l’arte contemporanea (per prepararsi alla sua incomprensione)

Maria Letizia Paiato

Quante volte è capitato di visitare una mostra di arte contemporanea e non capirne il senso delle opere esposte? Quante altre è accaduto di commentare o ascoltare machiavelliche interpretazioni? E quante ancora, anche storici e critici dell’arte, hanno sentito vacillare le proprie convinzioni di fronte a installazioni o interventi di dubbia natura?

Leggere l’arte contemporanea, purtroppo, non è facile. Sempre di più essa assomiglia a un terreno minato, dove senza una mediazione, una spiegazione, un approfondimento, è impossibile inoltrarsi. Molte manifestazioni affini a pratiche concettuali, inoltre, sono d’impervia lettura, perché l’opera d’arte è diventata, per così dire inconsistente.

Tuttavia, l’essere inconsistente dell’arte non è propriamente un difetto ma una qualità che, come già detto, deve necessariamente essere spiegata.

Facciamo un esempio. Nel 2019 scatenò chiacchiericcio a livello internazionale l’opera Comedian, la famosa banana di Maurizio Cattelan. Per molti una semplice trovata, per filosofi e storici dell’arte un problema legato alla smaterializzazione dell’opera (tema, questo, fra l’altro di cui avevamo parlato proprio su Pagina21, più in generale, inutile dirlo, azione che induce a chiedersi se davvero ciò possa definirsi arte oppure no.

Se dovessi proporre io una risposta, sarebbe categoricamente no! No, è la risposta corretta, perché no risponderebbero tutte quelle persone che, non avendo mai studiato nulla di arte, non potrebbero mai comprendere null’altro oltre le forme della banana e dello scotch. No, è la risposta corretta, perché sarebbe anche giusto guardare all’evoluzione dell’arte concettuale, oggi sempre più difficile da decifrare, nonché sinonimo di produzioni e azioni dal valore pressoché mediocre. Si potrebbe addirittura azzardare nell’affermare che l’opera d’arte stia vivendo la sua massima espressione in quella che potremmo definire «l’epoca della sua banalità storica», senza timore di scomodare Walter Benjamin, che forse avrebbe rabbrividito nell’osservare come tali interventi di arte contemporanea siano spesso espressione di un vero e proprio feticismo di ritorno, in questo caso immateriale.

Tuttavia, ci sono delle eccezioni, com’è il caso dell’opera di Cattelan, che va spiegata, affinché si avvalori il fatto possano esistere significati altri, oltre ciò che si osserva. In tal senso, l’esercizio critico così l’arte, dovrebbe stare un po’ più dalla parte delle persone, fare meno uso di parole incomprensibili, vivere meno nell’autoreferenzialità.

L’opera di Cattelan non è un’opera d’arte, ma un’operazione sulla comunicazione dell’arte, un gesto perfettamente calzante ai tempi attuali dove essere opinionista è diventato un mestiere, e dove improvvisare è divenuto un pregio. Il vero merito di Comedian? Quello di far parlare di sé, lasciando intendere già nel titolo, la messinscena che dietro essa si cela. Non è possibile, fra l’altro, approcciarsi a Cattelan se non si conoscono Duchamp e Manzoni, artisti che hanno segnato la storia del Novecento, perché senza di loro non si può capire la messa in discussione, anche in termini ironico-dissacranti, dell’oggetto prima, del mercato poi e della comunicazione dell’arte ora. Solo seguendo la storia dell’arte del xx secolo, la risposta alla fatidica domanda: «chi stabilisce cosa è arte e cosa no?». Può sperare di trovare una risposta.

Probabilmente, quando non comprendiamo un’opera di arte contemporanea, il primo passo da fare è chiedersi con serietà cos’è l’arte contemporanea? Sembra banale, ma non possiamo fare altrimenti.

Il quesito, se rivolto agli artisti di oggi, appare evidente e scontato, traducendosi in una risposta talvolta di sdegno verso chi la pone. Hanno ragione a indignarsi, non solo gli artisti ma tutti gli attori dei sistemi dell’arte, perché la risposta abita nell’ovvietà.

Innanzo tutto, l’arte È contemporanea, perché non lo sono tutte quelle manifestazioni artistiche e creative storicamente lontane da noi e che, di conseguenza, non vivono l’oggi e l’attualità. Chiedere e chiedersi cos’è l’arte contemporanea, sembrerebbe addirittura un’offesa inaccettabile, soprattutto per coloro che stanno creando in questo momento. Ciò perché questo implicherebbe per gli artisti, il non riconoscimento di un agire nel tempo del presente, fatto che interessa naturalmente anche la critica, i mercati dell’arte, e più in generale la comunità nella quale si opera. Se accettiamo come ovvia questa interpretazione, ha ragione chi afferma che l’arte È contemporanea sempre, valutando il contemporaneo come una cifra cronologica e non ideologica.

Non è esattamente così.

Immaginiamo che alla nostra definizione sia possibile riammettere un valore ideologico, utile a riassegnargli il compito di definire e motivare in maniera precisa il complesso delle idee proprie a una società o a un gruppo in un determinato periodo storico. Supponiamo arte contemporanea non significhi produzione nel presente ma espressione di un preciso cambio di sensibilità nei confronti del mondo, un’enunciazione tramite cui individuare una svolta capace d’imporsi alla visione, per diventare in seguito una costante nel tempo.

Se questa idea ci convince, sarà naturale pensare a Marcel Duchamp, che presentò un orinatoio come opera d’arte nel 1917, come a un’artista che ha compiuto una svolta nell’arte, tale da sconvolgere tutti i meccanismi di produzione, lettura e interpretazione dell’opera, meccanismi validi ancora oggi e anzi prassi consolidata.

Da quel momento in poi, l’opera d’arte intesa quale manufatto non è più stata tale, così la natura ha smesso di essere riprodotta per lasciare spazio al pensiero, all’idea, al messaggio, all’atto, al gesto, all’azione.

Non c’è da stupirsi dunque se la comprensione dell’arte contemporanea risulti davvero difficile. Come potrebbe essere facile leggere un pensiero, un’idea? Come? Se le interpretazioni possono essere tante?

Abbiamo citato Maurizio Cattelan, parliamo ora di un altro artista che spesso ha destabilizzato il mondo dell’arte, ovvero Damien Hirst. Fra le sue opere più famose The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living (L’impossibilità Fisica Della Morte Nella Mente Di Un Essere Vivente) ovvero uno squalo imbalsamato e messo in una teca piena di formaldeide, venduta alla cifra di 12 milioni di dollari, una quotazione da capogiro che ha portato l’economista Don Thompson a pubblicare, nel 2009, il saggio divenuto celebre, Lo squalo da 12 milioni di dollari. La bizzarra e sorprendente economia dell’arte contemporanea.

Anche in questo caso la domanda sorge spontanea: lo squalo di Hirst è un’opera d’arte? Come per Cattelan, per quanto mi riguarda la risposta è No, no secondo il senso tradizionale che si associa alla parola opera. Diversamente dall’italiano divenuto abile a manipolare i meccanismi di comunicazione dell’arte, Hirst già nel 1991 aveva capito quanto il marketing fosse giunto a fare parte del processo artistico, fatto ravvisabile nel titolo, non banalmente Squalo ma qualcosa di molto più sofisticato e senza dubbio capace di suscitare curiosità. Senza entrare nel merito del significato di questo lavoro, come molti nella sua poetica, dedicati alla morte e alla malattia, Damien Hirst, come Cattelan è andato ben oltre il gesto rivoluzionario di Duchamp o la merda d’artista di Manzoni, divenendo egli stesso il brand dei suoi lavori.

Il problema dell’arte contemporanea oggi, risiede pertanto nel tentativo che ciascuno di noi, indipendentemente dal proprio livello culturale, fa nel darsi una spiegazione, quando si trova di fronte a lavori di questo genere, posto che questi siano onestamente in grado di scuoterci, di porci domande, di interrogarci.

Quando osserviamo e tentiamo di spiegare un manufatto artistico, più che chiederci quale sia il significato dell’opera, posto che uno soltanto ne esista, dovremmo domandarci cosa funzioni e no nella nostra spiegazione. Cosa e non, sia parte di una dimensione condivisa e riconosciuta nel tempo in cui viviamo. Ecco allora che sarà forse meno imbarazzante identificare quando la creatività del linguaggio artistico è davvero in grado di cogliere e generare nuovi significati tali da modificare la percezione del mondo.

Se questo succede allora l’opera ha un significato, diversamente rivedere Le vacanze intelligenti di Dove vai in vacanza, geniale pellicola del 1978 dove la coppia di fruttivendoli Remo e Augusta Proietti, ovvero Alberto Sordi e Anna Longhi, sono costretti dai figli ormai prossimi alla Laurea a visitare la Biennale di Venezia, resta sempre un balsamo inimitabile, capace con una risata di riportare alla realtà anche gli intellettuali più severi.


Maurizio Cattelan e Damien Hirst vi aspettano dal 4 marzo al 18 giugno a Firenze a Palazzo Strozzi con la mostra Reaching for the Stars. Da Maurizio Cattelan a Lynette Yiadom-Boakye, che celebra i trent’anni della Collezione Sandretto Re Rebaudengo di Torino. In mostra, oltre a Cattelan e Hirst, una selezione di opere dei più importanti artisti contemporanei cui oltre a, Sarah Lucas, Lara Favaretto, Cindy Sherman, William Kentridge, Berlinde De Bruyckere, Josh Kline e molti altri ancora.

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