L’Europa di Langer e Leogrande

L’Europa muore o rinasce a Sarajevo s’intitola un articolo di Alexander Langer pubblicato il 25 giugno 1995, pochi giorni prima di togliersi la vita, sulla rivista La terra vista dalla luna e racconta della manifestazione internazionale a Cannes alla quale parteciparono diversi parlamentari e pacifisti europei, in occasione di una riunione del Consiglio europeo.

I manifestanti riuscirono a incontrare il presidente di turno Jacques Chirac, a cui chiesero, oltre a un intervento immediato per spezzare l’assedio di Sarajevo e porre fine al genocidio che era in corso contro i musulmani, l’adesione della Bosnia all’Unione europea come strumento per giungere a una soluzione pacifica della guerra.

Esattamente un mese prima le artiglierie serbe avevano bombardato la città di Tuzla, causando una strage: oltre 70 giovani uccisi durante il passeggio, centinaia di altri giovani feriti. Quattro giorni prima Langer aveva salutato il sindaco della città bosniaca, il musulmano e riformista Selim Beslagic, dopo averlo accompagnato a Strasburgo, a Bolzano e a Bologna. Nell’articolo accusa l’Europa di avere favorito, ciascuna nazione per i propri interessi, la disintegrazione della vecchia Jugoslavia. Esattamente come aveva fatto a partire dal 1991 per l’Albania, invoca l’intervento dell’Unione europea, una sua apertura a Est, verso i paesi che, uno alla volta, stanno uscendo dalle dittature comuniste.

Lo invoca in nome dei diritti umani, innanzitutto, in nome del dialogo, dell’accoglienza, della convivenza multietnica tra popoli, lingue e culture diverse che devono imparare a convivere, perché questo sarà il futuro. L’anno prima, il 23 marzo 1994, aveva ideato un Tentativo di decalogo per la convivenza interetnica, muovendo proprio dalla constatazione che «La convivenza pluri-etnica, pluri-culturale, pluri-religiosa, pluri-lingue, pluri-nazionale… appartiene dunque, e sempre più apparterrà, alla normalità, non all’eccezione».

Penso spesso a queste lucide riflessioni di Alexander Langer e ci penso in particolare tutte le volte in cui l’Unione europea replica le politiche criticate dal politico sudtirolese: durante la guerra in Libia, in occasione delle ondate migratorie dalle zone di guerra o dai luoghi poveri del pianeta, e oggi, in occasione della pandemia causata dal coronavirus. Accanto a numerosi episodi di fratellanza, ad esempio l’arrivo a Brescia di medici e infermieri provenienti dall’Albania, sono riemersi gli egoismi, i sospetti, gli interessi di parte, si sono alzati confini. Il sogno dei padri dell’Europa unita, evitare nuove guerre fratricide, dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale, rischia di infrangersi proprio nel momento in cui più forte dovrebbe essere la sua spinta unitaria, più forte la necessità di mettere insieme dolori e risorse.

Ci manca oggi la voce di Langer, esattamente come ci manca quella di Alessandro Leogrande che alle trasformazioni politiche ed economiche dell’Europa dell’est aveva dato voce, prima raccontando lo schiavismo dei polacchi impiegati nei campi di pomodoro della sua Puglia, poi la tragedia della Kater i Rades, la motovedetta albanese speronata nel canale di Otranto da una corvetta della Marina Militare italiana la sera del 28 marzo 1997, causando la morte di 84 persone, tra loro diverse donne e bambini. Certamente sarebbe stato contento Leogrande di vedere arrivare da quello che lui chiamava il paese di fronte, cioè l’Albania, medici e infermieri per aiutare la sanità lombarda travolta dal moltiplicarsi di polmoniti da coronavirus. Ma forse avrebbe voluto saperne di più, conoscere le storie dei nuovi arrivati, anche per liberare quel generoso soccorso dall’ipotesi di strumentalizzazione mossa al capo del governo albanese Edi Rama, accusato da alcuni di usarlo come merce di scambio per accelerare l’ingresso dell’Albania nella UE.

Ma entrambi, ne sono certo, avrebbero messo al centro del dibattito politico e giornalistico anche la questione ambientale, ovvero quanto la salute di cittadini e lavoratori venga quotidianamente messa a rischio in nome del profitto e quanto il coronavirus abbia trovato terreno fertile in polmoni indeboliti dall’inquinamento, in un sistema immunitario fiaccato dai pesticidi e dagli antibiotici. Di Langer, Leogrande aveva apprezzato proprio l’idea di conversione ecologica, ovvero una trasformazione del sistema produttivo capace di conciliare diritto al lavoro e diritto alla salute e un nuovo modo di vita all’insegna della lentezza, della profondità e della dolcezza (lentius, profundius, suavius).

In tanti ci chiediamo cosa resterà a ciascuno di noi di questa esperienza, quando finalmente potremo rielaborarla con la giusta distanza. Al di là della retorica del saremo migliori o dell’andrà tutto bene, il senso di responsabilità dovrebbe spingerci a rivedere il nostro stile di vita, ripensando, ad esempio all’alimentazione e all’uso eccessivo di farmaci, entrambi sottoposti alla legge del profitto. Andrebbero ripensati l’agricoltura, l’allevamento, la produzione industriale.

Gli scritti, le inchieste e le riflessioni di Langer e Leogrande possono essere di grande stimolo in tal senso. E sarebbe bello se proprio dalla politica, cioè da chi ha la responsabilità della polis, arrivasse un segnale di cambiamento che metta da parte propaganda e strumentalizzazione, superficialità e irresponsabilità, ma anche interessi privati e affarismo.

I libri di Alex e Alessandro possono costituire un’efficace scuola di formazione politica, di educazione al dialogo e all’ascolto, una vera e propria educazione civica da fare studiare anche a scuola.


Giovanni Accardo è il curatore del libro Dialogo sull’Albania (Edizioni alphabeta Verlag), con gli scritti di Alexander Langer e Alessandro Leogrande sull’Albania. La prefazione è di Goffredo Fofi,

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