Della città di Medellin (Colombia) si è sentito parlare in due occasioni: l’impero economico e criminale fondato sul narcotraffico da Pablo Escobar e successivamente le grandi operazioni urbanistiche e architettoniche, che hanno riqualificato parti cospicue della città, con la regia dall’amministrazione guidata dal sindaco Fajardo e successive.
Eppure nel 1968 la città era diventata celebre per il Consiglio episcopale latinoamericano (CELAM) che vi si era svolto e nel quale si era cominciata a sviluppare la cosiddetta teologia della liberazione che prendeva le mosse dalle tematiche proposte a Roma nel Concilio Vaticano II, voluto da Papa Giovanni XXIII e concluso da Paolo VI. Concilio di grande rinnovamento perché oltre a discutere la vita interna della Chiesa Cattolica, aveva aperto a analisi relative al mondo contemporaneo.
«Per distruggere la religione come alienazione, bisogna distruggerla come fattore di potere. La teologia del Concilio Vaticano II, postulando una Chiesa “distinta ma non separata dal mondo” ha dato un colpo di scure alla Chiesa come potere e quindi alla religione come potere». (Arturo Paoli, Dialoghi della Liberazione, Morcelliana, Brescia 1972)
Sarà qualche anno dopo, nel 1979, che durante la III conferenza generale della CELAM, svoltasi a Puebla (Messico), i vescovi latino americani sceglieranno, a partire dal Vangelo, una opzione preferenziale per i poveri. I teologi latinoamericani più impegnati in questi anni nel definire e praticare i temi della teologia della liberazione sono il peruviano Gustavo Gutiérrez, docente nella Pontificia Università del Perù, Hélder Câmara, arcivescovo di Olinda e Recife, il teologo brasiliano Leonardo Boff.
L’impegno per i poveri in America Latina si svolge proprio nel periodo in cui da un lato le regioni del continente sono scosse da colpi di stato militari e dall’altro l’esperienza della rivoluzione cubana ha assunto un ruolo di riferimento molto centrato sulla figura e sul mito di Che Guevara.
Quindi è fin troppo facile per i settori più conservatori della società e della chiesa intravedere un parallelismo tra le opzioni rivoluzionarie proposte da gruppi armati e alcuni principi – tendenzialmente non violenti – della teologia della liberazione.
Un parallelismo tra due linee (politica e pastorale) che viene letto come un procedimento che rischia di diventare unitario quando un Papa che arriva dal mondo del socialismo reale (che contribuirà a far implodere) viene eletto al soglio di Pietro nel 1978: si tratta del polacco Karol Wojtyla, che prenderà il nome di Giovanni Paolo II.
Pur criticando alcuni eccessi consumistici del capitalismo, Wojtyla ha come obiettivo il far tagliare i ponti tra sacerdoti, impegnati nel sociale, e politici marxisti: cosa che in buona parte realizza con una critica costante alla teologia della liberazione, che lo vedrà allontanare o mandare in pensione alcuni di questi vescovi impegnati con il riscatto della povertà, che si traduce in una costante presenza nelle comunità della periferia e nella difesa degli abitanti delle favelas e dei ragazzini che vivono in strada.
Di questo atteggiamento dichiaratamente contrario alla teologia della liberazione si possono ricordare due episodi piuttosto significativi.
La condanna di Ernesto Cardenal, monaco poeta che ha anche partecipato come ministro della cultura alla giunta rivoluzionaria del Nicaragua degli anni ’70 e ‘80, che si inginocchia davanti al Papa ma ne riceve solo un gesto autoritario che sintetizza l’ordine, già espresso dal Vaticano, di abbandonare la teologia della liberazione e qualunque ruolo politico e che si traduce nella impossibilità di impartire i sacramenti, durata ben 35 anni.
L’attenzione e la condanna della Congregazione per la dottrina della fede, il cui principale esponente è il cardinale Joseph Ratzinger, per la figura di Leonardo Boff e in particolare per suo libro Chiesa, carisma e potere: il processo al giovane professore di teologia si conclude con una condanna al silenzio a tempo indeterminato, che in effetti durerà circa un anno.
E così negli anni del lungo pontificato di Giovanni Paolo II e del breve papato di Benedetto XVI la teologia della liberazione diventa un fenomeno carsico, di cui la chiesa ufficiale fa volentieri a meno, allontanandosi dalla realtà e dalle questioni che si porranno e porteranno alle dimissioni di Ratzinger.
Alcuni sacerdoti, soprattutto in America Latina, continuano a lavorare al fianco dei poveri, e se non è più possibile pensare a cambiamenti politico-rivoluzionari, lo sforzo si concentra sul costruire reti di solidarietà, che non abbiano un approccio assistenziale.
Padre Vilson Groh, che ha scelto fin dall’ordinazione sacerdotale di abitare nelle favelas di Florianópolis (stato di Santa Catarina, sud del Brasile), ha strutturato la sua proposta come investire sui poveri, affiancandoli e organizzandoli nel costruire una nuova coscienza collettiva, con l’acquisizione della consapevolezza dei diritti civili e sociali, politici e culturali.
Cominciando dalla favela in cui vive, arrampicata sul crinale che divide in due la parte isolana della città, il Morro di Mont Serrat, dopo avere abitato nello slum di Mocotó, Vilson ha costruito una rete che coinvolge altre favelas della città, che negli anni più recenti si è strutturata come Istituto Padre Vilson Groh: la Rede IVG difende e garantisce i diritti delle popolazioni più povere, tallonando le strutture amministrative per un miglioramento delle politiche pubbliche, con la realizzazione nelle periferie di scuole, mense, spazi per il tempo libero e lo sport. Di fronte a risposte insufficienti delle strutture municipali, è stata la stessa iniziativa di Vilson e dei gruppi a lui collegati a portare alla realizzazione delle strutture mancanti, grazie anche a una rete di solidarietà economica che poggia su scambi interculturali nati fin dai primi anni di questa esperienza nella relazione con scuole italiane, con il Progetto Aquilone.
Negli anni più recenti l’Istituto Padre Vilson Groh ha potuto ottenere risultati che hanno numeri annui che vanno dalle 1.900 famiglie coinvolte a più di 800.000 pasti offerti, a buoni risultati scolastici con la formazione di ricercatori universitari: insomma padre Vilson è diventato quasi un sindaco delle periferie.
«Come mettere in valigia sogni e sogni reali, in modo che i giovani possano ritrovare la forza della speranza?», si chiede Vilson. La risposta è nell’azione.
Mentre continuava questa opera di organizzazione di una nuova teologia della liberazione, più pragmatica e meno ideologica, la chiesa cattolica ha vissuto un evento estremamente significativo: l’elezione del nuovo Papa nel 2013, il cardinale argentino Jorge Mario Bergoglio, che stupisce il mondo assumendo il nome di Francesco.
Già in questa scelta c’è un preciso riferimento ad un ritorno alla povertà della Chiesa, che forse è impossibile realizzare in pochi anni all’interno di un potere economico conseguenza di secoli di accumulazione di ricchezze: Francesco simboleggia questa scelta radicale trasferendosi nella residenza di Santa Marta, non indossando più gli abiti sfarzosi dei suoi predecessori, dando accoglienza a poveri e immigrati in alcuni spazi sotto il porticato del Bernini.
Si costituisce così anche la possibilità di una riapertura verso le forme più recenti di teologia della liberazione (Vilson, per esempio, verrà ricevuto dal nuovo Papa) che vedrà una reinterpretazione anche attraverso la scrittura di encicliche estremamente vicine ai problemi concreti dell’umanità.
Nel 2015 la Laudato sì si occupa dello stato del nostro pianeta, con la precisazione che il rapporto deve essere tra uomo, natura e chi l’ha creata. Un nuovo ecologismo integrale cristiano che tiene conto che i rischi maggiori di una trasformazione, come quella dovuta al cambiamento climatico, li corrono le popolazioni più povere e marginali.
Un approccio verde che non guarda solo alla natura, ma valuta anche il fenomeno delle megalopoli informali, caratterizzate da inquinamento e caos urbano.
Nell’ottobre 2020 il Papa firma ad Assisi l’enciclica Fratelli tutti, scritta in piena pandemia ma che guarda a tutte le malattie del mondo contemporaneo, dalle guerre alle migrazioni al mito del mercato al populismo irresponsabile. L’unica terapia possibile è la fratellanza, il partire sempre dagli ultimi, ragionando come famiglia umana.
Laudato sì e Fratelli tutti si possono leggere o rileggere, entrambe, come un unico disegno unitario che ha come obiettivo l’affermazione della giustizia e in questo non possono non colpire le parole di Leonardo Boff che rende onore e merito a Papa Francesco, «Poiché l’attuale papa Francesco proviene dall’America Latina, molti si sono chiesti se sarà un adepto della teologia della liberazione. La questione è irrilevante. L’importante non è essere della teologia della liberazione ma per la liberazione degli oppressi, dei poveri e dei senza giustizia. E lui lo è, con indubbia chiarezza».