Hanno perso tutti, dicono tutti, dimenticando uno, anzi una sconfitta (participio passato, non sostantivo). Vero: hanno perso i due schieramenti, il centrodestra che ha visto cadere i suoi candidati e il centrosinistra che un suo candidato non lo ha mai presentato. E all’interno dei due schieramenti hanno perso i singoli partiti in competizione tra loro. A mio modesto parere non ha vinto Draghi che aveva rivelato qualche ambizione presidenziale e neppure Mattarella costretto a fare buon viso a un cattivo gioco su cui aveva manifestato perplessità non solo personali ma addirittura costituzionali.
Ma lascio queste ultime valutazioni ai prestigiosi politologi che scrivono su queste pagine e torno ai campi che mi sono più familiari e nei quali vedo una grande sconfitta, di cui nessuno parla: la televisione. La tv, le varie reti che hanno coperto le lunghe fasi dell’elezione con le loro maratone, gli speciali, i talk hanno svolto un lavoro scadente, ottenendo un risultato modestissimo anche sul piano dell’audience. Possiamo partire da questo aspetto in cui spicca il misero 8 per cento di media dello speciale di Rai 1 nella prima serata di sabato dedicato ai commenti all’elezione di Mattarella avvenuta poco prima.
Ma la disaffezione del pubblico ha riguardato un po’ tutti i programmi: le dirette mattutine e pomeridiane, le maratone che alternavano le immagini di Montecitorio con i commenti da studio, i talk di prima serata e di access prime time, con la sola eccezione di Otto e Mezzo che al contrario ha incrementato gli ascolti.
I motivi di questa sconfitta sono di diversa natura e si possono individuare su tre linee.
La prima riguarda il rito della votazione che, già ridimensionato dalle norme rese necessarie da Covid, ha perso ogni fascino a causa della prevedibilità dei risultati di ogni scrutinio. Lontani – per chi ne ha memoria – i tempi dei duelli all’ultima scheda che hanno sancito la vittoria di Segni o di Leone, assente ogni possibilità di suspence, gli unici brividi sono stati di disgusto per le schede con nomi improbabili o per gli atteggiamenti poco eleganti della presidente del Senato.
Una seconda serie di delusioni è venuta dalla gestione del rapporto tra gli inviati e i politici. All’entrata e all’uscita da Montecitorio i cosiddetti grandi elettori, soprattutto quelli che hanno ruoli di primaria importanza nei loro partiti, sono stati inseguiti, assediati dallo stuolo di inviati e inviate alla ricerca di una dichiarazione. Ma nell’arco di una settimana non c’è stata una di queste dichiarazioni che abbia assunto un minimo di senso, che si sia rivelata degna di diventare notizia, che abbia contenuto un briciolo di verità. Si è così creato un clima fasullo, un meccanismo perverso in cui i protagonisti dello scambio verbale erano al corrente e consapevoli della finzione ma si guardavano bene dall’evidenziarlo, mentre allo spettatore un minimo avveduto non restava altro che sottrarsi alla farsa che gli veniva proposta.
Infine, queste inseguite e inutili dichiarazioni dei politici venivano sottoposte all’analisi e al dibattito dello studio, all’esegesi dei celebri opinionisti, direttori, vicedirettori o firme prestigiose delle grandi testate nazionale. I quali, facendo calare dall’alto le loro parole con il tono di chi sa vedere ciò che sta dietro alle semplici apparenze, disquisivano di tattiche, strategie, prospettive, ipotesi, significati nascosti, previsioni quasi sempre sbagliate. E concludevano spesso e volentieri il loro intervento con la riflessione sulla distanza tra la politica e la vita reale, la sensibilità dei cittadini, senza curarsi del senso del ridicolo, visto in quei momenti appariva evidente anche l’astrusità del loro stucchevole teatrino.