Mi è capitato di leggere in questi giorni, per puro caso, su Facebook alcune colorite rimostranze nei confronti del Festival dello sport di Trento. Riguardavano la presenza, tra i molti personaggi invitati, di Christian Vieri e Antonio Cassano definiti leggende del calcio. È stata soprattutto la definizione di leggenda che ha indispettito molti appassionati di calcio.
Al di là dei toni eccessivi e faziosi che non possono mancare quando c’è di mezzo il pallone, le futili polemiche nascondono un problema serio. Ne abbiamo discusso di recente in un altro festival, a Conversano, all’interno di Lector in fabula che ha dedicato questa edizione al Tempo degli eroi. Tra i molti eroi del passato e dell’oggi di cui si è parlato non potevano mancare gli eroi (o le leggende, i miti) nati dallo sport in particolare dal calcio. In questo ambito, infatti, mi pare sia in atto una trasformazione significativa segno, forse, dei tempi.
Fino a qualche tempo fa la costruzione dell’eroe sportivo, della figura mitica, era un percorso decisamente raro che richiedeva un’elaborazione complessa e aveva un forte legame con la morte. Si entrava nell’Olimpo degli eroi, dopo la scomparsa, in particolare dopo una scomparsa prematura, in circostanze tragiche. Gli archetipi di questo modello erano Fausto Coppi e i calciatori del Grande Torino. Il primo era scomparso in ancor giovane età per un malanno banale e trascurato dopo che la sua luminosa carriera sportiva era stata contaminata dalla vicenda sentimentale e giudiziaria della dama bianca e la sua vita di grandi imprese e successi aveva incontrato la sofferenza e l’ingiustizia, l’invidia degli uomini e forse anche degli dei, come accadeva agli eroi della mitologia classica. Tali erano diventati anche Valentino Mazzola e i suoi compagni, giovani, forti, invincibili sul campo e vinti solo dal fato avverso e dalla loro generosità che li aveva spinti a raggiungere l’allora lontana Lisbona per rendere onore a un campione del Benfica che dava l’addio al calcio. Sulla stessa strada li seguiva, quasi vent’anni dopo, un altro calciatore granata, Gigi Meroni.
Meroni l’anticonformista, il beat, il pittore, estroso e a volte incompreso, stroncato nel fiore degli anni dal più assurdo degli incidenti, travolto mentre attraversava un viale cittadino dall’auto sportiva di un suo grande tifoso, che sarebbe diventato molti anni dopo il presidente della sua squadra.
Gli eroi sportivi di quel tempo avevano una forte dimensione simbolica, rappresentavano, un mondo, un universo, un popolo. Garrincha, «alegria do povo» gioia di un intero popolo, come recita il titolo del film di Pedro de Andrade a lui dedicato. Il popolo in questo caso è quello delle favelas, dove Garrincha è nato povero, denutrito, con una poliomielite che gli ha accorciato una gamba, che lui usa per la sua irresistibile finta. Diventa due volte campione del mondo, sposa una diva della musica brasiliana prima che il destino avverso lo colpisca nuovamente con l’uscita di scena, l’alcolismo, la morte in solitudine. Di questi eroi ha parlato Darwin Pastorin.
In questo nostro tempo a me pare che si stia affermando una tendenza opposta. La figura dell’eroe sportivo oggi non ha più a che fare con la morte, con la sofferenza, con un destino tragico, con il bisogno di riscatto.
Sono molto colpito da quanto accaduto nei mesi scorsi attorno alla figura di Francesco Totti, protagonista, eroe di ben due serie televisive dedicate alla sua brillante carriera chiusa tra qualche inevitabile polemica. Una figura quella di Totti che non ha nulla dell’eroe tragico: uomo fortunato, felice, amato in campo e fuori, realizzato nella professione e negli affetti, consapevole dei suoi limiti culturali fino all’autoironia. La sua vita è senza drammi. Non possono essere gli infortuni, prevedibili in una lunghissima carriera, né il conflitto con un allenatore, enfatizzato a dismisura nelle narrazioni per creare l’antagonista, a creare la dimensione eroica.
Forse i nuovi eroi sportivi sono proprio diversi da quelli del passato, lontani dalle loro traversie, dal bisogno di riscatto, non più vittime ma padroni del destino: Francesco Totti come Roberto Baggio, a cui è dedicata un’altra fiction o Valentino Rossi, uomini realizzati, simboli di un successo senza ombre, senza che il destino li metta alla prova. Eroi borghesi, eroi simpatici come definiva Edgar Morin quelli costruiti dallo star system hollywoodiano, eroi in cui l’identificazione risulta più facile in questo tempo difficile.